[Pagina precedente]...ltre parti dell'Asia divenute greche di lingua e di costumi dopo la conquista di Alessandro, e così dell'Egitto, o di qualunque luogo dove la lingua greca prevalesse nell'uso quotidiano, ovvero anche solamente come lingua degli scrittori e della letteratura. Nessuno di questi scrisse in latino, ma tutti in greco, eccetto pochissimi (come Claudiano, e Igino Alessandrini, Petronio Marsigliese ec.); che son quasi nulla rispetto al numero ed estensione delle dette provincie greche, massime paragonandoli alla gran copia degli altri scrittori latini forestieri di ciascuna provincia, ancorchè minore. E di questi pochissimi nessuno arrivò, non dico all'eccellenza, ma appena alla mediocrità nella lingua latina. V. p.1029. E Macrobio, che si stima uno di questi pochissimi, si scusa se ec. (v. il Fabricio, B. Latina t.2. p.113. l.3. c.12. §.9. nota (a.)) e di lui dice Erasmo (in Ciceroniano) Graeculum latine balbutire credas. (Fabric. ivi) Cosa applicabilissima agli odierni francesi per lo più balbettanti nelle altrui lingue, e massime nella nostra. E di Ammiano Marcellino, altro di questi pochissimi, e più antico di Macrobio, dice il Salmasio (Praef. de Hellenistica p.39.) ec. V. il Fabricio l.c. p.99.nota(b) l.3. c.12
[992]Ma del resto i greci di qualunque parte, ancorchè sudditi romani, ancorchè cittadini romani, ancorchè vissuti lungo tempo in Roma o in Italia, ancorchè scrivendo precisamente in Italia o in Roma, e in mezzo ai latini, ancorchè scrivendo ai romani tanto gelosi del predominio del loro linguaggio, come sì è veduto p.982-983. ancorchè nel tempo dell'assoluta padronanza, ed intiera estensione del dominio della nazione latina, ancorchè impiegati in cariche, in onori ec. al servizio de' Romani, e nella stessa Roma, ancorchè finalmente nominati con nomi e prenomi latini, scrissero sempre in greco, e non mai altrimenti che in greco. Così Polibio, familiare, compagno, e commilitone del minore Scipione; così Dionigi d'Alicarnasso, vissuto 22 anni in Roma; così Arriano prenominato Flavio (Fabric. B. G. 3.269. not. b.) fatto cittadino Romano, senatore, Console, caro all'imperatore Adriano, e mandato prefetto di provincia armata in Cappadocia; così Dione Grisostomo, cognominato Cocceiano dall'Imperatore Cocceio Nerva, vissuto gran tempo in Roma, e familiare del detto Imperatore e di Traiano; così l'altro Dione prenominato Cassio e cognominato parimente Cocceiano ec.; così Plutarco ec.; così Appiano ec. così Flegone, ec.; così Galeno prenominato Claudio ec.; così Erode Attico prenominato Tiberio Claudio, ec.; così Plotino ec.; (v. per ciascuno di questi il Fabricio) così quell'Archia poeta ec. (v. Cic. pro Archia).
Da tutto ciò si deduce in primo luogo, quanto, e con quanta differenza dalle altre nazioni, i greci [993]di qualunque paese fossero tenaci della lingua e letteratura loro, e noncuranti della latina, anche durante e dopo il suo massimo splendore. Considerando ancora che generalmente gli scrittori greci di qualunque età, e nominatamente i sopraddetti e loro simili, che per le loro circostanze, parrebbono non solo a portata ma in necessità di aver conosciuto la letteratura latina, non danno si può dir mai segno veruno di conoscerla, nè la nominano ec. e se citano talvolta qualche autore latino, li citano e se ne servono per usi di storia, di notizie, di scienze, di teologia ec. non mai di letteratura. Questa è cosa universale negli scrittori greci.
In secondo luogo risulta dalle sopraddette cose, che i mezzi usati dai romani per far prevalere la loro lingua, come nelle altre nazioni, così in Grecia, e ne' moltissimi paesi dove il greco era usato, (v. p.982-83.) laddove riuscirono in tutti gli altri luoghi, non riuscirono e furon vani in questi. Ed osservo che la lingua latina non prevalse mai alla greca in nessun paese dov'ella fosse stabilita, sia come lingua parlata, sia come lingua scritta: laddove la greca avea prevaluto a tutte le altre in questi tali (vastissimi e numerosissimi) paesi, e in quasi mezzo mondo; e quello che [994]non potè mai la lingua nè la potenza nè la letteratura latina, lo potè, a quel che pare, in poco spazio, l'arabo, e le altre lingue o dialetti maomettani, (come il turco ec.) e così perfettamente, come vediamo anche oggidì. Ma la lingua latina, (eccetto nella Magna Grecia e in Sicilia) non solo non estirpò, ma non prevalse mai in nessun modo e in nessun luogo alla lingua e letteratura greca, se non come pura lingua della diplomazia: quella lingua latina, dico, la quale nelle Gallie aveva, se non distrutta, certo superata quell'antichissima lingua Celtica così varia, così dolce, così armoniosa, così maestosa, così pieghevole, (Annali 1811. n.18. p.386. Notiz. letterar. di Cesena 1792. p.142.) e che al Cav. Angiolini che se la fece parlare da alcuni montanari Scozzesi, parve somigliante ne' suoni alla greca: (Lettere sopra l'Inghilterra, Scozia, ed Olanda. vol.2do. Firenze 1790. Allegrini. 8vo anonime, ma del Cav. Angiolini) (Notizie ec. l.c.) lingua della cui purità erano depositarii e custodi gelosissimi quei famosi Bardi che avevano e conservarono per sì lungo tempo, ancor dopo la conquista fatta da' Romani, tanta influenza sulla nazione, e massime poi la letteratura: (Annali ec. l.c. p.385.386. principio.) quella lingua così ricca, e ogni giorno più ricca di tanti poemi, parte de' quali anche [995]oggi si ammirano. Questa lingua e letteratura cedette alla romana; v. p.1012. capoverso 1. la greca non mai; neppur quando Roma e l'Italia spiantata dalle sue sedi, si trasportò nella stessa Grecia. Perocchè sebbene allora la lingua greca fu corrotta finalmente di latinismi, ed altre barbarie, (scolastiche ec.) imbarbarì è vero, ma non si cangiò; e in ultimo, piuttosto i latini vincitori e signori si ridussero a parlare quotidianamente e scrivere il greco, e divenir greci, di quello che la Grecia vinta e suddita a divenir latina e parlare o scrivere altra lingua che la sua. Ed ora la lingua latina non si parla in veruna parte del mondo, la greca, sebbene svisata, pur vive ancora in quell'antica e prima sua patria. Tanta è l'influenza di una letteratura estesissima in ispazio di tempo, e in quantità di cultori e di monumenti; sebbene ella già fosse cadente a' tempi romani, e a' tempi di Costantino, possiamo dire, spenta. Ma i greci se ne ricordavano sempre, e non da altri imparavano a scrivere che da' loro sommi e numerosissimi scrittori passati, siccome non da altri a parlare, che dalle loro madri. V. p.996. capoverso 1. Certo è che la letteratura influisce sommamente sulla lingua. (V. p.766. segg.) Una lingua senza letteratura, o poca, non difficilmente si spegne, o si travisa in maniera non riconoscibile, non potendo ella esser formata, nè per conseguenza troppo radicata e confermata, siccome immatura e imperfetta. E questo accadde alla lingua Celtica, forse perch'ella scarseggiava sommamente di scritture, sebbene abbondasse di componimenti, che per lo più passavano solo di bocca in bocca. Non così una lingua abbondante di scritti. Testimonio ne sia la Sascrita, [996]la quale essendo ricca di scritture d'ogni genere, e di molto pregio secondo il gusto orientale, e della nazione, vive ancora (comunque corrotta) dopo lunghissima serie di secoli, in vastissimi tratti dell'India, malgrado le tante e diversissime vicende di quelle contrade, in sì lungo spazio di tempo. E sebbene anche i latini ebbero una letteratura, e grande, e che sommamente contribuì a formare la loro lingua, tuttavia si vede ch'essa letteratura, venuta, per così dire, a lotta colla greca, in questo particolare, dovè cedere, giacchè non solamente non potè snidare la lingua e letteratura greca, da nessun paese ch'ella avesse occupato, ma neanche introdursi nè essa nè la sua lingua in veruno di questi tanti paesi.
(29. Aprile. 1821.). V. p.999. capoverso 1.
Alla p.995. Infatti i greci anche nel tempo della barbarie, conservarono sempre la memoria, l'uso, la cognizione delle loro ricchezze letterarie, e la venerazione e la stima de' loro sommi antichi scrittori. E questo a differenza de' latini, dove ne' secoli barbari, non si sapeva più, possiamo dir, nulla, di Virgilio, di Cicerone ec. L'erudizione e la filologia non si spensero mai nella Grecia, mente erano ignotissime in Italia; anzi nella Grecia essendo subentrate alle altre buone e grandi discipline, durarono tanto che la loro letteratura sebbene spenta già molto innanzi, quanto al fare, non si spense mai quanto alla memoria, alla cognizione e [997]allo studio, fino alla caduta totale dell'impero greco. Ciò si vede primieramente da' loro scrittori de' bassi tempi, in molti de' quali anzi in quasi tutti (mentre in Italia il latino scritto non era più riconoscibile, e nessuno sognava d'imitare i loro antichi) la lingua greca, sebbene imbarbarita, conserva però visibilissime le sue proprie sembianze: ed in parecchi è scritta con bastante purità, e si riconosce evidentemente in alcuni di loro l'imitazione e lo studio de' loro classici e quanto alla lingua e quanto allo stile; sebbene degenerante l'una e l'altro nel sofistico, il che non toglie la purità quanto alla lingua. Arrivo a dire che in taluni di loro, e ciò fino agli ultimissimi anni dell'impero greco, si trova perfino una certa notabile eleganza e di lingua e di stile. In Gemisto è maravigliosa l'una e l'altra. Tolti alcuni piccoli erroruzzi di lingua (non tali che sieno manifesti se non ai dottissimi) le sue opere o molte di loro si possono sicuramente paragonare e mettere con quanto ha di più bello la più classica letteratura greca e il suo miglior secolo. Oltre a ciò l'erudizione e la dottrina filologica, e lo studio de' classici è manifesto negli scrittori greci più recenti, a differenza de' latini. Gli antichi classici, e singolarmente Omero, benchè il più antico di tutti, non lasciarono mai di esser citati negli scritti greci, finchè la Grecia ebbe chi scrivesse. E vi si alludeva spessissimo ec. Non domanderò ora qual uomo latino nel terzo secolo si possa paragonare a un Longino o a un Porfirio. Non chiederò che mi si mostri nel nono secolo, anzi in tutto lo spazio che corse dopo il 2do secolo fino al 14mo, un latino, non dico uguale, ma somigliante [998]di lontano a Fozio, uomo nei pregi della lingua e dello stile non dissimile dagli antichi, e superiore agli stessi antichi nell'erudizione e nel giudizio e critica letteraria, doti proprie di tempi più moderni. Tenendomi però a' tempi bassissimi, e potendo recare infiniti esempi, mi contenterò degli scritti di quel Giovanni Tzetze, che fu nel 12mo secolo, e di Teodoro Metochita che viveva nel 14mo; scritti pieni di indigesta ma immensa erudizione classica.
Secondariamente la mia proposizione apparisce da quei greci che vennero in Italia nel trecento, e dopo la caduta dell'impero greco, nel quattrocento. E mentre in Italia si risuscitavano gli antichi scrittori latini che giacevano sepolti e dimenticati da tanto tempo nella loro medesima patria, i greci portavano qua il loro Omero, il loro Platone e gli altri antichi, non come risorti o disseppelliti fra loro, ma come sempre vissuti. Della erudizione e dottrina di quei greci, delle cose che fecero in Italia, delle cognizioni che introdussero, delle opere che scrissero, parte in greco, ed alcune proprio eleganti; parte in latino, riducendosi allora finalmente per la prima volta ad usare il linguaggio de' loro antichi e già distrutti vincitori; essendo cose notissime, non accade se non accennarle.
(29. Aprile. 1821.)
[999]Alla p.996. E la letteratura latina non potè impedire che la sua lingua non si spegnesse, laddove la greca ancor vive, benchè corrotta, perchè sapendo il greco antico, si arriva anche senza preciso studio a capire il greco moderno. Non così sapendo il latino, a capir l'italiano ec. Onde la presente lingua greca non si può distinguere dall'antica, come l'italiano ec. dal latino, che son lingue precisamente diverse, benchè parenti. E neppure si capisce l'italiano sapendo il francese, nè ec.
(29. Aprile. 1821.). V. p.1013. capoverso ...
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