[Pagina precedente]...a le mani. Nondimeno la spiegazione che danno il Gloss. e il Forcell. a transversare, la prep. trans, e il significato della voce transversus ec. par che confermino la mia interpretazione. C'è anche il verbo transvertere di cui v. Forcell. e di cui transversare par che debba essere il continuativo.
Tiriamo innanzi con altro esempio. Da arctus o arcitus antico participio di arcere preso nel significato di coercere, continere (del quale v. Festo e il Forcellini che ne dà buoni esempi), viene il continuativo arctare che significa stringere constringere, non già momentaneamente come quando stringiamo la mano ad uno; ma stringere continuatamente, ed in modo che l'azione dello stringere non sia un puro atto, ma un'azione. O da arctare, o da coercere deriva il verbo coarctare che significa ne' buoni scrittori latini ristringere. Ma ne' Glossari latino barbari questo verbo si trova in significato di costringere o forzare, e in questo senso l'adoperò Paolo giureconsulto l'esempio del quale è registrato negli stessi vocabolari latini: e in questo senso assai più che in quello di ristringere (oggi, si può dire dimenticato) s'adopera in Italia coartare e coartazione, quantunque la Crusca non dia questo significato a coartare, [1145]e dandolo a coartazione, s'inganni credendo che nell'unico esempio che riporta, questa parola sia presa in detto senso, giacchè v'è presa nel senso di restrizione; conforme ha dimostrato il Monti (Proposta ec. alla voce Coartazione. vol.1. par.2. p.166.). Il quale condanna come barbare le parole coartare e coartazione prese in forza di Costrignimento, Sforzamento. Ora io credo che questo significato non sia nè barbaro in italiano, nè moderno nel latino, ma antico ed usitato nel latino volgare, quantunque non ammesso nelle buone scritture.
Primieramente osservo che coarctare è continuativo di coercere, e coercere, come ognun sa, ha ne' buoni latini un significato metaforico (più comune forse del proprio) che somiglia molto a quello di forzare. Anzi alcuni gramatici gli danno anche questo significato, sebbene sopra autorità incompetente, cioè quella del libricciuolo De progenie Augusti attribuito a Messala Corvino, dove si legge: Superatos hostes Romae cohabitare COERCUIT, cioè costrinse. Il quale libretto sebbene dagli eruditi è creduto apocrifo, e dell'età mezzana, tuttavia non è forse d'autorità nè di tempo inferiore a molti e molti altri che sono pur citati nel Vocabolario latino. Laonde, se coercere [1146]significava forzare, o cosa somigliante, è naturalissimo che il suo continuativo coarctare avesse, almeno nel volgare latino, lo stesso o simile significato.
In secondo luogo osservo che la metafora dallo stringere al forzare è così naturale che si trova e nel latino stesso, e (lasciando le altre) in tutte le lingue che ne derivano. Quae tibi scripsi, primum, ut te non sine exemplo monerem: deinde ut in posterum ipse AD EANDEM TEMPERANTIAM ADSTRINGERER, cum me hac epistola quasi pignore obligavissem, dice Plinio minore (l.7. ep.1.). Che altro vuol dire se non costringersi, forzarsi, obbligarsi (com'egli poi spiega) alla temperanza? Altri usi di adstringere (e parimente di obstringere, constringere, e del semplice stringere latino) similissimi a quelli di forzare sono noti ai gramatici. E cogere che in senso metaforico (più comune ancora del proprio) significa forzare, ed è contrazione di coagere, che altro significa propriamente se non se in unum colligere, congregare, condensare, spissare, colligare, constringere? Il suo continuativo coactare si adopra pure da Lucrezio nel significato di forzare. Presso noi stringere, astringere, costringere, [1147]oltre i significati propri hanno anche il metaforico di sforzare. Presso i francesi astreindre e contraindre si sono talmente appropriato il detto senso, che astreindre manca del primitivo significato di stringere, e in contraindre si considera questa significazione propria, come figurata. Il che avviene ancora al secondo e terzo dei detti verbi italiani. Presso gli spagnuoli apretar che significa stringere, vale ancora comunemente hacer fuerza, ossia sforzare; e constreñir o costreñir (da estreñir che significa stringere) non serba altro significato che di sforzare. Estrechar ha quello di stringere per significato proprio e comune, e quello di costringere o sforzare per metaforico. Il legare è una maniera di stringere. Ora, lasciando le significazioni metaforiche del latino obligare, somiglianti a quelle di forzare11 in italiano, in francese, [1148]in ispagnuolo ognuno sa che obligare, obliger, obligar si adopra continuamente nell'espresso significato di costringere. Mi par dunque ben verisimile che il verbo coarctare (continuativo di coercere), oltre il senso proprio di ristringere, avesse anche, non solo nella bassa latinità , ma nell'antico volgare latino, il senso di forzare.
(6-8. Giu. 1821.). V. p.1155.
Alla p.1107. Quantunque il Forcellini chiama acceptare frequentativo di accipere, sed, aggiunge, eiusdem fere significationis. Ora la differenza della significazione la può sentire ne' detti esempi ogni buon orecchio, sostituendovi il verbo accipere. E quanto al frequentativo, osservi ciascuno che differenza passi dal ricevere annualmente una tale o tale entrata, ch'è azione continua rispettivamente alla natura del ricevere, al ricevere frequentemente; azione che non importa ordine, nè regola, nè determina il come, nè il quando nè con quali intervalli si riceva.
Ed a questo proposito porterò un luogo di Plauto, dove Arpage venuto per pagare un debito [1149]del suo padrone, dice a Seudolo servo del creditore Tibi ego dem? Risponde Seudolo
Mihi hercle vero, qui res rationesque, heri
Ballionis curo, argentum adcepto, expenso, et cui debet,
dato. (Pseud. 2.2. v.31. seq.)
Ecco tre continuativi, e nella loro piena forza e proprietà : adceptare da adceptus di adcipere, expensare da expensus di expendere, e datare da datus di dare. Crediamo noi che Plauto abbia posti a caso questi tre verbi in fila, tutti d'una forma, in cambio de' loro positivi? Ma qui stanno e debbono stare i continuativi in luogo de' positivi, perchè questi esprimono una semplice azione, laddove qui s'aveva a significare il costume di far quelle tali azioni. Datare alcuni dicono ch'è lo stesso che dare. (Indice a Plauto). Vedete come s'ingannino, e sbaglino la proprietà dell'idioma latino. Il Forcellini lo chiama frequentativo di dare, e portando un passo di Plinio maggiore, Themison (medico) binas non amplius drachmas (di elelboro) datavit, spiega dare consuevit. Ma il costume è cosa continua (quando anche l'azione non è continua) e non già frequente, e la frequenza viceversa non importa costume. E quando Plauto in altro luogo (Mostell. 3.1. v.73.) dice Tu solus, credo, foenore argentum datas; [1150]e Sidonio (lib.5. ep.13.), ne tum quidem domum laboriosos redire permittens, cum tributum annuum DATAVERE, usano il continuativo in luogo del positivo, perchè hanno a significare non il semplice atto di dare, ma il costume di dare, che è cosa nè semplice nè frequente, ma continua.
Da sputus o sputum di spuere, sputare. Iamdudum sputo sanguinem, dice Plauto, cioè soglio sputar sangue, e non avrebbe potuto dire spuo. V. in tal proposit. Virgil. (Georg. 1.336.) receptet. Ricettare e raccettare in italiano non è azione venti volte più continua, o durevole ec. di ricevere? V. anche resultat Georg. 4. 50. ed osserva il risultare ital. franc. e spagn. Puoi vedere p.2349.
Da ostentus di ostendere, participio, a quel che pare, più antico di ostensus, ebbero i latini il continuativo ostentare.
Altera manu fert lapidem, panem OSTENTAT altera
disse Plauto (Aulul. 2.2. v.18.), e non avrebbe potuto dir propriamente ostendit, volendo significar uno che quasi ti mette quel pane sotto gli occhi, perchè tu non solamente lo veda, ma lo guardi. E Cicerone metaforicamente (Agrar. 2. c.28.): Agrum Campanum quem vobis OSTENTANT, ipsi cuncupiverunt. Ponete ostendunt invece di ostentant, e vedrete come l'azione diventa più breve, e la sentenza snervata e inopportuna. Lo stesso dico delle altre metafore di ostentare per iactare, gloriari, venditare e simili, tutti significati continuati.
(8-9. Giu. 1821.). V. p.2355. principio.
Alla p.1166. Quello che dico de' verbi in tare si deve anche estendere ad altri verbi terminati in altro modo, massimamente in sare per anomalia de' participi o supini da cui derivano; come pulsare (che anticamente, e soprattutto, come nota Quintiliano, presso i Comici, si scrisse anche pultare) [1151]è continuativo di pellere dall'anomalo participio pulsus, e così versare di vertere, ed altri che abbiamo veduto. Voglio però notare che forse pultare creduto lo stesso che pulsare, è contrazione di pulsitare, e diverso originariamente da pulsare quanto è diverso il frequentativo dal continuativo. E quanto a pulsare s'egli sia propriamente continuativo o frequentativo, come lo chiamano, vedilo in questo luogo di Cicerone (De Nat. Deor. 1. c.41.) cum SINE ULLA INTERMISSIONE PULSETUR. Così da responsus o responsum di respondere, viene responsare continuativo.
Num ancillae aut servi tibi
Responsant? eloquere: impune non erit.
(Plaut. Menaechm. 4.2. v.56. seq.)
Cioè ti sogliono rispondere arrogantemente, non già ti rispondono semplicemente ovvero ti rispondono spesso. E nel significato metaforico di resistere il verbo responsare è parimente continuativo, e così quando significa eccheggiare, che è cosa più continuata del rispondere, e per nulla frequente, come ognun vede. (9. Giugno 1821.). Così da cessus di cedere viene cessare, il quale chiamano frequentativo, sebbene io non sappia veder cosa più continuata di quella ch'esprime questo verbo. V. p.2076.
Alla p.1124. marg. E chiunque porrà mente ai versi de' comici, e altresì di Fedro, e degli altri Giambici latini, o se n'abbiano opere intere (come Catullo, le tragedie di Seneca) o frammenti, ci troverà molte altre licenze proprie di quelle sorte di versi, e note agli eruditi; ma anche [1152]potrà di leggeri avvertire che dovunque s'incontrano due o più vocali alla fila, o nel principio o nel mezzo o nel fine delle parole, quelle vocali per lo più e quasi regolarmente stanno per una sillaba sola, come formassero un dittongo, quantunque non lo formino, secondo le leggi ordinarie della prosodia. Fuorchè se dette vocali si trovano appiè de' versi, dove bene spesso (come ne' versi italiani) stanno per due sillabe, ma spesso ancora per una sola, come in questo verso di Fedro:
Repente vocem sancta misit Religio.
(lib.2. fab.11 al.10. vers.4.) Questo è un giambo trimetro acataletto, cioè di sei piedi puri, e la penultima breve, non è la sillaba gi di Religio, ma la sillaba li. Similmente in quel verso di Catullo, sebbene in questo e nelle leggi metriche, più diligente assai degli altri, (Carm.18. al.17. vers.1.)
O Colonia quae cupis ponte ludere ligneo
la penultima dovendo esser lunga, non è la sillaba gne di ligneo, ma la sillaba li, s'è vera questa lezione di ligneo per longo come altri leggono. Oltre che questo verso trocaico stesicoreo, dovendo essere di quindici sillabe, sarebbe di sedici, se ligneo fosse trisillabo. (La parola ligneo è qui un trocheo, piede di una lunga e una breve, detto anche coreo). E quello che dico de' latini, dico anche dei greci. Nel primo verso della Ricchezza di Aristofane
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[1153]la parola ???????? è trisillaba. E notate che scrivendo
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senza nessuna fatica questo verso riusciva giambo trimetro o senario puro, secondo le regole della prosodia greca. Dal che si vede che quei poeti i quali scrivevano, come dice Tullio dei Comici, a somiglianza del discorso, (Oratoris cap.55.) adoperavano quasi regolarmente siffatte vocali doppie ec. come dittonghi, e conseguentemente che l'uso quotidiano della favella (tenace dell'antichità molto più che la scrittura) le stimava e pronunziava per dittonghi, o sillabe uni...
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