[Pagina precedente]...e per la prima volta prenda a leggere questo scrittore, resta attonito e spaventato, e laddove stimava d'essere alla fine del cammino negli studi sopraddetti, comincia a credere di non essere a mala pena al mezzo. Ed io posso dire per esperienza che la lettura del Bartoli, fatta da me dopo bastevole notizia degli scrittori italiani d'ogni sorta e d'ogni stile, fa disperare di conoscer mai pienamente la forza, e la infinita varietà delle forme e sembianze che la lingua italiana può assumere. Vi trovate in una lingua nuova: locuzioni e parole e forme delle quali non avevate mai sospettato, benchè le riconosciate ora per bellissime e italianissime: efficacia ed evidenza tale di espressione che alle volte disgrada lo stesso Dante, e vince non solo la facoltà di qualunque altro scrittore antico o moderno, di qualsivoglia lingua, ma la stessa opinione delle possibili forze della favella. E tutta questa novità non è già novità che non s'intenda, che questo non sarebbe pregio ma vizio sommo, e non farebbe vergogna al lettore ma allo scrittore. Tutto s'intende benissimo, e tutto è nuovo, e diverso dal consueto: [1315]ella è lingua e stile italianissimo, e pure è tutt'altra lingua e stile: e il lettore si maraviglia d'intender bene, e perfettamente gustare una lingua che non ha mai sentita, ovvero di parlare una lingua, che si esprime in quel modo a lui sconosciuto, e però ben inteso. Tale è l'immensità e la varietà della lingua italiana, facoltà che pochi osservano e pochi sentono fra gli stessi italiani più dotti nella loro lingua; facoltà che gli stranieri difficilmente potranno mai conoscere pienamente, e quindi confessare.
(13. Luglio 1821.)
Il successivo cambiamento delle disposizioni dell'animo di ciascun uomo secondo l'età , è una fedele e costante immagine del cambiamento delle generazioni umane nel processo de' secoli. (E così viceversa). Eccetto che è sproporzionatamente rapido, massimamente oggidì, perchè il giovane di venticinque anni non serba più somiglianza alcuna col tempo antico, nè veruna qualità , opinione, disposizione, inclinazione antica, come l'immaginazione, la virtù ec. ec. ec.
(13. Luglio 1821.)
Alla p.1256. fine. E tanto è vero che l'idea di questa tal bellezza non venga da tipo ec. ma da inclinazione naturale, e da senso affatto indipendente dalla sfera del bello e del conveniente; [1316]che la inclinazione chiamata da Aristofane ?????????? ???? (v. assolutamente il Menagio, ad Laert. Polemon., 4. 19.), fa parer bella e desiderare ai libidinosi una ?????????? eccessiva e maggiore assai delle proporzioni generali, e seguite comunemente dalla natura, e quindi non bella. Applicate questa osservazione a tutte le altre idee che ha della bellezza femminile il ?????? ?????? ????????????? ???????. (Crate Tebano, Cinico, ap. Laert. in Crat. Theb. 6.85. v. quivi il Menag.) Idee diverse da quelle più stabilite e comuni, e non per tanto radicatissime e sensibilissime in loro, che altrove non riconoscono e non sentono la bellezza femminile.
(13. Luglio 1821.)
La nostra lingua ha, si può dire, esempi di tutti gli stili, e del modo nel quale può essere applicata a tutti i generi di scrittura: fuorchè al genere filosofico moderno e preciso. Perchè vogliamo noi ch'ella manchi e debba mancare di questo, contro la sua natura, ch'è di essere adattata anche a questo, perchè è adatta a tutti gli stili? Ma nel vero, quantunque l'esito sia certo, non s'è fatta mai la prova di applicare la buona lingua italiana al detto genere, eccetto ad alcuni generi scientifici [1317]negli scritti del Galilei del Redi, e pochi altri; ed alla politica, negli scritti del Machiavelli, e di qualche altro antico, riusciti perfettamente quanto alla lingua, ed in ordine alla materia, quanto comportavano i tempi e le cognizioni d'allora. Ma a quel genere filosofico che possiamo generalmente chiamare metafisico, e che abbraccia la morale, l'ideologia, la psicologia (scienza de' sentimenti, delle passioni e del cuore umano) la logica, la politica più sottile, ec. non è stata mai applicata la buona lingua italiana. Ora questo genere è la parte principalissima e quasi il tutto degli studi e della vita d'oggidì.
(13. Luglio 1821.)
I termini della filosofia scolastica possono in gran parte servire assaissimo alla moderna, o presi nel medesimo loro significato (quantunque la moderna avesse altri equivalenti), il che non farebbe danno alla precisione, essendo termini conosciuti nel loro preciso valore; o torcendolo un poco senz'alcun danno della chiarezza ec. E questi termini si confarebbero benissimo all'indole della lingua italiana, la quale ne ha già tanti, e i cui scrittori antichi, cominciando da Dante, hanno tanto adoperato detta filosofia, ed introdottala nelle scritture più colte ec. oltre che derivano tutti o quasi tutti dal latino, [1318]o dal greco mediante il latino ec. Anche per questa parte ci può essere utilissimo lo studio del latino-barbaro, ed io so per istudio postoci, quanti di detti termini, andati in disuso, rispondano precisamente ad altri termini della filosofia moderna, che a noi suonano forestieri e barbari; e possano essere precisamente intesi da tutti nel senso de' detti termini recenti: e così quanti altri ve ne sarebbero adattatissimi, e utilissimi, ancorchè non abbiano oggi gli equivalenti ec. ec. anzi tanto più. Aggiungete che benchè andati in disuso negli scrittori filosofi moderni, gran parte di detti termini è ancora in uso nelle scuole, o in parte di esse, e per questa e per altre ragioni, sono di universale e precisa e chiara intelligenza.
(13. Luglio 1821.). V. p.1402.
Alla p.1285. Osserviamo inoltre quanti vocaboli derivati da soli antichi errori di scrittura, si scoprano mediante la critica, essersi introdotti e ne' Vocabolari, e nell'uso stesso degli scrittori antichi o moderni, che sogliono formarsi sopra i più antichi, ed attingerne la lingua ec.
(14. Luglio 1821.)
Alla p.1259. principio. Nel che, intorno al giudizio del bello, non opera tanto l'assuefazione, quanto l'opinione. Giacchè di momento in momento varia il giudizio, e se noi [1319]vediamo una foggia di vestire novissima, e diversissima dall'usitata, noi subito o quasi subito la giudichiamo bella, e proviamo ben tosto il senso della bellezza, se sappiamo che quella foggia è d'ultima moda, e se al contrario, il contrario ci accade, perchè quella nuova foggia contrasta sì all'assuefazione nostra, come all'opinione. Aggiungete che noi giudichiamo bella quella nuova foggia di moda, quando pure contrasti a tutte le forme ricevute del bello, eccetto che allora, bastando un solo momento per formare il giudizio del bello, vi vorrà però proporzionatamente qualche poco di tempo per concepirne il senso istantaneo, vale a dire, acquistarne l'assuefazione, la quale conserva pur sempre i suoi dritti; e disfare l'assuefazione passata.
Del resto quanto la pura opinione indipendente dall'assuefazione stessa e da ogni altra cosa, influisca sul giudizio e senso del bello, si potrebbe mostrare con mille prove le più quotidiane, quantunque perciò appunto meno avvertite. Chi non sa che una bellezza mediocre, ci par grande, s'ella ha gran fama? E che ci sentiamo più inclinati, e proviamo il senso della bellezza molto più vivo nel mirare una donna famosa per la [1320]beltà , che nel mirarne una più bella, ma ignota, o meno famosa? Così pure se una donna non è bella, ma ha nome di esserlo o è celebre per avventure galanti, o è stata contrastata ec. ec. ec. Così dico degli uomini rispetto alle donne ec. ec. Così negli scrittori: il senso del bello è molto maggiore, più intimo, più frequente, più minuto, quando leggiamo p.e. un poeta già famoso, e di merito già riconosciuto, che quando ne leggiamo uno, del cui merito abbiamo da giudicare, sia pur egli più bello di molti altri che sommamente ci dilettano. Il formare il gusto, in grandissima parte non è altro che il contrarre un'opinione. Se il tal gusto, il tal genere ec. è disprezzato, o se tu in particolare lo disprezzi, quell'opera di quel tal gusto o genere ec. non piace. Nel caso contrario, e se tu cambi opinione, ecco che quella stessa opera ti dà sommo piacere, e ci trovi infinite bellezze di cui prima neppur sospettavi. Questo caso è frequentissimo in ogni genere di cose. Pochissimi trovavano piacere nella lettura del buono stile italiano, durante l'ultima metà del secolo passato, e i primi anni di questo. Oggi moltissimi; e quei medesimi che non vi trovavano alcun diletto, anzi noia ec., oggi se ne pascono con gran piacere, perchè l'opinione in Italia è cambiata. Fra questi così cambiati, sono ancor io.
[1321]Potrei condurre questo discorso a cento altri particolari. Lo stile dei trecentisti ci piace sommamente perchè sappiamo ch'era proprio di quell'età . Se lo vediamo fedelissimamente ritratto in uno scrittore moderno, ancorchè non differisca punto dall'antico, non ci piace, anzi ci disgusta, e ci pare affettatissimo, perchè sappiamo che non è naturale allo scrittore, sebben ciò dallo scritto non apparisca per nulla. Questa è dunque sola opinione; ragionevole bensì, ma dunque il bello non è assoluto, perchè la stessissima cosa, in diversa circostanza, ci par bella e brutta, e se noi non sapessimo p.e. la circostanza che quel tale scrittore sia moderno, quel suo scritto ci piacerebbe moltissimo. Così dite delle imitazioni le più fedeli nel genere letterario, o nelle arti ec. ragguagliate cogli originali, ancorchè non ne differiscano d'un capello, del che ho detto in altro pensiero. Così dite della simmetria ec. del che v. la p.1259. Così dite degli arcaismi i quali non ci offendono punto, nè ci producono verun senso di mostruosità in uno scrittore antico, perchè sappiamo che allora si usavano; e ci fanno nausea in un moderno, ancorchè di stile tanto simile all'antico, che quegli arcaismi non vi risaltino, o discordino dal rimanente nulla più che negli antichi scrittori.
(14. Luglio 1821.)
[1322]Ho detto altrove che la grazia deriva bene spesso (e forse sempre) dallo straordinario nel bello, e da uno straordinario che non distrugga il bello. Ora aggiungo la cagione di questo effetto. Ed è, non solamente che lo straordinario ci suol dare sorpresa, e quindi piacere, il che non appartiene al discorso della grazia; ma che ci dà maggior sorpresa e piacere il veder che quello straordinario non nuoce al bello, non distrugge il conveniente e il regolare, nel mentre che è pure straordinario, e per se stesso irregolare; nel mentre che per essere irregolare e straordinario, dà risalto a quella bellezza e convenienza: e insomma il vedere una bellezza e una convenienza non ordinaria, e di cose che non paiono poter convenire; una bellezza e convenienza diversa dalle altre e comuni. Esempio. Un naso affatto mostruoso, è tanto irregolare, che distrugge la regola, e quindi la convenienza e la bellezza. Un naso come quello della Roxolane di Marmontel, è irregolare, e tuttavia non distrugge il bello nè il conveniente, benchè per se stesso sia sconveniente; ed ecco la grazia, e gli effetti mirabili di questa grazia, descritti festivamente da [1323]Marmontel, e soverchianti quelli d'ogni bellezza perfetta. V. p.1327. fine. Se osserveremo bene in che cosa consista l'eleganza delle scritture, l'eleganza di una parola, di un modo ec., vedremo ch'ella sempre consiste in un piccolo irregolare, o in un piccolo straordinario o nuovo, che non distrugge punto il regolare e il conveniente dello stile o della lingua, anzi gli dà risalto, e risalta esso stesso; e ci sorprende che risaltando, ed essendo non ordinario, o fuor della regola, non disconvenga; e questa sorpresa cagiona il piacere e il senso dell'eleganza e della grazia delle scritture. (Qui discorrete degl'idiotismi ec. ec.) Il pellegrino delle voci o dei modi, se è eccessivamente pellegrino, o eccessivo per frequenza ec. distrugge l'ordine, la regola, la convenienza, ed è fonte di bruttezza. Nel caso contrario è fonte di eleganza in modo che se osserverete lo stile di Virgilio o di Orazio, modelli di eleg...
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