[Pagina precedente]...e cento schiave con uno sguardo, - vedendo le quali, par davvero una ridicola e temeraria spacconata quella dei signori turchi che pretendono d'esser quattro volte mariti. Ce n'è dell'altre, piccolette e paffutelle, che han tutto rotondo - volto, occhi, naso, bocca - ed un'aria così queta, così benevola, così bambina, un'apparenza di rassegnazione così docile al loro destino, di non essere che un trastullo e una ricreazione, che passandogli accanto, vi verrebbe voglia di mettergli in bocca una caramella. Ci son poi anche le figurine svelte, sposine di sedici anni, ardite e vivacissime, cogli occhi pieni di capricci e d'astuzie, che fanno pensare con un sentimento di pietà al povero effendi che le ha da tenere in freno e al disgraziato eunuco che le deve tener d'occhio. E la città si presta mirabilmente a inquadrare, per dir così, la loro bellezza e il loro vestiario. Bisogna vedere una di quelle figurine col velo bianco e col feregé purpureo, seduta in un caicco, in mezzo all'azzurro del Bosforo; o adagiata sull'erba, in mezzo al verde bruno d'un cimitero; o anche meglio, vederla venir giù per una stradetta ripida e solitaria di Stambul, chiusa in fondo da un grande platano, quando tira vento, e i veli e il feregé svolazzano, e scoprono collo, piedino e calzina; e v'assicuro che in quel momento, se fosse sempre in vigore l'indulgente decreto di Solimano il Magnifico, che multa d'un aspro ogni bacio dato alla moglie e alla figliola altrui, allungherebbe un calcio all'avarizia anche Arpagone. E non c'è caso che quando tira vento, la donna turca s'affanni a tener basso il feregé, perchè il pudore delle musulmane non va più in giù delle ginocchia, e s'arresta qualche volta assai prima.
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Una cosa che stupisce, sulle prime, è la loro maniera di guardare e di ridere, che scuserebbe qualunque giudizio più temerario. Accade spessissimo che un giovane europeo, guardando fisso una donna turca, anche di alto bordo, sia ricambiato con uno sguardo sorridente o con un sorriso aperto. Non è raro nemmeno che una bella hanum in carrozza, faccia, di nascosto all'eunuco, un saluto grazioso colla mano a un giovanotto franco a cui si sia accorta di piacere. Qualche volta, in un cimitero o in una strada appartata, una turca capricciosa s'arrischia perfino a gettare un fiore passando, o a lasciarlo cadere in terra coll'intenzione manifesta che sia raccolto dal giaurro elegante che le vien dietro. Per questo un viaggiatore fatuo può prendere dei grandi abbagli, e ci sono infatti degli europei scimuniti, che, essendo stati un mese a Costantinopoli, credono in buona fede d'aver rubata la pace a un centinaio di sventurate. C'è senza dubbio, in quegli atti, un'espressione ingenua di simpatia; ma c'entra in parte assai maggiore uno spirito di ribellione, che tutte le turche hanno in cuore, nato dall'uggia della soggezione in cui sono tenute, e al quale danno sfogo, come e quando possono, in piccole monellerie, non fosse che per far dispetto, in segreto, ai loro padroni. Fanno in quel modo più per fanciullaggine che per civetteria. E la loro civetteria è d'un genere singolarissimo, che somiglia molto ai primi esperimenti delle ragazzine quando cominciano ad accorgersi d'esser guardate. È un gran ridere, un guardare in su colla bocca aperta in atto di stupore, un fingere d'aver male al capo o a una gamba, certi atti di dispetto il feregé che le imbarazza, certi scatti da scolarette, che sembran fatti più per far ridere che per sedurre. Mai un atteggiamento da salotto o da fotografia. Quella po' d'arte che mostrano è proprio un'arte rudimentale. Si vede, come direbbe il Tommaseo, che non hanno molti veli da gettar via; che non sono abituate ai lunghi amoreggiamenti, ad "essere circuite alla muta" come le donne geroglifiche del Giusti; e che quando hanno una simpatia, invece di star lì tanto a sospirare e a girar gli occhi, direbbero addirittura, se potessero esprimere il loro sentimento: - Cristiano, tu mi piaci. - Non potendolo dire colla voce, glie lo dicono francamente, mostrando due belle file di perle luccicanti, ossia ridendogli sul viso. Sono belle tartare ingentilite.
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E son libere: è una verità che lo straniero tocca con mano appena arrivato. È una esagerazione il dire come Lady Montague che son più libere delle europee; ma chiunque è stato a Costantinopoli non può a meno di ridere quando sente parlare della loro "schiavitù". Le signore, quando vogliono uscire, ordinano agli eunuchi di preparar la carrozza, escono senza chiedere il permesso a nessuno, e tornano a casa quando vogliono, purchè sia prima di notte. Una volta non potevano uscire senz'essere accompagnate da un eunuco, o da una schiava, o da un'amica, e le più ardite, se non volevano altri, dovevano almeno condur con sè un figlioletto, che fosse come un titolo al rispetto della gente. Se qualcheduna si faceva veder sola in un luogo appartato, era facilissimo che una guardia di città o un qualunque vecchio turco rigorista la fermasse e le domandasse: - Dove vai? D'onde vieni? Perchè non hai nessuno con te? Così rispetti il tuo effendi? Torna a casa! - Ma ora escon sole a centinaia, e se ne vedono a tutte le ore per le vie dei sobborghi musulmani e della città franca. Vanno a far visita alle amiche da un capo all'altro di Stambul, vanno a passar delle mezze giornate nelle case di bagni, fanno delle gite in barchetta, il giovedì alle Acque dolci d'Europa, la domenica alle acque d'Asia, il venerdì al cimitero di Scutari, gli altri giorni alle isole dei Principi, a Terapia, a Bujukderé, a Kalender, a far merenda colle loro schiave, in brigatelle di otto o dieci; vanno a pregare alle tombe dei Padiscià e delle Sultane, a vedere i conventi dei dervis, a visitare le mostre pubbliche dei corredi nuziali, e non c'è effigie d'uomo, non che le accompagni o le segua, ma che, se anche son sole, ardisca di far loro un'osservazione. Vedere un turco in una via di Costantinopoli, non dico a braccetto, ma al fianco, ma fermo per un momento a discorrere con una "velata", quando anche portassero scritto in fronte che son marito e moglie, parrebbe a tutti la più strana delle stranezze, o per meglio dire un'impudenza inaudita, come nelle nostre vie un uomo e una donna che si facessero ad alta voce delle dichiarazioni d'amore. Da questo lato le donne turche sono veramente più libere che le europee, e non si può dire questa libertà quanto la godano, e con che matto desiderio corrano allo strepito, alla folla, alla luce, all'aria aperta, esse che in casa non vedono che un uomo solo, ed hanno finestre e giardini claustrali. Escono e scorazzano per la città coll'allegrezza di prigioniere liberate. C'è da divertirsi a pedinarne una a caso, alla lontana, per vedere come sanno sminuzzarsi e raffinarsi i piaceri del vagabondaggio. Vanno nella moschea più vicina a dire una preghiera e si fermano a cicalare un quarto d'ora con un'amica sotto le arcate del cortile; poi al bazar a dare una capatina in dieci botteghe, e a farne metter sottosopra un paio, per comprare una bagattella; poi pigliano il tramway, scendono al mercato dei pesci, passano il ponte, si fermano a contemplare tutte le treccie e tutte le parrucche dei parrucchieri di via di Pera, entrano in un cimitero e mangiano un dolce sopra una tomba, ritornano in città , ridiscendono al Corno d'oro scantonando cento volte e guardando colla coda dell'occhio ogni cosa - vetrine, stampe, annunzi, signore che passano, carrozze, insegne, porte di teatri - comprano un mazzo di fiori, bevono una limonata da un acquaiolo, fanno l'elemosina a un povero, ripassano il Corno d'oro in caicco, ricominciano a far dei nastri per Stambul; poi pigliano il tramway un'altra volta, e arrivate sulla porta di casa, son capaci di tornare indietro, per fare ancora un giro di cento passi intorno a un gruppo di casette; tale e quale come i ragazzi che escon soli la prima volta, e che in quell'oretta di libertà ci vogliono far entrare un po' di tutto. Un povero effendi corpulento che volesse tener dietro a sua moglie per scoprire se ha qualche ripesco, rimarrebbe sgambato a mezza strada.
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Per vedere il bel sesso musulmano, bisogna andare un giorno di gran festa alle Acque dolci d'Europa, in fondo al Corno d'oro, o a quelle d'Asia, vicino al villaggio di Anaduli-Hissar; che sono due grandi giardini pubblici, coperti da boschetti foltissimi, attraversati da due piccoli fiumi, e sparsi di caffè e di fontane. Là sopra un vasto piano erboso, all'ombra dei noci, dei terebinti, dei platani, dei sicomori, che formano una successione di padiglioni verdi, per cui non passa un raggio di sole, si vedono migliaia di turche sedute a gruppi e a circoli, circondate di schiave, d'eunuchi, di bambini, che merendano e folleggiano per una mezza giornata, in mezzo a un via vai di gente infinito. Appena giunti si rimane come trasognati. Par di vedere una festa del paradiso islamitico. Quella miriade di veli bianchissimi e di feregé scarlatti, gialli, verdi e cinerei, quegli innumerevoli gruppi di schiave vestite di mille colori, quel formicolìo di bimbi in costume di mascherine, i grandi tappeti di Smirne distesi in terra, i vasellami argentati e dorati che passano di mano in mano, i caffettieri musulmani, in abito di gala, che corrono in giro portando frutti e gelati, gli zingari che danzano, i pastori bulgari che suonano, i cavalli bardati d'oro e di seta che scalpitano legati agli alberi, i pascià , i bey, i giovani signori che galoppano lungo la riva del fiume, il movimento della folla lontana che sembra il tremolìo d'un campo di camelie e di rose, i caicchi variopinti e le carrozze splendide che arrivano continuamente a versare in quel mare di colori altri colori, e il suono confuso dei canti, dei flauti, delle zampogne, delle nacchere, delle grida infantili, in mezzo a quella bellezza di verde e d'ombra, svariata qua e là da piccole vedute luminose di paesaggi lontani; presentano uno spettacolo così festoso e così nuovo che al primo vederlo vien voglia di batter le mani e di gridare: - Bravissimi! - come a scena di teatro.
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Ed anche là , malgrado la confusione, è rarissimo il cogliere sul fatto un turco e una turca che amoreggino cogli occhi o si scambino dei sorrisi e dei gesti d'intelligenza. Là non esiste la galanteria coram populo come nei nostri paesi; non ci sono nè le sentinelle melanconiche, che vanno e vengono sotto le finestre, nè le retroguardie affannose che camminano per tre ore sulle orme delle loro belle. L'amore si fa tutto in casa. Se qualche volta, in una strada solitaria, si sorprende un giovane turco che guarda in su a una finestrina ingraticolata dietro la quale scintilla un occhietto nero o spunta una manina bianca, si può esser quasi certi che è un fidanzato. Ai fidanzati soli si permette il servizio di ronda e di scorta e tutte le altre fanciullaggini dell'amore ufficiale, come quella di parlarsi di lontano con un fiore, con un nastro, o per mezzo del colore d'un vestito o di una ciarpa. E in questo le turche sono maestre. Hanno migliaia di oggetti, tra fiori, frutti, erbe, penne, pietre, ciascuno dei quali possiede un significato convenuto, che è un epiteto o un verbo od anche una proposizione intera, in modo che possono mettere insieme una lettera con un mazzetto e dir mille cose con una scatolina o una borsa piena di oggettini svariatissimi, che paiono riuniti a caso; e siccome il significato d'ogni oggetto è per lo più espresso in un verso, così ogni amante è in grado di comporre una poesia amorosa od anche un poemetto polimetrico in cinque minuti. Un chiodetto di garofano, una striscia di carta, una fettina di pera, un pezzetto di sapone, un fiammifero, un po' di fil d'oro e un grano di cannella e di pepe, vogliono dire: - È molto tempo che t'amo -, che ardo -, che languisco -, che muoio d'amore per te. - Dammi un po' di speranza - non mi respingere - rispondimi una parola. - E oltre all'amore, c'è modo di dir mille cose: si possono far dei rimproveri, dar consigli, avvertimenti, notizie; ed è una grande occupazione d...
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