[Pagina precedente]...hia facciamo le braccia, da cornua, le corna, da genicula, diminutivo di genua (Forcellini), le ginocchia, da poma, le poma, da ossa, le ossa, da fila, le fila, da membra, le membra, da fundamenta, le fondamenta, da castella, le castella, da labia, le labbia, da labra, le labbra, da gesta, le gesta, da ligna, vestigia, le legna, le vestigia, da ova, le uova, da terga, le terga, da flagella, le flagella, le cervella, ec. le vestimenta, le ornamenta (v. la Crusca in vestimento), ec. le corna, le ciglia ec. da vasa, le vasa (Crusca, e Tansillo, Podere, capit.3. terz.2.) ec. Notate che quando gesto significa gestus us, non diciamo le gesta ma i gesti. E allora solo diciamo le gesta, quando gesto si piglia in senso neutro, e vuol dire cosa fatta, come in Corn. Nep. Obscuriora sunt eius gesta pleraque. (V. il Gloss. in Gesta.) Così diciamo interiori aggettivamente, ma le interiora (ed anche però gl'interiori) assolutamente per entragni, cioè in senso neutro, come Vegezio, Torsiones vocant, et interiorum incisiones. V. p.2340. fine. Ma nè fusum nè fusa non si trovano ne' Vocabolari latini, ma solamente fusus che fa nel plurale fusi. Or ecco ne' frammenti di Simmaco scoperti dal Mai (Q. Aurelii Summachi V. C. Octo Orationum ineditarum partes. Orat.3. scil. Laudes in Gratianum Augustum, cap.9. Mediol. 1815. p.35.): Et vere si fas est praesagio futura conicere, iamdudum aureum saeculum currunt FUSA Parcarum. Così ha il Codice Ambrosiano antichissimo, cioè di verso la metà del sesto secolo almeno, vale a dire un secolo al più dopo la morte dell'autore. E che non sia sbaglio di scrittura si conosce anche dal vedere che scrivendo fusi guasterebbesi quel ritmo di cui Simmaco era tanto vago e sollecito, e così perpetuo seguace, come può sapere ognuno che l'abbia [1182]letto, e come si può notare a prima giunta anche negli altri scrittori di quella età e delle circonvicine, e generalmente di tutti gli scrittori latini e greci di corrotta e affettata eleganza e rettorica. Questa voce fusa è stata notata dal Mai nell'Indice rerum notabiliorum, e dal Furlanetto nell'Appendice al Forcellini. V. pure il Forcell. e il Gloss. in saccus, sextarius, poichè noi diciamo le sacca, le staia. Dal che si potrebbe dedurre che l'antico volgo latino dicesse similmente murum, pugnum, fructum, lectum, sostantivo, digitum, anellum, risum, nel genere neutro, o almeno nel plurale, (oltre il mascolino che abbiamo in tali plurali anche noi) mura, pugna, fructa, lecta, digita, anella, risa, come noi diciamo le mura, le pugna, le frutta, le letta, le dita, le anella, le risa, e simili, quantunque non resti notizia precisa di queste voci latine, come fino a pochi anni addietro non si aveva notizia della voce che abbiamo veduta e che restava pure nell'italiano. Fructa e mura neutri plurali si ritrovano anche nel latino barbaro. (Du Cange.) Lectum sostantivo neutro è usato da Ulpiano nel Digesto, e v. Forcellini. (18. Giugno 1821.). Risus us dicono i buoni latini. Eppure essi dicono jussus us e parimente jussum i; e così altri tali verbali della quarta congiugazione (che risus è un puro verbale) gli fanno talora neutri della seconda, come pur gustum i, per gustus us, ec. su di che v. p.2146. e 2010. se vuoi.
Alla p.1173. Così dico pure delle gemme, e di tanti altri oggetti o di uso o di lusso, difficilissimi a procacciarsi, e non possibili senza infiniti travagli e disastri, ma che d'altra parte si considerano appresso a poco come necessari alla vita civile, e servono effettivamente, o sono anche necessari al commercio fra le nazioni, (che senza molti di tali oggetti, e di tali bisogni, non sussisterebbe), fonte principale della civiltà e quindi della pretesa felicità del genere umano.
[1183]Il pensiero precedente intorno all'effettiva necessità di tanti oggetti di lusso ec. per mantenere e dar motivo al commercio, necessario alla civiltà, quando anche i detti oggetti non sieno effettivamente e per se stessi nè bisognevoli nè utili alla vita, merita di essere ampliato: perchè i detti oggetti costando infiniti travagli all'umanità, si vede come sia necessaria alla civiltà l'inciviltà, alla perfezione l'imperfezione (nel senso in cui chiamiamo perfezione il suo contrario), alla umanità e delicatezza e raffinatezza ec. la barbarie della società.
(18. Giugno 1821.)
Quello che ho detto altrove intorno alla diversa impressione che fanno ne' fanciulli i nomi propri (e si può aggiungere le parole di ogni genere), e alle diverse idee che loro applicano di bellezza o di bruttezza, secondo le circostanze accidentali di quell'età, serve anche a dimostrare come sia vero che il bello è puramente relativo, e come l'idea del bello determinato non derivi dalla bellezza propria ed assoluta di tale o tale altra cosa, ma da circostanze affatto estrinseche al genere e alla sfera del bello.
Ed ampliando questa osservazione, se noi vorremo vedere come i fanciulli appoco appoco si formino [1184]l'idea delle proporzioni e delle convenienze determinate e speciali; e come senz'alcuna idea innata nè di proporzioni nè di convenienze particolari e applicate, giungano pur brevemente a giudicar quella cosa bella e quell'altra brutta, e quella buona, e quell'altra cattiva; e ad accordarsi più o meno col giudizio universale intorno alla bruttezza o bellezza, bontà o il suo contrario, senza però averne nell'intelletto o nella immaginazione alcun tipo; consideriamo per modo di esempio il progresso delle idee de' fanciulli circa le forme dell'uomo, e vediamo come appoco appoco arrivino a giudicare e a sentire la bellezza e la bruttezza estrinseca degl'individui umani.
Il fanciullo quando nasce non ha veruna idea del quali sieno e debbano essere le forme dell'uomo: (eccetto per quello ch'ei sente materialmente e può concepire delle sue proprie membra e parti, mediante l'esperienza de' sensi.) (Ma se egli non ha l'idea di dette forme, e questo è costante presso tutti gl'ideologi, come potrà averla della loro bellezza? Come potrà aver l'idea della qualità, non avendo quella del soggetto? E così discorrete di tutti gli altri oggetti suscettibili di bellezza, di nessuno de' quali il fanciullo ha idea innata. Come dunque potrà avere idea della bellezza, prima di aver la menoma idea di quelle cose che ponno esser belle? Poniamo un essere non soltanto possibile, ma reale, e che noi pur sappiamo ch'esista, senza però conoscerlo in altro conto. Che idea abbiamo noi della sua bellezza o bruttezza? Ma se è assolutamente ignoto quel bello e quel brutto che appartiene a forme ignote ec., dunque il bello non è assoluto.) L'acquista però ben presto col vedere, toccare ec. E vedendo p.e. in tutte le persone che lo circondano, il naso o la bocca di quella tal misura che noi chiamiamo proporzionata, si forma necessariamente e naturalmente l'idea che quella tal parte dell'uomo sia e debba essere di quella tal misura. Ecco subito l'idea di una proporzione non assoluta, ma relativa; idea non innata, ma acquisita, non derivata [1185]dalla natura nè dall'essenza delle cose, nè da un tipo e da una nozione preesistente nel suo intelletto, nè da un ordine necessario, ma dall'assuefazione del senso della vista circa quel tale oggetto, e dall'arbitrio della natura che ha fatto realmente la maggior parte degli uomini in quel tal modo.
Acquistata così per solissima assuefazione l'idea delle proporzioni o convenienze, il fanciullo si forma facilmente quella delle sproporzioni e sconvenienze, che è sempre e necessariamente posteriore a quella dei loro contrari, e perciò l'idea del brutto e del cattivo è posteriore a quella del buono e del bello, (il che non sarebbe se fosse assoluta e primitiva e ingenita nell'uomo, e appartenente all'essenza e natura della sua mente e della sua facoltà concettiva) e deriva non da un tipo, ma dalla detta idea in questo modo che son per dire. Seguendo l'esempio che abbiamo scelto, se il fanciullo vede un naso molto più lungo o più corto di quello ch'è assuefatto a vedere, concepisce subito il senso della sproporzione e sconvenienza, cioè di una mera contraddizione con la sua propria abitudine di vedere, e forma il giudizio dello sproporzionato e sconveniente, ossia del brutto. Ed eccolo ben presto d'accordo col giudizio universale degli uomini circa la bellezza e la bruttezza determinata, [1186]senza averne portata nè ricevuta dalla natura o dalla ragione verun'idea.
Ma ecco prove più trionfanti di questa mia proposizione, cioè che l'idea d'ogni proporzione, d'ogni convenienza, d'ogni bello, d'ogni buono determinato e specifico, e di tutti i loro contrari, deriva dalla semplice assuefazione.
1. Se quel naso sarà poco più lungo, o quella bocca poco più larga, quantunque lo sia tanto che basti ad eccitare negli uomini il giudizio e il senso della bruttezza, il fanciullo non concepirà questo giudizio nè questo senso in verun modo. Che la cosa vada così, n'è testimonio l'esperienza di chiunque è stato fanciullo, e vorrà sovvenirsi di ciò che gli accadeva in quell'età. E qual è la ragione? La ragione è che il fanciullo avendo acquistato solamente una scarsa e debole idea delle proporzioni, perchè poco ha veduto, e poco ha confrontato, ha parimente una scarsa ed inesatta e non sottile nè minuta idea delle sproporzioni, e non se n'accorge nè le sente, se non quando quel tale oggetto si oppone vivamente e fortemente alla sua abitudine. Solamente col molto vedere, egli arriva a formarsi senza pensarvi, un giudizio, un discernimento, un senso fino per distinguere il bello dal brutto. Alle volte per l'opposto pare al fanciullo notabilissima una sproporzione o sconvenienza, che gli altri neppure osservano. E ne deduce un senso di bruttezza che gli altri non provano. La ragione è la poca assuefazione, l'aver poco veduto, il che gli fa trovare strano quello che non è strano, e brutto quindi o assai brutto, quello che non è brutto, o poco. Come ciò, se il brutto fosse assoluto? Un fanciullo raccontava che una persona aveva due nasi, perchè aveva osservata sul suo naso una piccola differenza di colore, in parte più rosso, in parte meno. E di questa cosa nessun altro si avvedeva senz'apposita osservazione. Che vuol dir [1187]questo? Se l'idea del bello e del brutto determinato, fosse assoluta e naturale ed innata, avrebbe mestieri il fanciullo di crescere, e di esercitare i suoi sensi, e di esperienza, per acquistare un'idea, non dico perfetta, ma sufficiente, della bellezza o bruttezza determinata? Il vedere che ne ha bisogno, non dimostra evidentemente che il giudizio e il senso della bruttezza o bellezza deriva unicamente dall'assuefazione e dal confronto, e che nessun oggetto al mondo sarebbe nè bello nè brutto, nè buono nè cattivo, se non ci fosse con che confrontarlo, massime nella sua specie? E ciò viene a dire che nessuna cosa è bella nè buona assolutamente, e per se stessa; e quindi non esiste un bello nè un buono assoluto.
Il perfezionamento del gusto in ogni materia, sia nelle arti, sia riguardo alla bellezza umana, sia in letteratura ec. ec. si considera come una prova del bello assoluto, ed è tutto l'opposto. Come si raffina il gusto de' pittori, degli scultori, de' musici, degli architetti, de' galanti, de' poeti, degli scrittori? Col molto vedere o sentire di quei tali oggetti sui quali il detto gusto si deve esercitare; coll'esperienza, col confronto, coll'assuefazione. Come dunque questo gusto può dipendere da un tipo assoluto, universale, immutabile, necessario, naturale, preesistente? Quello ch'io [1188]dico de' fanciulli, dico anche de' villani, e di tutti quelli che si chiamano o di rozzo, o di cattivo, o di non formato gusto in ogni qualsivoglia genere di cose: lo dico di chi non è avvezzo a vedere opere di pittura, il quale ognuno sa e dice che non può giudicare del bello pittorico; lo dico di chi non è accostumato alla lettura de' buoni poeti, il quale non può mai giudicare del bello poetico, del bello dello stile ec. ec. ec. Come il giudizio e il senso del fanciullo intorno al bello, è da principio necessariamente g...
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