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In prova di quanto la lingua greca, fosse universale, e giudicata per tale, ancor dopo il pieno stabilimento, e durante la maggiore estensione del dominio romano e de' romani pel mondo; si potrebbe addurre il Nuovo Testamento, Codice della nuova religione sotto i primi imperatori, scritto tutto in greco, quantunque da scrittori Giudei (così tutti chiamano gli Ebrei di que' tempi), quantunque l'Evangelio di S. Marco si creda scritto in Roma e ad uso degl'italiani, giacchè è rigettata da tutti i buoni critici l'opinione che quell'Evangelio fosse scritto originariamente in latino; (Fabric. B. G. 3. 131.) quantunque v'abbia un'Epistola di S. Paolo cittadino Romano, diretta a' Romani, un'altra agli Ebrei; quantunque v'abbiano le Epistole dette Cattoliche, cioè universali, di S. Giacomo, e di S. Giuda Taddeo. Ma senza entrare nelle quistioni intorno alla lingua originale del nuovo testamento, o delle diverse sue parti, osserverò quello che dice il Fabric. B. G. edit. vet. t.3. p.153. lib.4. c.5 §.9 parlando dell'Epistola di S. Paolo a' Romani: graece scripta est, non latine, etsi Scholiastes Syrus notat scriptam esse ROMANE t}amwr, quo vocabulo Graecam [1000]linguam significari, Romae tunc et in omni fere Romano imperio vulgatissimam, Seldenus ad Eutychium observavit. E p.131. nota (d) §.3. parlando delle testimonianze Orientalium recentiorum che dicono essere stato scritto il Vangelo di S. Marco in lingua romana, dice che furono o ingannati, o male intesi dagli altri, nam per Romanam linguam etiam ab illis Graecam quandoque intelligi observavit Seldenus. Intendi l'opera di Giovanni Selden intitolata: Eutychii Aegyptii Patriarchae Orthodoxorum Alexandrini Ecclesiae suae Origines ex eiusdem Arabico nunc primum edidit ac Versione et Commentario auxit Joannes Seldenus. Per lo contrario Giuseppe Ebreo nel proem. dell'Archeol. §.2. principio e fine, chiama Greci tutti coloro che non erano Giudei, o sia gli Etnici, compresi per conseguenza anche i romani. E così nella Scrittura ???????? passim opponuntur Iudaeis, et vocantur ethnici, a Christo alieni (Scapula). Così ne' Padri antichi. Il che pure ridonda a provare la mia proposizione. E Gioseffo avendo detto di scrivere per tutti i Greci (cioè i non ebrei), scrive in greco. V. anche il Forcell. v. Graecus in fine.
Osservo ancora che Giuseppe Ebreo avendo scritto primieramente i suoi libri della Guerra Giudaica nella lingua sua patria, qualunque fosse questa lingua, o l'Ebraica, come crede l'Ittigio, (nel Giosef. dell'Havercamp, t.2. appendice p.80. colonna 2.) o la Sirocaldaica, come altri, (v. Basnag. Exercit. ed. Baron. p.388. Fabric. 3. 230. not. p), in uso, com'egli dice, de' barbari dell'Asia superiore, cioè, com'egli stesso spiega (de Bello Iud. Proem. art.2. edit. Haverc. t.2. p.48.) de' Parti, de' Babilonesi, degli Arabi più lontani dal mare, de' Giudei di là dall'Eufrate, e degli Adiabeni; (Fabric. l.c. Gioseffo l.c. p.47. not. h.) volendo poi, com'egli dice, accomodarla all'uso de' sudditi dell'imperio [1001]Romano, ???? ???????? ???????? ?????????, e scrivendo in Roma, giudicò, come pur dice, (Fabric. 3. 229. fine e 230. principio.) e come fece, di traslatarla (non in latino) in greco, ???????? ??????? ??????????. (Idem, l.c. art.1. p.47.) E così traslatata la presentò a Vespasiano e a Tito, Impp. Romani. (Ittigio l.c. Fabric. 3.231. lin.8. Tillemont, Empereurs t.1. p.582.).
(30. Aprile. 1821.)
La lingua greca, benchè a noi sembri a prima vista il contrario, e ciò in gran parte a cagione delle circostanze in cui siamo tutti noi Europei ec. rispetto alla latina, è più facile della latina; dico quella lingua greca antica quale si trova ne' classici ottimi, e quella lingua latina quale si trova ne' classici del miglior tempo; e l'una e l'altra comparativamente, qual'è presso gli scrittori dell'ottima età dell'una e dell'altra lingua. E ciò malgrado la maggiore ricchezza grammaticale ed elementare della lingua greca. Questa dunque è la cagione perch'ella fosse più atta della latina ad essere universale: e n'è la cagione sì per se stessa e immediatamente, sì per la somiglianza che produce fra la lingua volgare e quella della letteratura, fra la parlata e la scritta.
(1. Maggio 1821.)
Quello che ho detto della difficoltà naturale che hanno e debbono avere i francesi a conoscere e molto più a gustare le altrui lingue, cresce se si applica alle lingue antiche, e fra le moderne Europee e colte, alla lingua nostra. Giacchè la lingua [1002]francese è per eccellenza, lingua moderna; vale a dire che occupa l'ultimo degli estremi fra le lingue nella cui indole ec. signoreggia l'immaginazione, e quelle dove la ragione. (Intendo la lingua francese qual è ne' suoi classici, qual è oggi, qual è stata sempre da che ha preso una forma stabile, e quale fu ridotta dall'Accademia). Si giudichi dunque quanto ella sia propria a servire d'istrumento per conoscere e gustare le lingue antiche, e molto più a tradurle: e si veda quanto male Mad. di Staël (vedi p.962.) la creda più atta ad esprimere la lingua romana che le altre, perciocch'è nata da lei. Anzi tutto all'opposto, se c'è lingua difficilissima a gustare ai francesi, e impossibile a rendere in francese, è la latina, la quale occupa forse l'altra estremità o grado nella detta scala delle lingue, ristringendoci alle lingue Europee. Giacchè la lingua latina è quella fra le dette lingue (almeno fra le ben note, e colte, per non parlare adesso della Celtica poco nota ec.) dove meno signoreggia la ragione. Generalmente poi le lingue antiche sono tutte suddite della immaginazione, e però estremamente separate dalla lingua francese. Ed è ben naturale che le lingue antiche fossero signoreggiate dall'immaginazione più che qualunque moderna, e quindi siano senza contrasto, le meno adattabili alla lingua francese, all'indole sua, ed alla conoscenza e molto più al gusto de' francesi. [1003]Nella scala poi e proporzione delle lingue moderne, la lingua italiana, (alla quale tien subito dietro la Spagnuola) occupa senza contrasto l'estremità della immaginazione, ed è la più simile alle antiche, ed al carattere antico. Parlo delle lingue moderne colte, se non altro delle Europee: giacchè non voglio entrare nelle Orientali, e nelle incolte regna sempre l'immaginazione più che in qualunque colta, e la ragione vi ha meno parte che in qualunque lingua formata. Proporzionatamente dunque dovremo dire della lingua francese rispetto all'italiana, quello stesso che diciamo rispetto alle antiche. E il fatto lo conferma, giacchè nessuna lingua moderna colta, è tanto o ignorata, o malissimo e assurdamente gustata dai francesi, quanto l'italiana: di nessuna essi conoscono meno lo spirito e il genio, che dell'italiana; di nessuna discorrono con tanti spropositi non solo di teorica, ma anche di fatto e di pratica; non ostante che la lingua italiana sia sorella della loro, e similissima ad essa nella più gran parte delle sue radici, e nel materiale delle lettere componenti il radicale delle parole (siano radici, o derivati, o composti); e non ostante che p.e. la lingua inglese e la tedesca, nelle quali essi riescono molto meglio, (anche nel tradurre ec. mentre una traduzione francese dall'italiano dal latino o dal greco non è riconoscibile) appartengano a tutt'altra famiglia di lingue.
(1 Maggio 1821.). V. p.1007. capoverso 1.
[1004]Uno dei principali dogmi del Cristianesimo è la degenerazione dell'uomo da uno stato primitivo più perfetto e felice: e con questo dogma è legato quello della Redenzione, e si può dir, tutta quanta la Religion Cristiana. Il principale insegnamento del mio sistema, è appunto la detta degenerazione. Tutte, per tanto, le infinite osservazioni e prove generali o particolari, ch'io adduco per dimostrare come l'uomo fosse fatto primitivamente alla felicità , come il suo stato perfettamente naturale (che non si trova mai nel fatto) fosse per lui il solo perfetto, come quanto più ci allontaniamo dalla natura, tanto più diveniamo infelici ec. ec.: tutte queste, dico, sono altrettante prove dirette di uno dei dogmi principali del Cristianesimo, e possiamo dire, della verità dello stesso Cristianesimo.
(1. Maggio 1821.)
Tanto era l'odio degli antichi (quanti aveano una patria e una società ) verso gli stranieri, e verso le altre patrie e società qualunque; che una potenza minima, o anche una città solo assalita da una nazione intera (come Numanzia da' Romani), non veniva mica a patti, ma resisteva con tutte le sue forze, e la resistenza si misurava dalle dette forze, non già da quelle del nemico; e la deliberazione di resistere era immancabile, e immediata, e senza consultazione vervna; e dipendeva dall'essere assaliti, non [1005]già dalla considerazione delle forze degli assalitori e delle proprie, dei mezzi di resistenza, delle speranze che potevano essere nella difesa ec. E questa era, come ho detto, una conseguenza naturale dell'odio scambievole delle diverse società , dell'odio che esisteva nell'assalitore, e che obbligava l'assalito a disperare de' patti; dell'odio che esisteva nell'assalito, e che gl'impediva di consentire a soggettarsi in qualunque modo, malgrado qualunque utilità nel farlo, e qualunque danno nel ricusarlo, ed anche la intera distruzione di se stessi e della propria patria, come si vede nel fatto presso gli antichi, e fra gli altri, nel citato esempio di Numanzia.
Oggi per lo contrario, la resistenza dipende dal calcolo, delle forze, dei mezzi, delle speranze, dei danni, e dei vantaggi, nel cedere o nel resistere. E se questo calcolo decide pel cedere, non solamente una città ad una nazione, ma una potenza si sottomette ad un'altra potenza, ancorchè non eccessivamente più forte; ancorchè una resistenza vera ed intera potesse avere qualche fondata speranza. Anzi oramai si può dire che le guerre o i piati politici, si decidono a tavolino col semplice calcolo delle forze e de' mezzi: io posso impiegar tanti uomini, tanti danari ec. il nemico tanti: resta dalla parte mia tanta inferiorità , o superiorità : dunque assaliamo o no, cediamo ovvero non cediamo. [1006]E senza venire alle mani, nè far prova effettiva di nulla, le provincie, i regni, le nazioni, pigliano quella forma, quelle leggi, quel governo ec. che comanda il più forte: e in computisteria si decidono le sorti del mondo. Così discorretela proporzionatamente anche riguardo alle potenze di un ordine uguale.
In questo modo oggi il forte, non è forte in atto, ma in potenza: le truppe, gli esercizi militari ec. non servono perchè si faccia esperienza di chi deve ubbidire o comandare ec. ec. ma solamente perchè si possa sapere e conoscere e calcolare, a che bisogni determinarsi: e se non servissero al calcolo sarebbero inutili, giacchè in ultima analisi il risultato delle cose politiche, e i grandi effetti, sono come se quelle truppe ec. non avessero esistito.
Ed è questa una naturale conseguenza della misera spiritualizzazione delle cose umane, derivata dall'esperienza, dalla cognizione sì propagata e cresciuta, dalla ragione, e dall'esilio della natura, sola madre della vita, e del fare. Conseguenza che si può estendere a cose molto più generali, e trovarla egualmente vera, sì nella teorica, come nella pratica. Dalla quale spiritualizzazione che è quasi lo stesso coll'annullamento, risulta che oggi in luogo di fare, si debba computare; e laddove gli antichi facevano le cose, i moderni le contino; e i risultati una volta delle azioni, oggi sieno [1007]risultati dei calcoli; e così senza far niente, si viva calcolando e supputando quello che si debba fare, o che debba succedere; aspettando di fare effettivamente, e per conseguenza di vivere, quando saremo morti. Giacchè ora una tal vita non si può distinguere dalla morte, e dev'essere necessariamente tutt'uno con questa.
(1. Maggio 1821.)
Alla p.1003. fine. Oltre le dette considerazioni la lingua francese, è anche estremamente distinta dall'Italiana, perciò ch'ella è fra le moderne colte (e per conseguenza fra tutte le lingue) senza contrast...
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