[Pagina precedente]...i, perchè non s'erano veduti tutti raccolti con soverchio splendore e superiorità in una sola epoca.
3. È già noto che le regole nascono quando manca chi faccia. Ma in Grecia non mancò fino agli ultimi tempi della sua esistenza politica. E sebbene allora nacquero (o almeno si propagarono e crebbero) anche fra' greci le regole, e le arti gramatiche, ec. ec. nondimeno il lungo uso e consolidamento della sua libertà rispetto alla lingua, impedì che le regole le nuocessero, sebbene non così accadde alla letteratura. Laddove la letteratura latina quasi spirata con Virgilio, e col di lei secolo d'oro, e parimente l'italiana, lasciarono largo e libero campo alle regole, ed a tutti i beatissimi effetti loro. Giacchè sebbene il 500. non mancava di regole (ne mancò però del tutto il 300.), quelle non aveano che fare coll'esattezza e finezza ec. [1070]e servilità delle posteriori, e si possono paragonare (massime in fatto di lingua) a quelle che in fatto di rettorica o di poetica ec. ebbero anche i greci ne' migliori tempi. Che se i latini n'ebbero di molte e precise, perchè le riceverono dai greci già fatti gramatici e rettorici, questa è pure una delle ragioni della poca libertà della loro lingua formata ec. ec. e resta compresa nella soverchia civiltà di quel tempo, che ho già addotta da principio, come cagione di detta poca libertà .
(20. Maggio 1821.). V. p.743-746. principio.
Quello che ho detto intorno alla novità delle parole cavate dalla propria lingua, si deve anche applicare alla novità de' sensi e significati d'una parola già usitata, alla novità delle metafore ec. V. Scelta di opuscoli interessanti. Milano. vol.4. p.54.58-61. I quali nuovi e diversi significati d'una stessa parola, non denno però esser tanti che dimostrino povertà , e producano confusione, ed ambiguità , come nell'Ebraico.
(20. Maggio 1821.)
Alla p.807. marg. Dice Varrone che gli uomini (in sermones non solum latinos, sed omnium hominum necessaria de causa) Imposita nomina esse voluerunt quam paucissima, quo citius ediscere possent, intendendo per nomi imposti, le parole radicali (Varro, De ling. lat. lib.7.) (p.2. del I. libro de Analogia nella ediz. che ho del 400). [1071]
(21. Maggio 1821.)
Un antichissimo significato della parola inter che ordinariamente è preposizione, e in questo caso sembra essere stata usata avverbialmente, significato non osservato dai Gramatici nè da' Lessicografi (il Forcellini non ne fa parola alla v. Inter, benchè citi molti gramatici), fu quello di quasi, mezzo, e simili. Del qual significato resta un evidente vestigio nelle parole intermorior, intermortuus, mezzo morto, che anche noi diciamo tramortire, tamortito, e quindi tramortigione, tramortimento. Ora questo antichissimo significato, dimenticato fino dai gramatici latini, e di cui negli scrittori latini non si trova, ch'io sappia, altra ricordanza che la sopraddetta, si conservò alla voce inter, nel latino volgare, sino a passar nella lingua francese, che nello stessissimo senso l'adopra nella composizione di alcuni verbi come entr'ouvrir, entrevoir ec. Ell'signifie aussi dans la composition de quelques verbes une action diminutive, dice l'Alberti della preposizione entre, che è lo stesso che inter. Nè si creda che questo significato sia rimasto in francese alla detta parola, solamente in alcuni verbi che questa lingua abbia presi dal latino, già così composti e formati, e colla detta significazione. [1072]Giacchè 1. i detti verbi così composti, e col detto senso non si trovano nel latino, se non ci volessimo tirare il verbo interviso, che ha veramente un altro significato da quello di voir imparfaitement ec. dell'entrevoir (v. l'Alberti.). Sicchè in ogni modo questi verbi non trovandosi negli scrittori latini, si verrebbero a dimostrar derivati dall'uso latino volgare. 2. La parola entre nel detto senso si trova anche, nella composizione, unita a parole non latine affatto, come in entre-baillé, mezzo chiuso, o socchiuso. Laonde è manifesto che il detto significato passò dall'antichissimo latino al francese, (certo non per altro mezzo che del volgare latino) come propriamente aderente alla parola entre, quantunque nella sola composizione. Si potrebbono anche riferir qua le nostre parole traudire, e travedere, (co' derivati) che vagliono ingannarsi nell'udire o nel vedere, cioè vedere a mezzo, vedere imperfettamente, come entrevoir, sebbene fissate ad un senso derivativo da questo primo.
(21. Maggio 1821.). V. il Du Cange, se ha nulla al proposito.
Alla p.362. Immaginiamoci un pastore primitivo o selvaggio, privo di favella, o di nomi numerali che volesse, com'è naturale, rassegnare la sera il suo gregge. Non potrebbe assolutamente farlo se non in maniera materialissima; come porre la mattina tutte le pecore in [1073]fila, e misurato o segnato lo spazio che occupano, riordinarle la sera nello stesso luogo, e così ragguagliarle. Ovvero, che è più verisimile, raccorre, poniamo caso, tanti sassi quante sono le pecore: il che fatto, non potrebbe mica ragguagliarle esattamente coi sassi mediante veruna idea di quantità . Perchè non potendo contare nè quelle nè questi, molto meno potrebbe formare nessun concetto della relazione scambievole o del ragguaglio di due quantità numeriche determinate: anzi non conoscerebbe quantità numerica determinata. Converrebbe che si servisse di un'altra maniera materialissima, come porre da parte prima una pecora ed un sasso, indi un'altra pecora e un altro sasso, e così di mano sino all'ultima pecora, e sino all'ultimo sasso. V. p.2186. principio.
Certo è che l'invenzione dei nomi numerali fu delle più difficili, e l'una delle ultime invenzioni de' primi trovatori del linguaggio. L'idea di quantità , non solo assoluta e indeterminata (anzi questa è meno difficile, essendo materiale e sensibile l'idea del più e del meno, e quindi della quantità indeterminata), ma anche determinata, anche relativa a cose materialissime, considerandola bene, è quasi totalmente astratta e metafisica. Quando noi vediamo le cinque dita della mano, ne concepiamo subito il numero, [1074]perchè l'idea del numero è collegata nella mente nostra mediante l'abito, e l'uso della favella, coll'idea che ci suscita il vedere una quantità d'individui facili a contare, o di cui già sappiamo il numero. E l'idea di contare vien dietro alla detta vista, per la detta ragione. Non così l'uomo privo de' nomi numerali. Egli vede quelle cinque dita come tante unità , che non hanno fra loro alcuna relazione o attinenza numerica (come in fatti non l'hanno per se stesse), componenti una quantità indefinita (della quale non concepisce se non se un'idea confusa, com'è naturale trattandosi d'indefinito) e non gli si affaccia neppure al pensiero l'idea di poterla determinare, o di contare quelle dita. Meno metafisica è l'idea dell'ordine. Giacchè (seguitando a servirci dell'esempio della mano) che il pollice, ossia il primo dito, stia nel principio della serie, che l'indice, cioè il secondo dito, venga dopo quello che è nel principio della mano, cioè il pollice, e che il medio cioè il terzo succeda a questo dito, e sia distante dal pollice un dito d'intervallo; sono cose che cadono sotto i sensi, e che destano facilmente l'idea di primo di secondo e di terzo e via discorrendo. Lo stesso potremmo dire di un filare d'alberi ec.
Così che io non credo che le denominazioni de' numeri ordinativi non abbiano preceduto nelle lingue primitive quelle de' cardinali (contro ciò che pare a prima vista, e che forse è seguito nelle lingue colte ec.); e che in dette lingue [1075]la parola secondo si sia pronunziata prima che la parola due. Perchè la parola secondo esprime un'idea materiale, e derivata da' sensi, e naturale, cioè quella cosa che sta dopo ciò che è nel principio, laonde la forma di quest'idea sussiste fuori dell'intelletto. Infatti nel latino, posterior vuol dire secundus ordine, loco, tempore (Forcellini), e così propriamente il greco ???????: ????????? ?? ?????? ????????? ??? ?????????? ??? ??????. Plutarco, Convival. Disputat. l.8. (Scapula) quantunque possa venir dopo, o dietro, anche quello che non è secondo. Così pure nell'italiano posteriore ec. Ma la parola due significa un'idea la cui forma non sussiste se non che nel nostro intelletto, quando anche sussistano fuori di esso le cose che compongono questa quantità , colla quale tuttavia non hanno alcuna relazione sensibile, materiale, intrinseca o propria loro, ed estrinseca alla concezione umana. V. l'Encyclopédie méthodique. Métaphisique. art. nombres, preso, io credo, da Locke.
Quella cosa che è nel principio, ha una ragione propria per esser chiamata prima, e quella che gli sta dopo, per esser chiamata seconda, cioè posteriore: così che questi nomi ordinali sono relativi alle cose. Ma quella non ha ragione propria perchè l'uomo nel contare la chiami uno, e quest'altra due; e questi nomi cardinali non sono relativi alle cose reali, ma alla quantità , che è solamente idea, ed è separata dalle cose, nè sussiste fuori dell'intelletto.
(22. Maggio 1821.). V. p.1101. fine.
Quelli che non sogliono mai far nulla, e che per conseguenza hanno più tempo libero, e da potere impiegare, sono ordinariamente i più difficili a trovare il tempo per una [1076]occupazione, ancorchè di loro premura, a ricordarsi di una cosa che bisogni fare, di una commissione che loro sia stata data, e che anche prema loro di eseguire. Al contrario quelli che hanno la giornata piena, e quindi meno tempo libero, e più cose da ricordarsi. La cagione è chiara, cioè l'abito di negligenza nei primi, e di diligenza nei secondi (22. Maggio 1821.). E lo stesso differente effetto si vede anche in una stessa persona, secondo i diversi abiti e metodi temporanei di attività e diligenza, o inattività e negligenza.
Alla p.761. Anzi questa facoltà de' composti di due o più voci, è proprissima anche oggidì del linguaggio italiano familiare (e credo anzi del linguaggio familiare di tutte le nazioni, massime popolare): e specialmente del toscano lo è stato sempre, e lo è. Il qual dialetto vi ha molta e facilità e grazia; e il discorso ne riceve una elegante e pura novità , ed una singolare efficacia; come tagliacantoni, ammazzasette, pascibietola, (del Passavanti) frustamattoni, perdigiorno, pappalardo e simili voci burlesche o familiari antiche e moderne. Sicchè non si può dire che questa medesima facoltà sia neppur oggi perduta: (giacchè sarebbe ridicolo l'impedire di fare altri composti simili ec.) nè che la nostra lingua non ci abbia attitudine; e neppure che non si possano estendere oltre al burlesco o familiare, giacchè il burlesco o familiare di questi composti deriva non tanto dalla composizione, quanto dalla natura delle voci che li formano. Ma altre voci, purchè fosse fatto con giudizio, e senza eccesso [1077]di lunghezza, nè forzatura delle parti componenti, si potrebbero benissimo comporre allo stesso modo, senza toglier nulla alla gravità , nè indurre nessuna apparenza di buffonesco o di plebeo. E così fece giudiziosamente il Cesarotti nell'Iliade, e credo anche nell'Ossian. Omero, Dante, e tutti i grandi formano nomi dalle cose. Quintiliano, e tutti i Gramatici l'approvano: quando calzino appunto, come qui, dove Tiberio schernisce la cinquannaggine, che Gallo voleva, de' magistrati. Davanzati (Annali di Tacito Lib.2. c.36. postilla 3.) in proposito del verbo incinquare da lui formato per rendere il latino quinquiplicare di Tacito. (23. Maggio 1821.). Era però già stato usato da Dante.
Il tempo di Luigi decimoquarto e tutto il secolo passato, fu veramente l'epoca della corruzione barbarica delle parti più civili d'Europa, di quella corruzione e barbarie, che succede inevitabilmente alla civiltà , di quella che si vide ne' Persiani e ne' Romani, ne' Sibariti, ne' Greci ec. E tuttavia la detta epoca si stimava allora, e per esser freschissima, si stima anche oggi, civilissima, e tutt'altro che barbara. Quantunque il tempo [1078]presente, che si stima l'apice della civiltà , differisca non ...
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