[Pagina precedente]...sta, e non accade dirla. Certo non è questa nè il tipo della bellezza, nè un'idea innata, nè un giudizio, una ragione ec. I fanciulli staranno molto tempo ad avvedersi che quella qualità che ho detto sia bellezza, e a far distinzione di beltà fra una donna che l'abbia, e un'altra che ne sia priva. Nè solo i fanciulli, ma anche i giovani mal pratici, e poco istruiti di certe cose, quantunque assuefatti a vedere; i giovani modestamente educati ec.; del che interrogo la testimonianza di molti. Le donne tarderanno assai più ad avvedersi di questa cosa, e non concepiranno per lungo tempo nè giudizio nè senso di bellezza differente, fra due donne ec. V. p.1315.fine.
E tuttavia questa qualità ch'io dico, passa [1257]ben tosto nel bello ideale, e il poeta, (come appunto Omero), o il pittore che tira dalla sua mente (come dice Raffaello ch'egli faceva) l'idea di una bellezza da rappresentare, non mancherà certo di concepire l'idea di una donna o donzella ??????????. E pur l'origine di questa idea sarà tutt'altra che il tipo della bellezza, ed un giudizio o forma innata, universale e impressa dalla natura nella mente dell'uomo. Così facile è l'ingannarsi nel giudicare delle idee che l'uomo ha circa il bello preteso assoluto. V. p.1339. Similmente discorro di altre simili qualità esteriori dell'uomo o della donna.
Così della vivacità degli occhi, o di qualunque espressione dell'anima che apparisca nel volto, il che però quando anche tutti convengano che sia bellezza, non tutti però convengono nel preferirlo alla languidezza, e anche alla melensaggine ec. Non so neppure se quelle donne inglesi che si paragonano ai silfi, e si giudicano da molti sì belle, e si antepongono ec. appartengano al numero di quelle significate da Omero ne' citati luoghi.
Ed osservo, cosa manifesta per l'esperienza, che la donna (ancor prima di essere suscettibile d'invidia per cagione della bellezza) tarda molto più degli uomini a poter formare un giudizio fino e distinto circa le forme esteriori del suo sesso, e non giunge mai a quella perfezione di giudizio e di gusto, a cui gli uomini arrivano. Così viceversa discorrete degli uomini rispetto al sesso loro. Intendo già in parità di circostanze, e non di paragonare, per esempio, una donna molto riflessiva ec. ec. a un uomo torpido, e poco o niente suscettibile ec. Giacchè in tal caso, ognuno intende che quella tal [1258]donna ben facilmente sarà miglior giudice delle forme del suo stesso sesso che questo tal uomo.
(1. Luglio 1821.)
Osservate i differentissimi, e spesso contrarissimi giudizi delle diverse nazioni, o province, e de' diversi tempi, e di una stessa nazione o provincia in diverso tempo, circa la bellezza e grazia del portamento delle diverse classi di persone, delle maniere di stare di andare di sedere di gestire di presentarsi ec. e circa le stesse creanze, eccetto quelle che sono determinate e prescritte dalla ragione, e dal senso comune. Intorno alle quali cose possiamo dire che non c'è maniera giudicata bellissima e graziosissima e convenientissima in un luogo o in un tempo, che in altro luogo o tempo, non sia, non sia stata, o non sia per esser giudicata bruttissima, sconveniente, di mal garbo ec. Certo è che intorno alla bellezza del portamento dell'uomo, nessuno può stabilire veruna regola, veruna teoria, veruna norma, verun modello assoluto. Non parlo delle mode del vestire, intorno alla bellezza del quale, e degli uomini per rispetto ad esso, varia il giudizio secondo i paesi e i tempi, anzi pure secondo i territorii, e i momenti, senza veruna dipendenza neppur dalla natura costante e [1259]universale.
(1 Luglio 1821.).V. p.1318. fine.
Spesso nel vedere una fabbrica, una chiesa, un oggetto d'arte qualunque, siamo colpiti a prima giunta da una mancanza, da una soprabbondanza, da una disuguaglianza, da un disordine o irregolarità di simmetria ec. ed appena che abbiamo saputo o capito la ragione di questo disordine, e com'esso è fatto a bella posta, o non a caso, nè per negligenza, ma per utilità , per comodo, per necessità ec. non solo non giudichiamo, ma non sentiamo più in quell'oggetto veruna sproporzione, come la concepivamo e sentivamo e giudicavamo a primo tratto. Non è dunque relativa e mutabile l'idea delle proporzioni e sproporzioni determinate? E perchè sentivamo noi e formavamo in quel primo istante il giudizio della sproporzione o sconvenienza? Per l'assuefazione, la quale in noi ha questa proprietà naturale, che ci fa giudicar di una cosa sopra un'altra, di un individuo, di una specie, di un genere stesso sopra un altro, e quindi di una convenienza sopra un'altra. Dal che deriva l'errore universale, non solo del bello assoluto, ma della verità assoluta, del misurare tutti i nostri simili da noi stessi, della perfezione assoluta, del credere che tutti gli esseri vadano giudicati sopra una sola norma, e quindi del crederci più perfetti d'ogni altro [1260]genere di esseri, quando non si dà perfezione comparativa fuori dello stesso genere, ma solamente fra gl'individui ec.
(1 Luglio 1821.)
Si può però ammettere una perfezione comparativa fra i diversi generi di cose, dentro il sistema di questa tal natura, o modo universale di esistere: ma una perfezione comparativa assai larga, e molto meno stretta e precisa di quello che l'uomo e il vivente qualunque si figuri naturalmente; e non mai assoluta, perchè assoluta non potrebb'essere se non in ordine al sistema intiero ed universale di tutte le possibilità . Questo pensiero ha bisogno di esser ponderato, svolto, dilatato, e rischiarato.
(1 Luglio 1821.)
A quello che altrove ho detto circa l'impossibilità di far bene quello che si fa con troppa cura, si può aggiungere quello che dice l'Alfieri nella sua Vita della matta attenzione ch'egli poneva a tutte le minuzie nelle sue prime letture e studi de' Classici: e quello che ci avviene p.e. nello studio delle lingue. Nel quale osservate che da principio per la somma attenzione che ponete a ogni menoma cosa, leggendo in quella tal lingua, vi riescono gli scrittori sempre (più o meno) difficili. Laddove bene spesso, se si dà il caso, che [1261]voi abbiate intralasciato per qualche tempo lo studio di quella lingua, e perduto l'abito di quella minuta attenzione, ripigliando poi a leggere in detta lingua qualche pagina, e credendo di trovarci maggior difficoltà per l'interrompimento dell'esercizio, vi trovate al contrario molto più spedito di prima. Così pure, senza averla intralasciata, ma solamente pigliando a leggere qualche cosa in detta lingua non con animo di studio o di esercizio, ma solo di passare il tempo, o divertirvi, o in qualunque modo con intenzione alquanto, più o meno, rilasciata. Così dopo avere o credere di aver già imparata quella lingua, quando leggiamo non più come scolari, ma disinvoltamente e come semplici lettori. Nel qual tempo trovando forse difficoltà reali maggiori di quando leggevamo per istudio, non ci fanno gran caso, nè c'impediscono e trattengono più che tanto, nè ci tolgono una spedita facilità . In somma non si arriva mai a leggere speditamente una lingua nuova, se non quando si lascia l'intenzione di studioso per prendere quella di lettore, e durando la prima, solamente per sua cagione, ed anche senza veruna difficoltà reale, [1262]si trovano sempre intoppi, che altri non troverà nelle stesse circostanze, e colla stessa perizia, ma con diversa intenzione. Così non si trova piacere, nè facilità , nella semplice lettura, anche in nostra lingua, quando si legge con troppo studio ec.
(1-2. Luglio 1821.)
A quello che ho detto altrove della impossibilità di formarsi idea veruna al di là della materia, e del nome materiale imposto allo stesso spirito e all'anima, aggiungete che noi non possiamo concepire verun affetto dell'animo nostro se non sotto forme o simiglianze materiali, nè dargli ad intendere se non per via di traslati presi dalla materia (sebbene alle volte abbiano perduto col tempo il significato proprio e primitivo per ritenere il metaforico), come infiammare, confortare, muovere, toccare, inasprire, addolcire, intenerire, addolorare, innalzar l'animo ec. ec. Nè solo gli affetti ma gli accidenti tutti o siano prodotti da cose interiori, o dall'azione immediata degli oggetti esteriori, come costringere, ed altri de' sopraddetti ec.
(2. Luglio 1821.). V. p.1388. princip.
Passano anni interi senza che noi proviamo un piacer vivo, anzi una sensazione pur momentanea di piacere. Il fanciullo non passa giorno che non ne provi. Qual è la cagione? La scienza in noi, in lui l'ignoranza. Vero è che così viceversa accade del dolore.
(2. Luglio 1821.)
[1263]Alla p.1207. marg. Queste differenze s'incontrano a ogni passo dentro una medesima nazione, secondo i dialetti ec. Ed osserviamo ancora come l'assuefazione e l'uso ci renda naturale, bella ec. una parola che se è nuova, o da noi non mai intesa ci parrà bruttissima deforme, sconveniente in se stessa e riguardo alla lingua, mostruosa, durissima, asprissima e barbara. Per es. se io dicessi precisazione moverei le risa: perchè? non già per la natura della parola, ma perchè non siamo assuefatti ad udirla. E così le parole barbare divengono buone coll'uso; e così le lingue si cambiano, e i presenti italiani parlano in maniera che avrebbe stomacato i nostri antenati; e così l'uso è riconosciuto per sovrano signore delle favelle ec.
(2. Luglio 1821.)
Alla p.1134. Lo studio dell'etimologie fatto coi lumi profondi dell'archeologia, per l'una parte, e della filosofia per l'altra, porta a credere che tutte o quasi tutte le antiche lingue del mondo, (e per mezzo loro le moderne) sieno derivate antichissimamente e nella caligine, anzi nel buio de' tempi immediatamente, o mediatamente da una sola, o da pochissime lingue assolutamente primitive, madri di tante e sì diverse figlie. Questa primissima lingua, a quello che pare, quando si diffuse per le diverse parti del globo, mediante le trasmigrazioni degli uomini, era ancora rozzissima, scarsissima, priva d'ogni sorta d'inflessioni, inesattissima, costretta a significar cento cose con [1264]un segno solo, priva di regole, e d'ogni barlume di gramatica ec. e verisimilissimamente non applicata ancora in nessun modo alla scrittura. (Se mai fosse già stata in uso la così detta scrittura geroglifica, o le antecedenti, queste non rappresentando la parola ma la cosa, non hanno a far colla lingua, e sono un altro ordine di segni, anteriore forse alla stessa favella; certo, secondo me, anteriore a qualunque favella alquanto formata e maturata.) Nè dee far maraviglia che la grand'opera della lingua, opera che fa stordire il filosofo che vi pensa, e molto più del rappresentare le parole, e ciascun suono di ciascuna parola, chiamato lettera, mediante la scrittura, e ridurre tutti i suoni umani a un ristrettissimo numero di segni detto alfabeto, abbia fatto lentissimi progressi, e non prima di lunghissima serie di secoli, abbia potuto giungere a una certa maturità ; non ostante che l'uomo fosse già da gran tempo ridotto allo stato sociale. Quanto all'alfabeto o scrittura par certo ch'egli fosse ben posteriore alla dispersione del genere umano, sapendosi che molte nazioni già formate presero il loro alfabeto da altre straniere, come i greci dai Fenici, i latini ec. Dunque non era noto prima ch'elle si disperdessero, e dividessero, giacch'elle da principio non ebbero alcun alfabeto. E i Fenici l'ebbero pel loro gran commercio ec. Dunque esistendo il commercio, le nazioni erano, e da gran tempo, divise.
Diffondendosi dunque pel globo il genere umano, e portando con se per ogni parte quelle scarsissime e debolissime convenzioni di suono significante, che formavano allora la lingua; si venne stabilendo nelle diverse parti, e la società cominciò lentissimamente a crescere e camminare verso la perfezione. Primo e necessario mezzo per l'una parte, e per l'altra effetto di questa, è la sufficienza e l'organizzazione della favella. Venne dunque lentamente [1265]a paro della società , crescendo e forma...
[Pagina successiva]