[Pagina precedente]...oggetta ad esserne alterata, se non altro, nel suo fondo principale: 3° conoscendo noi bastantemente i tempi della lingua latina anteriori a dette relazioni, le alterazioni che poterono poi sopravvenire a essa lingua non pregiudicano alle nostre ricerche, le quali riguardano gli antichissimi elementi di quella lingua che si parlava quando Roma o non era ancor nata, o era fanciulla. Infatti gli eruditi inglesi che hanno cercato di provare l'affinità del sascrito colle lingue antiche Europee, sebben credono la greca derivata dall'origine stessa che la latina, hanno tuttavia scelto piuttosto questa per le loro osservazioni, dicendo che la penisola d'Italia vorrà probabilmente riputarsi più favorevole (della Grecia) alla pura trasmissione della lingua originale, potendo essa essersi tenuta più lontana dalla mescolanza di nazioni circonvicine, e di linguaggi diversi. (Edinburgh Review. Annali di Scienze e lett. Milano 1811. Gennaio. n.13. p.38. fine.) E si trova effettivamente maggiore analogia fra certe voci ec. latine e sascrite, che fra le stesse greche e sascrite, e pare che la lingua lat. ne abbia meglio conservate le prime forme. L'H derivata dall'Heth dell'alfabeto fenicio, samaritano ed Ebraico, il quale Heth era un'aspirazione densa o aspra (Encyclop. planches des caractères) simile all'j spagnuolo (Villefroy), ha conservata nel latino la sua qualità di carattere aspirativo, laddove è passata a dinotare una e lunga nel greco, dove antichissimamente era pur segno d'aspirazione o spirito. La f e il v mancanti all'alfabeto Fenicio (Encyclop. l.c.) mancarono pure come vedemmo all'antico alfabeto latino V. p.2004-2329. (e la p.2371. fine)
3. E questa che son per dire è la ragione principale. Tutti sanno, e dalle cose ancora che abbiamo dette, si può vedere, quanto le lingue si allontanino [1137]immensamente dalla loro prima e rozza forma mediante la coltura. Una lingua non colta, e parlata da un popolo poco in relazione cogli altri, può conservarsi lunghissimo tempo o qual era da principio, o poco diversa, tanto che il primitivo facilmente vi si possa ripescare. La lingua latina fu veramente formata e stabilita e perfezionata solo negli ultimi tempi dell'antichità . Giacchè l'epoca del suo perfezionamento è quella di Cicerone. Ed oltre parecchi monumenti rozzi, ed anteriori non poco a questa perfezione, vale a dire, totale trasformazione della lingua latina primitiva, ci restano ancora molti scrittori di lingua assai meno rozza della prima, e meno colta della Ciceroniana. Mediante le quali cose, come per gradi, possiamo risalire, se non altro, assai vicino ai principii della lingua latina.
Ora per lo contrario la formazione e quasi perfezione della lingua greca appartiene non solo alla più lontana epoca dell'antichità che noi conosciamo distintamente, ma anzi ad un'epoca ancora tenebrosa e favolosa. E il più antico monumento della scrittura greca che ci rimanga, è forse anche (eccetto i libri sacri) la più antica scrittura [1138]che si conosca: dico Omero. E questo scrittore non solamente non è rozzo, ma tale che non ha pari di pregio in veruno de' secoli susseguenti. Nè tale avrebbe potuto essere senza una lingua o perfetta, o quasi. Bisogna dunque supporre (come tutti fanno) avanti Omero, una lunga serie di tempi e di scrittori ne' quali la lingua di rozza e impotente divenisse appoco appoco quale si vede in Omero. Ma i Catoni, i Plauti, i Lucrezi che precederono Omero, non ci restano, come quelli che precederono Cicerone e Virgilio, e neppure si ha certa memoria di nessuno di loro. Anzi da Omero in su ci si spegne ogni lume intorno alla lingua greca. V. dunque la gran differenza degli ostacoli allo scoprimento della prima lingua greca, paragonati con quelli per la prima lingua latina. Possiamo dire che nella lingua latina abbiamo la stessa antichità della greca, e contuttociò un'antichità meno antica e più vicina a noi.
Io credo però che la ricerca di questa, ci farà strada alla ricerca delle origini greche. Stante che la lingua latina è sorella della greca, ed arrivando alla fonte di quella, si giunge dunque alla fonte di questa. O se il latino è derivato dal greco, certo n'è derivato in antichissima età , e così verremo ad illuminare mediante le origini latine, quest'antichissima età della lingua greca. V. p.1295.
Se è vera l'opinione del Lanzi che la lingua [1139]Etrusca non sia fuori che un misto dell'antichissimo latino e dell'antichissimo greco, detta lingua, e il suo studio potrà molto giovare a queste nostre ricerche. E vicendevolmente le osservazioni che abbiam fatto, dovranno poter giovare notabilmente alla intelligenza e rischiaramento della lingua Etrusca ancora sì tenebrosa, e per l'altra parte altrettanto interessante.
(29. Maggio-5. Giugno 1821.)
Alla p.1127. E lo pronunziavano così leggermente, che ora sebbene ne resta un vestigio nella scrittura, convertito nel segno dell'aspirazione, è svanito però del tutto dalla pronunzia, anche come semplice aspirazione. Similmente i francesi, per quello che noi diciamo fuori o fuora e gli spagnuoli fuera dal lat. foras o foris, dicono hors, aspirando però l'h. In luogo di voce i Veneziani dicono ose dileguato il v. Il ? greco, non è, come si sa, che un ? aspirato, come si vede anche nelle mutazioni gramaticali e sostituzioni dell'una di tali lettere all'altra. Mancava, come si dice, al primitivo alfabeto greco detto Cadmeo o Fenicio, e vi fu aggiunto, come dicono, da Palamede (Plin. 7.56.) insieme col ? e col ? che sono un ? ed un ? aspirati (Servius ad Aen. 2. vers.81.) V. Fabric. B. G. I. 23. §.2. e il Lessico dell'Hofmanno, v. Literae. È anche probabile che mancasse all'Alfabeto ebraico e che il b non fosse che un p. lettera che oggi manca a detto alfabeto. V. p.1168. L'alfabeto chiamato Devanagari ossia quello della lingua sascrita, (dalla quale alcuni dotti inglesi fanno derivar la latina) sebbene composto di 50 lettere manca, della f, e invece la detta lingua adopera un b, o un p aspirati. (Annali di Scienze e lettere. Milano 1811, n.13, p.43.) ec. ec. (5. Giugno 1821.). Considera ancora il nome greco di Giapeto, da Jafet, ebreo o fenicio ec.
[1140]Alla p.1115. E perchè meglio si veda la differenza reale tra i frequentativi e i continuativi, ogni volta che questi verbi erano usati dagli scrittori, secondo il loro valor proprio, consideriamo quel passo di Virgilio (Aen. 2.458. seq.) dove dice Enea che salì alla sommità della reggia di Priamo assediata da' Greci:
Evado ad summi fastigia culminis: unde
Tela manu miseri IACTABANT irrita Teucri.
Per poco che s'abbia l'orecchio avvezzo al latino, facilmente si vede come impropria e debole in questo luogo sarebbe la parola iaciebant invece di iactabant. Ma quanto male vi starebbe anche iactitabant, cioè il frequentativo di iacere, si vedrà ponendo mente che detta parola avrebbe significato lanciare spesso, ed anche languidamente; laddove iactabant, continuativo, significa lanciavano assiduamente, e a distesa senza veruna intermissione. E così questo verbo riesce proprissimo, ed ottimamente quadra al bisogno. E l'azione qui viene ad essere continuativa, e non frequentativa, che è troppo poco ad una resistenza ostinata quale Virgilio voleva esprimere. V. dunque la differenza fra il continuativo e il frequentativo, e se iactare sia frequentativo come dicono i gramatici. Nè mi si dica che Virgilio voleva esprimere una resistenza debole e inutile, e però volle usare una parola che esprimesse certo languore di azione. Debole e inutile, [1141]rispetto alle forze superiori de' greci, non già debole rispetto alle forze degli assediati, anzi tanta quanta più si poteva. E Virgilio vuol descrivere una resistenza quanto più vana, tanto più disperata. E così quel miseri e quell'irrita che esprimono l'inutilità della resistenza fanno un bello e vivo contrapposto collo iactabant che esprime lo sforzo, l'infaticabilità , l'affanno, l'ostinazione, la ferocia, la fermezza, la pienezza della resistenza, e rende questo luogo sommamente espressivo in virtù della proprietà delle parole, al solito di Virgilio. La qual bellezza, e la piena forza e il vero senso di questo verbo nel detto luogo e in altri simili, come ancora di altri tali verbi in tali usi, e le bellezze d'altri siffatti luoghi, non credo che sieno state mai sentite da nessun moderno, per non essersi mai posto mente alla vera proprietà , alla propria forza, natura, indole di questo genere di verbi che chiamo continuativi. Servio spiega, IACTABANT: Spargebant, quasi nihil profutura, senso che non ha che far niente con quello che abbiamo osservato, e che deriva dal credere iactare un verbo tra frequentativo e diminutivo, come iactitare o presso a poco; e che tuttavia credo essere il senso nel quale questo e mille altri luoghi simili ed analoghi sono stati e sono intesi da tutti.
(6. Giugno 1821.). V. p.2343.
[1142]Alla p.1109. Fra' quali da depositus di deponere il verbo depositare o dipositare italiano, e lo spagnuolo depositar e il latinobarbaro depositare, verbo che continua quanto si può l'azione del deporre, significando il deporre una cosa che non si debba ripigliare così tosto, o il deporla raccomandandola, e commettendola alla fede, o ponendo in cura e custodia altrui, che ognun vede essere azione più lunga del deporre, e quanto il deporre sia più semplice. Il Glossar. latino barbaro ha similmente assertare ec. da assertus ec. usitare frequentativo ec. da usus ec. conservato in italiano, come pure il suo participio in francese ec. V. il detto Glossar.
Molti di così fatti verbi che si stimano di origine o barbara o recente, e nati ne' tempi della bassa latinità , o ne' principii delle lingue nostre, io credo che sieno antichi continuativi latini o perduti o non ammessi nell'uso de' buoni scrittori, e pervenuti alla lingue nostre mediante il latino volgare. Portiamone alcune prove.
Versare è continuativo di vertere dal suo participio versus. Il Forcellini lo chiama frequentativo. E io domando se in questi esempi ch'egli adduce (v. gli esempi del primo §.) versare importa frequenza o continuazione. E così quando Orazio disse
Vos exemplaria graeca
Nocturna versate manu, versate diurna
facilmente si vede che dicendo vertite avrebbe detto assai meno, e significata l'assiduità molto impropriamente. Così discorrete del passivo versari che [1143]significa un'azione o passione della quale non so qual possa essere di sua natura più continua. Così di conversari, adversari ec. Da versare o da transversus, participio di transvertere, deriva transversare, e da questo il traversare, l'attraversare, e l'intraversare italiano, il francese traverser, e lo spagnuolo travessar e atravessar. Ma il verbo transversare escluso dagli onori del Vocabolario sta relegato ne' Glossari, come in quello del Du Cange che l'interpreta transire, trajicere; e il Forcellini lo rigetta appiè del suo Vocabolario nello spurgo delle voci trovate senza autorità competente ne vecchi Dizionari latini, e lo spiega transverse ponere. Nè la recente Appendice al Forcellini lo toglie di quel posto o lo ricorda in veruna guisa. Ora ecco questa parola barbara in un gentilissimo poemetto o idillio del secolo di Augusto o del susseguente, dico in quel poemetto che s'intitola Moretum, (attribuito da alcuni a Virgilio, da altri ad un A. Settimio Sereno o Severo, poeta Falisco del tempo de' Vespasiani) ad imitazione del quale, (cosa finora, ch'io sappia, non osservata) il nostro Baldi scrisse il famoso Celeo, dove quasi traduce i primi versi del poemetto latino. Dice dunque l'autore d'esso poemetto
[1144]Contrahit admistos nunc fontes atque farinas:
TRANSVERSAT durata MANU, liquidoque coactos
Interdum grumos spargit sale.
(v.45. seqq.)
Cioè vi passa e ripassa sopra colla mano, attraversa quella pasta già sodetta colla mano. Ecco dunque il verbo transversare, e le nostre parole ec. di origine antica, e latina pura.
Potrebbe darsi che transversare volesse dire a un dipresso versare, cioè rivolgere e dimenare fr...
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