[Pagina precedente]...tempo stesso sottile, e chiara o almeno perfetta ed intera; grandissima parte, dico, di queste voci, sono le stesse in tutte le lingue colte d'Europa, eccetto piccole modificazioni particolari, per lo più nella desinenza. Così che vengono a formare una specie di piccola lingua, o un vocabolario, strettamente universale. E dico strettamente universale, cioè non come è universale la lingua francese, ch'è lingua secondaria [1214]di tutto il mondo civile. Ma questo vocabolario ch'io dico, è parte della lingua primaria e propria di tutte le nazioni, e serve all'uso quotidiano di tutte le lingue, e degli scrittori e parlatori di tutta l'Europa colta. Ora la massima parte di questo Vocabolario universale manca affatto alla lingua italiana accettata e riconosciuta per classica e pura; e quello ch'è puro in tutta l'Europa, è impuro in Italia. Questo è voler veramente e consigliatamente metter l'Italia fuori di questo mondo e fuori di questo secolo. Tutto il mondo civile facendo oggi quasi una sola nazione, è naturale che le voci più importanti, ed esprimenti le cose che appartengono all'intima natura universale, sieno comuni, ed uniformi da per tutto, come è comune ed uniforme una lingua che tutta l'Europa adopera oggi più universalmente e frequentemente che mai in altro tempo, appunto per la detta ragione, cioè la lingua francese. E siccome le scienze sono state sempre uguali dappertutto (a differenza della letteratura), perciò la repubblica scientifica diffusa per tutta l'Europa ha sempre avuto una nomenclatura universale ed uniforme nelle lingue le più difformi, ed intesa da per tutto egualmente. Così sono oggi uguali (per necessità e per natura del tempo) le cognizioni metafisiche, filosofiche, politiche ec. la cui massa e il cui sistema semplicizzato e uniformato, è comune oggi [1215]più o meno a tutto il mondo civile; naturale conseguenza dell'andamento del secolo. Quindi è ben congruente, e conforme alla natura delle cose, che almeno la massima parte del vocabolario che serve a trattarle ed esprimerle, sia uniforme generalmente, tendendo oggi tutto il mondo a uniformarsi. E le lingue sono sempre il termometro de' costumi, delle opinioni ec. delle nazioni e de' tempi, e seguono per natura l'andamento di questi.
Diranno che buona parte del detto vocabolario deriva dalla lingua francese, e ciò stante la somma influenza di quella lingua e letteratura nelle lingue e letterature moderne, cagionata da quello che ho detto altrove. Ma venisse ancora dalla lingua tartara, siccome l'uso decide della purità e bontà delle parole e dei modi, io credo che quello ch'è buono e conveniente per tutte le lingue d'Europa, debba esserlo (massime in un secolo della qualità che ho detto) anche per l'Italia, che sta pure nel mezzo d'Europa, e non è già la Nuova Olanda, nè la terra di Jesso. E se hanno accettate, ed usano continuamente le dette voci, quelle lingue Europee che non hanno punto che fare colla francese, quanto più dovrà farlo, e più facilmente, e con più naturalezza e vantaggio la nostra lingua, ch'è sorella carnale della francese? Le origini di dette parole, a noi [1216]riescono familiari e domestiche, perchè in gran parte derivano dal latino, benchè applicate ad altre significazioni che non avevano, nè potevano aver nel latino, mancando i latini di quelle idee. Spessissimo vengono dal greco, che a noi non è più, anzi meno alieno, di quello che sia alle altre lingue colte moderne. Spesso sono interamente italiane cioè stanno già materialmente nel nostro linguaggio, benchè in significato diverso, e meno sottile, o meno preciso, perchè i nostri antichi non poterono aver quelle idee, che oggi abbiamo noi, non perciò meno italiani di loro, nè quelle idee sono meno italiane perchè i nostri antichi non le arrivarono a concepire, o solo confusamente, secondo la natura de' tempi, e lo stato dello spirito umano.
Si condannino (come e quanto ragion vuole) e si chiamino barbari i gallicismi, ma non (se così posso dire) gli europeismi, che non fu mai barbaro quello che fu proprio di tutto il mondo civile, e proprio per ragione appunto della civiltà , come l'uso di queste voci che deriva dalla stessa civiltà e dalla stessa scienza d'Europa.
Osservate p.e. le parole genio, sentimentale, dispotismo, analisi, analizzare, demagogo, fanatismo, originalità ec. e tante simili che tutto il mondo intende, tutto il mondo adopera in una stessa e precisa significazione, e il solo italiano non può adoperare (o non può in quel significato), perchè? perchè i puristi le scartano, e perchè i nostri antichi, non potendo aver quelle idee, non poterono pronunziare nè scrivere quelle parole in quei sensi. Ma così accade in ordine alle stesse parole, a tutte le lingue del mondo che pur non hanno scrupolo di adoperarle. Piuttosto avrebbero scrupolo e vergogna di non saper esprimere un'idea chiara per loro, e chiara per tutto [1217]il mondo civile, mentre per la espressione delle idee chiare son fatte e inventate e perfezionate le lingue. Come infatti noi, non volendo usar queste parole, non possiamo esprimere le idee chiare che rappresentano, o dobbiamo esprimere delle idee chiare e precise (e ciò nella stessa mente nostra), confusamente e indeterminatamente: e poi diciamo che l'italiano è copiosissimo, e basta a tutto, ed avanza. Sicchè bisogna tacere, o scriver cose da bisavoli, e poi lagnarsi che l'italiana letteratura e filosofia resta un secolo e mezzo addietro a tutte le altre. E come no, senza la lingua?
Aggiungo che quando anche potessimo ritrovare nel nostro Vocabolario o nella nostra lingua, o formare da essa lingua altre parole che esprimessero le stesse idee, bene spesso faremmo male ad usarle perchè non saremmo intesi nè dagli stranieri, nè dagli stessi italiani, e quell'idea che desteremmo non sarebbe nè potrebbe mai esser precisa; e non otterremmo l'effetto dovuto e preciso di tali parole, che è quanto dire, le useremmo invano, o quasi come puri suoni.
1. Fu tempo dove agli uomini ed agli scrittori bastava di giovare, di farsi intendere, di rendersi famosi dentro i limiti della propria nazione. Ma oggi, nello stato d'Europa che ho detto di sopra, non acquista fama nè grande nè durevole quello scrittore il cui nome e i cui scritti non passano i termini del [1218]proprio paese. Nè in questa presente condizione di cose può molto e immortalmente giovare alla sua patria chi non viene almeno indirettamente a giovare più o meno anche al resto del mondo civile. Nel rimanente quella gloria o quel nome che fu ristretto a una sola nazione fu sempre, ed anche anticamente poco durevole, nella stessa nazione ancora. Fra mille esempi, basti nominare i Bardi; molti de' quali si sa confusamente e genericamente che furono famosissimi nelle loro nazioni, ed oggi p.e. nella Scozia appena resta il nome e la memoria oscura di pochissimi degli stessi antichi Bardi Scozzesi. Quello che dico degli scrittori, dico anche degli altri generi di persone famose ec. ma degli scrittori in maggior grado, perchè i fatti degli uomini poco durano, e poco si possono stendere ma le voci e i pensieri loro consegnati agli scritti, sopravvivono lunghissimo tempo, e possono giovare a tutta l'umanità ; nè lo scrittore, massimamente in questo presente stato del mondo, si deve contentare della utilità della sua sola patria, potendo con quel medesimo che impiega per lei, proccurare il vantaggio di tutte le altre nazioni.
2. Ho detto che difficilmente ci faremmo intendere, e susciteremmo precisamente l'idea che vorremmo significare, e che è precisamente espressa dalle parole [1219]corrispondenti già usitate in Europa. La filosofia (con tutti quanti i diversissimi suoi rami) è scienza. Tutte le scienze giunte ad un certo grado di formazione e di stabilità hanno sempre avuto i loro termini, ossia la loro propria nomenclatura, e così propria, che volendola cambiare, si sarebbe cambiato faccia a quella tale scienza. Com'è avvenuto che la rinnovazione della Chimica, ha portato la rinnovazione della sua nomenclatura, e di tutta quella parte di nomenclatura fisica o d'altre scienze, che apparteneva, o era influita dalle cognizioni chimiche vecchie o nuove. E la nomenclatura di qualunque scienza è stata sempre così legata con lei, che dovunque ell'è entrata, v'è anche entrata quella stessa nomenclatura, comunque e dovunque formata, e comunque pur fosse inesatta nell'etimologie ec. purchè fosse esatta nell'intendimento e nel senso che le si attribuiva. La Chimica ha nuova nomenclatura, perch'è scienza nuova e diversa dall'antica. E così accade alle altre scienze quando si rinnuovano o in tutto o in parte. Perdono l'antica nomenclatura, e ne acquistano altra, che diviene però universale come la prima. E quando fra diverse e lontane nazioni poco note o strette fra loro, trovate differenza di nomenclatura in una medesima scienza, certo è che quella scienza è diversa notabilmente nelle rispettive nazioni e lingue. V. p.1229. Quindi i termini di tutte le scienze, esatte o no, ma alquanto stabilite sono stati sempre universali, nè sarebbe mai possibile nel trattarle, l'adoperare altri termini da quelli universalmente conosciuti, intesi e adoperati, senza nuocere sommamente alla chiarezza, e toglier via la precisione. La qual precisione non deriva propriamente e principalmente da altro se non dalla convenzione che applica a quella parola quel preciso significato, bene spesso metaforico, ma passato in proprissimo. Mutando la parola, è tolta via la forza della convenzione, e quindi, benchè la nuova parola equivalga quanto alla sua origine, alla sua proprietà intrinseca ec. non equivale quanto all'effetto, perchè il [1220]lettore o uditore non concepisce più quell'idea precisa e netta che concepiva mediante la parola usitata, la qual era aiutata dalla convenzione, o sia dall'assuefazione di attribuirgli e d'intenderla in quel preciso significato. Converrebbe rinnovare appoco appoco l'assuefazione, applicandola a queste nuove parole, il che porterebbe necessariamente un lungo intervallo di oscurità e confusione nella intelligenza degli scrittori, finchè la nuova nomenclatura non arrivasse a prendere nella mente nostra in tutto e per tutto il posto dell'usitata, e a farvi, per così dire, quel letto che questa vi aveva già fatto. Nè questo sarebbe il solo danno, o difficoltà ; ma converrebbe che questa nuova nomenclatura diventasse universale, altrimenti restringendosi a una sola nazione o lingua, ne seguirebbero i danni che ho specificati all'articolo 1. e le nazioni non s'intenderebbero fra loro nelle idee che denno essere da per tutto egualmente precise, e precisamente intese. E se una sola fosse la nazione che in qualunque scienza avesse una nomenclatura diversa dalle altre nazioni, quella nazione in ordine a quella scienza sarebbe come fuori del mondo e del secolo, tanto per l'effetto de' suoi scrittori sugli stranieri, quanto (ch'è peggio) per l'effetto degli scrittori stranieri su di lei. [1221]Posto poi il caso ch'ella arrivasse a rendere quella nomenclatura universale, ognun vede che siamo da capo colla quistione, e che la universalità resterebbe, e solo avrebbe fatto passaggio inutilmente (e con danno temporaneo) da una ad altra nomenclatura: ed allora io dico che sarebbe pazzo quello scrittore o quel paese che non vi si volesse uniformare.
La filosofia dunque ha i suoi termini come tutte le altre scienze. E siccome l'odierna filosofia è così 1. raffinata, 2. dilatata nelle sue parti e influenze, così che si può dire che tutta la vita umana oggi è filosofica, o almeno è tutta soggetta alle speculazioni della filosofia; perciò accade che i termini filosofici sieno moltissimi, e cadano spessissimo nel discorso familiare, e regnino in grandissima parte delle cognizioni, delle discipline, degli scritti presenti. E perchè questi termini, come ho detto, sono in gran parte uniformi per tutta Europa, perciò oggi il linguaggio di tutta Europa nelle espressioni delle idee sottili o sottilmente considerate, è presso a poco uniforme, anche nella conversazione.
E...
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