[Pagina precedente]...on vendititare); da meritus di merere, meritare; (il quale par continuativo e talora denotante costume), da pavitus antico part. di pavere, pavitare; da solitus ec. solitare; da latitus, antico participio, o da latitum antico sup. di latere, fecero latitare; [1113]da monitus di monere, monitare; da domitus di domare, domitare; da dormitus o dormitum di dormire, dormitare; da licitus di liceri, licitari; da vomitus di vomere, vomitare; da territus, territare; da itus o itum del verbo ire, itare; da pollicitus di polliceri, pollicitari; da exercitus part. di exercere, exercitare; da citus part. di cieo, citare, e i suoi composti; da strepitus o strepitum antico supino o participio di strepere, e da crepitus o crepitum di crepare, strepitare e crepitare; da scitus di sciscere o di scire scitari, sciscitare e sciscitari; da noscitus o noscitum antico sup. o part. di noscere, noscitare; da agitus antico particip. di agere, contratto poscia in agtus, e finalmente mutato in actus, agitare. La quale eccezione merita d'esser notata, giacchè in questi casi la formazione de' frequentativi non differisce da quella de' continuativi, e si potrebbero confonder tra loro. Ed anche qualche verbo terminato in itare o itari, ma formato da un participio o sup. in itus o itum, apparterrà o sempre o talvolta ai continuativi, (come p.e. agitare, domitare ec. e v. Forcellini in tinnito) vale a dire non cadrà in detta desinenza, se non per esser derivato da un tal participio o supino. V. p.1338. principio. Minitari e minitare formati da minatus di minari e minare, sono così fatti o per contrazione, e troncamento non solo dell'us ma dell'atus del participio, affine di sfuggire il cattivo suono atitare; o per mutazione dell'a del participio in i, fatta allo stesso effetto. Similmente rogitare da rogatus di rogare, coenitare da coenatus di coenare. V. p.1154. V. p.1656. capoverso 1.
Mi sono allungato in questo discorso, ed ho voluto spiegare distintamente tutte queste cose, perchè non mi paiono osservate dai Gramatici nè da' vocabolaristi. Il Forcellini chiama indifferentemente frequentativi, tanto i verbi in itare o itari, come quelli che io chiamo continuativi. E s'inganna, perchè [1114]la differenza sì della formazione sì del significato, fa chiara la differenza di queste due sorte di verbi. P.e. raptare, ch'egli chiama frequentativo di rapere e che significa strascinare, ognun vede che quest'azione non è frequente ma continuata. E se i latini avessero voluto fare un frequentativo di rapere, dal participio raptus avrebbero fatto raptitare e non raptare, anzi Gellio fa menzione effettivamente di tal verbo raptitare, 9.6. nel qual luogo puoi vedere molti esempi di tali frequentativi in itare formati (com'egli pur nota) da' participii de' verbi originarii. E i verbi augere, salire, jacere, prehendere o prendere, currere, mergere, defendere, capere, dicere, ducere, facere, vehere, venire, pendere, gerere e altri tali che hanno i loro continuativi, auctare, saltare, iactare, prehensare o prensare, cursare, mersare, defensare, captare, dictare, ductare (che i gramatici chiamano contrazione di ductitare e sbagliano), v. p.2340. factare, vectare, ventare, pensare, gestare, formati tutti dal loro participio o supino, secondo le leggi da noi osservate; hanno pure i frequentativi auctitare, saltitare, iactitare, prensitare, cursitare, mersitare, defensitare, captitare, dictitare, ductitare, factitare, vectitare, ventitare, pensitare, gestitare, distinti per forma e per significato proprio dai detti continuativi, e non derivati (certo ordinariamente) da questi, (come va dicendo qua e là il Forcellini) ma immediatamente da' verbi originarii. V. p.1201. Il verbo videre, da cui nasce il verbo continuativo anomalo visere (in luogo di visare), ha pure il suo frequentativo visitare, dal participio [1115]visus comune a videre col suo continuativo visere, e ciò per anomalia. Legere e scribere, che hanno i loro frequentativi ec. si crede ancora che abbiano i continuativi lectare e scriptare de' quali v. il Forcellini v. Lecto, che non sono frequentativi, nè lo stesso che lectitare e scriptitare, come dice esso Forcellini ib. e v. Scripto. Così pure del verbo vivere che ha il frequentativo victitare, credono alcuni di trovare in Plauto victare (Captiv. 1.1.V.15.) Da prandere che ha il frequentativo pransitare, noi abbiamo pransare che oggi si dice pranzare, ma pranso agg. o partic. e sost. si trova nel Caro e in Dante. (Alberti) V. i Diz. spagnuoli. V. p.2194. V. p.1140. e 2021. Da mansus di manere si ha mantare (per mansare), e mansitare. V. p.2149. fine.
Anzi non solo i gramatici non distinguono ch'io sappia il frequentativo dal continuativo, ma neppur conoscono, per quello ch'io sappia, questo genere di verbi, che è pur così numeroso, e importante, e che io chiamo continuativo con voce nuova, perchè nuova è l'osservazione.
Ben è tanto vero, quanto naturale e inevitabile che le significazioni e proprietà primitive de' verbi continuativi, frequentativi, originarii, furono molte volte confuse nell'uso, non solo della barbara latinità, o delle lingue figlie, ma degli stessi buoni ed ottimi scrittori, massime da' non antichissimi. E si adoperò p.e. il continuativo nel significato del suo primo verbo; o perduto il primo verbo restò solo il continuativo, e s'adoprò in vece di quello (come noi italiani, francesi ec. diciamo saltare ec. per quello che i buoni latini dicevano salire, verbo oggi perduto in questa significazione, e trasferito ad un'altra ec. ec. v. p.1162. e per lo latino saltare, diciamo ballare, danzare ec.); o forse anche il continuativo talvolta prese la forza del [1116]frequentativo, o qualche volta viceversa; o finalmente il verbo positivo si adoprò in vece del continuativo disusato o no. Differenze menome, e quasi metafisiche, difficilissime o impossibili a conservarsi nelle lingue anche coltissime, e studiatissime; e gelosissime, anzi severissime della proprietà, come la latina; e che dileguandosi appoco appoco, danno luogo alla nascita de' sinonimi, de' quali v. p.1477. segg. E il Forcellini nota molte volte che il tale e tale frequentativo è spesso ed anche sempre usato nel senso medio del suo positivo, nè perciò veruno dubita o dell'esistenza di questo genere di verbi, o che quei tali non sieno frequentativi propriamente e originariamente. I verbi formati nuovamente da' participi nelle lingue figlie della latina, non hanno ordinariamente se non la forza del positivo latino. V. p.2022.
Questa facoltà de' continuativi, è una delle bellissime facoltà, non ancora osservata, con cui la lingua latina diversificando regolarmente i suoi verbi e le sue parole, le adattava ad esprimere con precisione le minute differenze delle cose, e traeva dal suo fondo tutto il possibile partito, applicandolo con diverse e stabilite inflessioni e modificazioni a tutti i bisogni del linguaggio; e si serviva delle sue radici per cavarne molte e diverse significazioni, distintissime, chiare, certe, e senza confusione; e moltiplicava con sommo artifizio e poca spesa la sua ricchezza, e accresceva la sua potenza. Questa facoltà manca alla lingua italiana, la qual pure si è fatti i suoi nuovi verbi frequentativi e diminutivi, formandoli da' verbi originarii con modificazioni di desinenza. Verbi derivati, che ora hanno la sola forza frequentativa, come appunto spesseggiare e pazzeggiare, passeggiare ec. punteggiare, da punto o da pungere ec. ora la sola diminutiva, come tagliuzzare, sminuzzolare, albeggiare [1117](formato però non da altro verbo, ma da nome, come altri pure de' precedenti; che così pure usa felicemente l'italiano),10 arsicciare (siccome in lat. ustulare, che anche i latini hanno i loro verbi puramente diminutivi); ora l'una e l'altra insieme al modo de' verbi latini in itare, come canticchiare, canterellare, formicolare ec. (v. il Monti a questa voce, e alla v. frequentativo). E di altre tali formazioni di verbi e d'altre voci; formazioni arditissime, utilissime a significare le differenze delle cose, e moltiplicare l'uso delle radici, senza confondere i significati, abbonda la lingua italiana in modo singolare, e più (credo io) che la latina, e la stessa greca. Ma de' continuativi manca affatto, se alle volte non dà (come mi pare) questo o simile significato a qualche frequentativo, o vogliamo spesseggiativo. V. p.1155. Manca pure, cred'io, la detta facoltà alla lingua greca, sì gran maestra nel diversificare e modificare le sue radici, e moltiplicare le significazioni; ma per affermarlo mi bisognerebbe più lunga considerazione. E nella stessa lingua latina, ch'ebbe questa bella facoltà da principio, sembra che poi andasse in disuso, e in dimenticanza, continuando forse talvolta ad usarsi, con formare nuovi verbi di tal fatta, ma con una nozione confusa e non precisa del valore di tal formazione, e con significato non ben distinto dagli altri verbi; come fecero pure de' continuativi già formati e introdotti. [1118]Giacchè negli stessi antichi gramatici o filologi latini de' migliori secoli, non trovo notizia nè osservazione positiva di questa proprietà della loro lingua. V. p.1160.
Vo anche più avanti e dico che, secondo me, quasi tutti i verbi latini terminati nell'infinito in tare o tari (dico tare, non itare) non sono altro che continuativi di un verbo positivo o noto o ignoto oggidì, e spesso andato anticamente in disuso, restando solo i suoi derivati, o il suo continuativo, adoperato quindi bene spesso in vece sua. E credo che l'infinito di detti verbi in tare o tari, indichino il participio del verbo positivo, o il supino, troncando la desinenza in are o ari, e ponendo quella in us o in um. Come optare, secondo me, dinota un participio optus di un verbo primitivo e sconosciuto, di cui optare sia il continuativo. E mi conferma in questa opinione il vedere in alcuni di questi verbi conservato per anomalia come abbiamo notato in visere, un participio che non pare appartenente se non ad un altro verbo primitivo, e dal qual participio medesimo io credo formato quel verbo che rimane. Per esempio il verbo potare, che, oltre potatus, ha il participio potus. Io credo che questo participio anomalo in detto [1119]verbo, non sia contrazione di potatus, come dicono i gramatici, ma participio regolare di un verbo che avesse il perfetto povi, come motus ha il perfetto movi, fotus ha fovi, votus vovi, notus novi da nosco, di cui notare è continuativo, e fa nel participio non già notus ma notatus. E la prima voce indicativa di detto verbo originario di potare, sarebbe stata poo, chè appunto da ??? verbo greco antico e disusato in questa e nella più parte delle sue voci, stimano i gramatici che derivi potare. (Forcellini.) Ed osservo che la propria significazione di potare è infatti continuativa, e denota azione più lunga che il verbo bibere, come può sentire ogni orecchio avvezzo alla buona e vera latinità. Saepe est largius vino indulgere, poculis deditum esse, dice il Forcellini di esso verbo. Onde potatio non è propriamente il bere ma beveria ec. cioè un bere continuato, come si può vedere ne' due primi esempi del Forcellini, che sono di Plauto e Cicerone laddove nel terzo ch'è di Seneca, vale lo stesso che potio, cioè bevuta, per la improprietà di quello scrittore più moderno, e meno accurato. E vedete appunto che potio parola derivata da potus participio del verbo perduto ch'io dico, significa azione poco continuata, cioè una semplice bevuta: Cum ipse poculum dedisset, [1120]subito illa in media potione exclamavit, (Cic.) cioè nell'atto di bere. Laddove potatio formata da potatus di potare, significa beveria, come ho detto, e non si potrebbe propriamente e convenientemente esprimere con una voce formata dal verbo bibere. Osservazione, secondo me, assai forte, e che serve a dimostrare e confermare sì l'esistenza del detto verbo originario di potare, ed avente il participio potus, sì tutta la mia teoria de' verbi continuativi.
Rechiamo un altro esempio di tali participi anomali dinotanti l'esistenza di un v...
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