[Pagina precedente]... figlie, che ancor vivono, che noi stessi parliamo, e le di cui antichità , origini, progressi ec. dal principio loro fino al dì d'oggi, si conoscono o si possono ottimamente o sempre meglio conoscere. Che in somma è quanto dire che la lingua latina ancor vive. E la considerazione di queste lingue fatta coi debiti lumi, ci può portare e ci porta a scoprire moltissime proprietà della lingua latina antichissima, che non si potrebbero, o non così bene dedurre dagli scrittori latini; e ciò stante l'infinita tenacità del [1296]volgo che mediante il parlar quotidiano, ha conservato dai primordi della lingua latina fino al dì d'oggi, e conserva tuttavia nell'uso quotidiano (e le ha pure introdotte nelle scritture) molte antichissime particolarità della lingua latina; come dimostrerò discorrendo dell'antico latino volgare. Sicchè lo studio comparativo delle tre lingue latino-moderne, fatto con maggior cura, di quello che finora sia stato, e con maggiore intenzione all'effetto di scoprire le antichità della favella materna, ci può condurre a conoscer cose latine antichissime, e primitive, o quasi primitive. La quale facoltà di uno studio comparativo sulla lingua greca parlata, non si ha, benchè la lingua greca viva ancora al modo che vive la latina. Oltre che non si hanno tante comodità di conoscere così bene il greco moderno, e le sue origini, e progressi, e generalmente la storia della lingua greca da un certo tempo in qua; come si hanno di conoscere quello che noi possiamo chiamare il latino moderno, e la storia della lingua latina dalla sua formazione e letteratura fino al dì d'oggi, come dirò poi.
Da queste considerazioni segue in primo luogo che la lingua latina, non ci è solamente nota [1297]per via della scrittura e letteratura, cose che sfigurano sommamente le origini di qualunque lingua, come ho detto poche pagine dietro, discorrendo delle cause di alterazione nelle lingue; ma eziandio per mezzo della viva favella, la quale è sempre influita dall'uso degli antichi parlatori, assai più che degli antichi scrittori; e di una favella che si parla tuttodì nel mezzo d'Europa, e in gran parte d'Europa, ed è conosciuta per tutto, e massime a noi stessi che la parliamo e scriviamo. Cosa che non si può dire di nessun'altra lingua antica.
In secondo luogo segue dalle dette considerazioni che noi possiamo conoscere quasi perfettamente (massime rispetto a qualunque altra lingua) le vicende della lingua latina e delle sue parole, e condurre una storia della lingua e delle voci latine, (generalmente parlando) quasi perfetta, quasi completa, e senz'alcuna laguna, dai primi principii della sua letteratura fino al dì d'oggi, cioè per venti secoli interi. (Plauto morì nel 184. av. G. C.) Il che non si può dire di verun'altra lingua occidentale, fuor della greca, la cui notizia e storia è soggetta però alle difficoltà dette p.1296. E molto più, ed a molto maggiori difficoltà sono soggette quelle delle lingue orientali, ancorchè possano rimontare ad epoca [1298]più remota. L'antica lingua teutonica ha veramente prodotto più lingue che la latina; inglese, tedesca, olandese, danese, svedese, svizzera ec. (Staël): ma essa medesima è quasi ignota. Così l'antica illirica, madre della russa, della Polacca, e di altre. La lingua Celtica è poco nota essa, e non vive in nessuna moderna.
In somma la lingua latina è di tutte le lingue antiche quella la cui storia si può meglio e per più lungo spazio conoscere, e le cui primitive proprietà per conseguenza si ponno meglio indagare. Giacchè spetta all'archeologo il rimontare dalla storia ch'egli può conoscere ec. de' venti secoli sopraddetti, a quella de' secoli antecedenti; nè gli mancano copiose notizie di fatto, le quali basterebbero già per se stesse a potere spingere la detta storia molto più in là di detta epoca, sebbene meno perfettamente e completamente sino ad essa epoca, cioè al secondo secolo av. Cristo, ch'è il secolo di Plauto.
Aggiungete quella lingua Valacca, derivata pure dalla latina, e che per essersi mantenuta sempre rozza, è proprissima a darci grandi notizie dell'antico volgare latino, il qual volgare, come tutti gli altri, è [1299]il precipuo conservatore delle antichità di una lingua. Aggiungete i dialetti vernacoli derivati dal latino, come i vari dialetti ne' quali è divisa la lingua italiana. I quali ancor essi si sono mantenuti qual più qual meno rozzi, com'è naturale ad una lingua non applicata alla letteratura, o non sufficientemente; e com'è naturale a una lingua popolarissima: e quindi tanto più son vicini al loro stato primitivo. E trovasi effettivamente di molte loro parole, frasi ec. che derivano da antichissime origini. Quello che s'è perduto p.e. nella lingua italiana comune, o in questo o quel vernacolo italiano, o s'è alterato ec., s'è conservato in quell'altro vernacolo ec. E il loro esame comparativo deve infinitamente servire all'esame delle lingue latino-moderne, diretto a scoprire le ignote e primitive proprietà del latino antico. Aggiungete ancora la lingua Portoghese, dialetto considerabilissimo della spagnuola.
5. La lingua latina colta è incontrastabilmente meno varia, più regolare, più ordinata, più perfetta della greca pur colta. Facilmente si può vedere quanto ciò giovi e favorisca la ricerca della lingua latina incolta. Più facilmente si vede, si trova, si cammina nell'ordine, che nel disordine. Aperta che vi siate nella lingua latina una strada, questa sola vi mena, e dirittamente, alla scoperta d'infinite sue voci antiche. Le formazioni delle parole nella lingua latina; la fabbrica dei derivati e dei composti, è per lo più regolatissima, ordinatissima, e uniforme [1300]dentro ai limiti di ciascun genere. Trovato che abbiate e ben conosciuto un genere di derivati nel latino, tutti o quasi tutti in quel genere sono formati nello stesso preciso modo, e secondo la stessa regola; da tutti si può rimontare egualmente alle radici. Vedete quello che abbiamo osservato dei continuativi e frequentativi; due generi di voci derivate, regolarissimamente ed uniformemente formate, da ciascuna delle quali si può egualmente salire alla voce originaria. Bene stabilito che sia il preciso modo di quella tal formazione, come abbiamo fatto, questa sola strada ci mena senza fatica, a un larghissimo e ubertosissimo campo; anzi è quasi una porta che vi c'introduce immediatamente.
Non così accade per lo più nella lingua greca, tanto più varia, difforme da se stessa nelle sue formazioni, ed in ogni altro genere di cose, e senza pregiudizio (anzi con vantaggio) della bellezza, tanto meno regolare e corrispondente. Giacchè sì la moltiplicità , come la scarsezza delle regole, non sono altro che irregolarità . L'una e l'altra dimostrano la copia e soprabbondanza delle eccezioni, le quali chi vuol ridurre a regola, moltiplica necessariamente le regole fuor di misura; chi non vuol dare in questo intoppo, è necessario che stabilisca [1301]poche e larghe regole, acciò possano lasciar luogo a molte differenze, e comprenderle: e in somma conviene che si tenga sugli universali, perchè i particolari discordano troppo frequentemente. E così accade nella gramatica greca, dove altri soprabbondano di regole, e la fanno parere complicatissima, altri scarseggiano, e la fanno parere semplicissima. La lingua latina è proprio nel mezzo di questi due estremi, riguardo alle regole d'ogni genere. (Intendo già fra le lingue del genere antico, e non del moderno, tanto più filosoficamente costituito, com'è naturale.) Vale a dire per tanto ch'ella è la più facile a sviscerare, e considerare parte per parte. Ma nella lingua greca bisogna aprirsi ad ogni tratto una nuova strada, e quella regola e maniera di formazioni ec. che avrete scoperta, non vi servirà se non per poche voci ec. ec.
(8 9. Luglio 1821.)
Alla p.936-8. Osservate ancora qualunque persona, rozza, o non assuefatta al bel parlare, ed alla lingua della polita conversazione, o poco pratica e ricca di lingua, o poco esercitata e felice nel trovar le parole favellando, (cioè la massima parte degli uomini), ovvero anche quelli che parlano bene, quando si trovano in circostanza dove non abbiano bisogno di star molto sopra se stessi nel parlare, o quando parlano rozzamente a bella posta o in qualunque modo, o talvolta anche fuori di dette circostanze, e nella stessa polita conversazione; o finalmente quelli che hanno una certa forza, e vivacità , e prontezza ec. o insubordinazione di fantasia; e facilmente potrete notare [1302]che tutti o quasi tutti gli uomini, qual più qual meno secondo le suddette differenze, hanno delle parole affatto proprie loro, e particolari, (non già derivate nè composte, ma nuove di pianta) che sogliono abitualmente usare quando hanno ad esprimere certe determinate cose, e che non s'intendono se non dal senso del discorso, e son prese per lo più da una somiglianza ed una imitazione della cosa che vogliono significare. Così che si può dire che il linguaggio di ciascun uomo differisce in qualche parte da quello degli altri. Anzi il linguaggio di un medesimo uomo differisce bene spesso da se medesimo, non essendoci uomo che talvolta non usi qualche parola della sopraddetta qualità , non abitualmente, ma per quella volta sola, (qualunque motivo ce lo porti, che possono esser diversissimi) quantunque abbiano nella stessa lingua che conoscono ed usano, la parola equivalente da potere adoperare.
(9. Luglio 1821.)
Un ritratto, ancorchè somigliantissimo, (anzi specialmente in tal caso) non solo ci suol fare più effetto della persona rappresentata (il che viene dalla sorpresa che deriva dall'imitazione, e dal piacere che viene dalla sorpresa), ma, per così dire, quella stessa persona ci fa più effetto dipinta che [1303]reale, e la troviamo più bella se è bella, o al contrario. ec. Non per altro se non perchè vedendo quella persona, la vediamo in maniera ordinaria, e vedendo il ritratto, vediamo la persona in maniera straordinaria, il che incredibilmente accresce l'acutezza de' nostri organi nell'osservare e nel riflettere, e l'attenzione e la forza della nostra mente e facoltà , e dà generalmente sommo risalto alle nostre sensazioni. ec. (Osservate in tal proposizione ciò che dice uno stenografo francese, del maggior gusto ch'egli provava leggendo i classici da lui scritti in istenografia.) Così osserva il Gravina intorno al diletto partorito dall'imitazione poetica.
(9. Luglio 1821.)
Diletto ordinarissimo ci produce un ritratto ancorchè somigliantissimo, se non conosciamo la persona; straordinario se la conosciamo. Applicate questa osservazione alla scelta degli oggetti d'imitazione pel poeta e l'artefice, condannando i romantici e il più de' poeti stranieri che scelgono di preferenza oggetti forestieri ed ignoti per esercitare la forza della loro imitazione.
(9. Luglio 1821.)
Altra prova che noi siamo più inclinati al timore che alla speranza, è il vedere che noi per lo più crediamo facilmente quello che temiamo, e difficilmente quello che desideriamo, anche molto più verisimile. E poste due persone delle quali una tema, e l'altra desideri una stessa cosa, quella la crede, e questa no. E se noi passiamo dal temere una cosa al desiderarla, non sappiamo più credere quello che prima non sapevamo non credere, [1304]come mi è accaduto più volte. E poste due cose, o contrarie o disparate, l'una desiderata, e l'altra temuta, e che abbiano lo stesso fondamento per esser credute, la nostra credenza si determina per questa e fugge da quella. Nell'esaminare i fondamenti di alcune proposizioni ch'io da principio temeva che fossero vere, e poi lo desiderava, io li trovava da principio fortissimi, e quindi insufficientissimi.
(10. Luglio 1821.)
A quello che ho detto del linguaggio popolare, pochi pensieri addietro, soggiungi. Il linguaggio popolare è ricca e gran sorgente di bellissime voci e modi, non veramente alla lingua scritta, ma propriamente allo scrittore. Vale a dire, bisogna che questo nell'attingerci, nobiliti quelle voci e modi, le formi, le compong...
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