[Pagina precedente]...d è ben ragionevole che la filosofia divenuta scienza così profonda, sottile, accurata, ed appresso a poco uniforme e concorde da per tutto (a differenza delle antiche filosofie), e, quel ch'è notabilissimo nel nostro proposito, sempre più chiara e certa nelle sue nozioni, e determinata, abbia [1222]i suoi termini stabili e universalmente uniformi, massime in tanta uniformità , e stretto commercio d'Europa: quando anche le vecchie, informi ed oscure, incerte, mal determinate, e sciocche filosofie che s'insegnavano nelle scuole, ebbero la loro nomenclatura stabile e universale, fuor di cui non sarebbero state intese in nessuna parte d'Europa, benchè tanto meno uniforme ed unita fra se. Di questi termini dell'antica filosofia, di questi termini scolastici universalmente adoperati ne' bassi tempi e fino agli ultimi secoli, abbonda la lingua italiana. E perchè ebbero la fortuna d'essere usati da' nostri vecchi, perciò questi termini, quantunque derivati da barbare origini, e appartenenti a scienze che non erano scienze, si chiamano purissimi in Italia; e i termini dell'odierna filosofia, derivati dalla massima civiltà d'Europa, appartenenti alla prima delle scienze, e questa condotta a sì alto grado, si chiamano impurissimi, perchè ignoti agli antichi; quasi che a noi toccasse il venerare e il conservare, e non lo scusare per l'una parte, per l'altra discacciare l'ignoranza antica. E che l'ignoranza de' passati dovesse esser la misura e la norma del sapere dei presenti.
[1223]Se dunque l'odierna filosofia, quella filosofia che abbraccia per così dire tutto questo secolo, tutte le cose e tutte le cognizioni presenti, ha e deve avere i suoi termini costanti, ed uniformi in qualunque luogo ella è trattata, noi dobbiamo adottarli ed usarli, e conformarci a quelli che tutto il mondo usa. E non è più tempo di cambiarli, e formarci una nomenclatura filosofica italiana, cioè cavata tutta dalle fonti della nostra lingua. Questo avrebbe potuto essere, se la massima parte dell'odierna filosofia fosse derivata dall'Italia. Ed allora le altre nazioni, senza veruna ripugnanza avrebbero usata nella filosofia, la nomenclatura fabbricata in Italia. Ma avendo lasciato far tutto agli stranieri, ed arrivar questa scienza a sì alto grado senza quasi nessuna opera nostra, o dobbiamo seguitare a non curarla, ignorarla, e non trattarla; o volendo trattarla ci conviene adottare quella nomenclatura che troviamo già stabilita e generalmente intesa, fuor della quale non saremmo bene intesi nè dagli stranieri, nè da' nostri medesimi, come apparisce dalle sopraddette ragioni. Alle quali aggiungo come corollario, dimostrato dal fatto, che tutte quelle parole che [1224]hanno espressa precisamente e sottilmente un'idea sottile e precisa, di qualunque genere, e in qualunque ramo delle cognizioni, sono state o sempre o quasi sempre universali, ed usate in qualsivoglia lingua da tutti quelli che hanno concepita e voluta significare quella stessa idea strettamente. E quella tale idea è passata dal primo individuo che la concepì chiaramente, agli altri individui, e alle altre nazioni, non altrimenti che in compagnia di quella tal parola. Appunto perchè questa fina precisione di significato, non deriva nè può derivare se non da una stretta e appositissima convenzione, difficilissima a rinnovare, e a moltiplicare secondo le lingue.
Per tutte queste ragioni, sarebbe opera degna di questo secolo, ed utilissima alle lingue non meno che alla filosofia, un Vocabolario universale Europeo che comprendesse quelle parole significanti precisamente un'idea chiara, sottile, e precisa, che sono comuni a tutte o alla maggior parte delle moderne lingue colte. E massimamente quelle parole che appartengono a tutto quello che oggi s'intende sotto il nome di filosofia, ed a tutte le cognizioni ch'ella abbraccia. Giacchè le scienze materiali, o le scienze esatte non hanno tanto bisogno di questo servigio, essendo bastantemente riconosciute e fisse le loro nomenclature, e le idee che queste significano non essendo così facili [1225]o a sfuggire, o ad oscurarsi e confondersi e divenire incerte e indeterminate, come quelle della filosofia. Dovrebbe chi prendesse questo assunto definire e circoscrivere colla possibile diligenza il significato preciso di tali parole o termini, e recarne dalle diverse lingue dov'elle sono in uso, esempi giudiziosamente scelti di scrittori veramente accurati e filosofi, e massime quegli esempi dov'è contenuta una definizione filosofica dell'idea significata dalla parola; esempi che non sarebbero difficili a trovarsi in tanta copia di scrittori profondissimi e sottilissimi e acutissimi di questo e del passato secolo, e anche del precedente. In maniera simile si contenne Samuele Johnson nel Dizionario della lingua inglese, lingua che sa veramente esser filosofica, ed abbonda di scrittori di tal genere. Se il compilatore di tal Dizionario fosse italiano, ci renderebbe anche gran servigio, ponendovi gli esempi de' migliori italiani che hanno trattato simili materie; e in caso che si trovassero voci italiane perfettamente corrispondenti, sia nel Vocabolario nostro sia ne' nostri buoni scrittori qualunque, sia nell'uso, farebbe utilissima cosa, ponendole a fronte ec. con che verrebbe a fare un Vocabolario italiano filosofico, cosa veramente da sospirarsi, e per conoscere e per mostrare e per usare le nostre ricchezze, se ne abbiamo.
Questo Vocabolario che sarebbe utilissimo a tutta l'Europa, lo sarebbe massimamente all'Italia, la quale dovrebbe vedere quanta copia di parole che tutta l'Europa pronunzia e scrive, e riconosce per necessarie, ella disprezzi e proscriva, senz'averne alcuna da surrogar loro. E la lingua italiana dovrebbe adottare le dette voci senza timore di corrompersi più di quello che si sieno corrotte coll'adottarle, [1226]tutte le altre lingue europee. E non dovrebbe volere, anzi vergognarsi, che un tal vocabolario essendo Europeo, non fosse italiano quasi che l'italiano non fosse Europeo, nè di questo secolo ec. E dovrebbe riconoscerle per voci nobilissime, perchè inseparabilmente spettanti e legate alla più nobile delle scienze umane ch'è la filosofia. V. p.1231. fine.
Con ciò non vengo mica a dire ch'ella debba, anzi pur possa adoperare, e molto meno profondere siffatte voci nella bella letteratura e massime nella poesia. Non v'è bontà dove non è convenienza. Alle scienze son buone e convengono le voci precise, alla bella letteratura le proprie. Ho già distinto in altro luogo le parole dai termini, e mostrata la differenza che è dalla proprietà delle voci alla nudità e precisione. È proprio ufficio de' poeti e degli scrittori ameni il coprire quanto si possa le nudità delle cose, come è ufficio degli scienziati e de' filosofi il rivelarla. Quindi le parole precise convengono a questi, e sconvengono per lo più a quelli; a dirittura l'uno a l'altro. Allo scienziato le parole più convenienti sono le più precise, ed esprimenti un'idea più nuda. Al poeta e al letterato per lo contrario le parole più vaghe, ed esprimenti idee più incerte, o un maggior numero d'idee ec. Queste almeno gli denno esser le più care, e quelle altre che sono l'estremo opposto, le più odiose. V. p.1234. capoverso 1. e 1312. capoverso 2. Ho detto e ripeto che i termini in letteratura e massime in poesia faranno sempre pessimo e bruttissimo effetto. Qui peccano assai gli stranieri, e non dobbiamo imitarli. Ho detto che la lingua francese (e intendo quella della letteratura e della poesia) si corrompe per la profusione de' termini, ossia delle voci di nudo e secco significato, perch'ella si compone oramai tutta quanta di termini, abbandonando e dimenticando le parole: che noi non dobbiamo mai nè [1227]dimenticare nè perdere nè dismettere, perchè perderemmo la letteratura e la poesia, riducendo tutti i generi di scrivere al genere matematico. Le dette voci ch'io raccomando alla lingua italiana, sono ottime e necessarie, non sono ignobili, ma non sono eleganti. La bella letteratura alla quale è debito quello che si chiama eleganza, non le deve adoperare, se non come voci aliene, e come si adoprano talvolta le voci forestiere, notando ch'elle son tali, e come gli ottimi latini scrivevano alcune voci in greco, così per incidenza. I diversi stili domandano diverse parole, e come quello ch'è nobile per la prosa, è ignobile bene spesso per la poesia, così quello ch'è nobile ed ottimo per un genere di prosa, è ignobilissimo per un altro. I latini ai quali in prosa non era punto ignobile il dire p.e. tribunus militum o plebis, o centurio, o triumvir ec. non l'avrebbero mai detto in poesia, perchè queste parole d'un significato troppo nudo e preciso, non convengono al verso, benchè gli convengano le parole proprie, e benchè l'idea rappresentata sia non solo non ignobile, ma anche nobilissima. I termini della filosofia scolastica, riconosciuti dalla nostra lingua per purissimi, sarebbero stati barbari nell'antica nostra poesia, come nella moderna, ed anche nella prosa elegante, s'ella gli avesse adoperati come parole sue proprie. [1228]E se Dante le profuse nel suo poema, e così pur fecero altri poeti, e parecchi scrittori di prosa letteraria in quei tempi, ciò si condona alla mezza barbarie, o vogliamo dire alla civiltà bambina di quella letteratura e di que' secoli, ch'erano però purissimi quanto alla lingua. Ma altro è la purità , altro l'eleganza di una voce, e la sua convenienza, bellezza, e nobiltà , rispettiva alle diverse materie, o anche solo ai diversi stili: giacchè anche volendo trattar materie filosofiche in uno stile elegante, e in una bella prosa, ci converrebbe fuggir tali termini, perchè allora la natura dello stile domanda più l'eleganza e bellezza che la precisione, e questa va posposta. (Del resto in tal caso, la filosofia è l'uno de' principali pregi della letteratura e poesia, sì antica che moderna, atteso però quello che ho detto p.1313. la quale vedi.) Io dico che l'Italia dee riconoscere i detti termini ec. per puri, cioè propri della sua lingua, come delle altre, ma non già per eleganti. La bella letteratura, e massime la poesia, non hanno che fare colla filosofia sottile, severa ed accurata; avendo per oggetto in bello, ch'è quanto dire il falso, perchè il vero (così volendo il tristo fato dell'uomo) non fu mai bello. Ora oggetto della filosofia qualunque, come di tutte le scienze, è il vero: e perciò dove regna la filosofia, quivi non è vera poesia. La qual cosa [1229]molti famosi stranieri o non la vedono, o adoprano (o si conducono) in modo come non la vedessero o non volessero vederla. E forse anche così porta la loro natura fatta piuttosto alle scienze che alle arti ec. Ma la poesia quanto è più filosofica, tanto meno è poesia.
(26. Giugno 1821.). V. p.1231.
Alla p.1219. marg. La filosofia e le scienze greche passarono ai latini, passarono agli Arabi; e portarono nel latino e nell'Arabo le loro voci greche. Gli Arabi vi ggiunsero alcune cose, e inventarono qualche scienza, o parte di scienze; e i nomi Arabi insieme con dette aggiunte e invenzioni, sono diffusi universalmente in Europa. Così sempre è accaduto negli antichi, ne' mezzani, ne' moderni tempi. La filosofia Chinese p.e. ha nomenclatura diversa dalla nostra, ed ognun sa quanto ella ne differisca: oltre ch'ella non può in nessun modo chiamarsi scienza esatta nè simile all'esatte, come la moderna nostra. Così dico delle altre scienze chinesi. Così della filosofia degli Ebrei, che avendo altra nomenclatura, ha, rispetto alla nostra, un'idea di originalità , massime in quelle parti dove i loro nomi differiscono da quelli della filosofia latina, [1230](divenuti poi comuni in Europa ec.) nella qual lingua conosciamo i libri Ebraici. Oltre che l'Ebraica filosofia è pure inesatta come ho spiegato di sopra, e quindi tanto meno copiosa ne' termini, e meno precisa ne' loro significati. ec. ec. ec.
(26. Giugno 1821.)
Da repere che anche il Forcellini dice esser metatesi di ????, oltre l'inerpicare del quale ho detto altrove, ed oltre il lati...
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