[Pagina precedente]...nismo repere che nella Crusca ha un esempio di Dante, e uno del Soderini, ebbero i nostri antichi anche ripire, voce italiana d'uso, e volgare in quei tempi, come sembra, e adoprata anch'essa nel significato di inerpicarsi, ????????, o di salire, montar su, come puoi vedere ne' due esempi delle Storie Pistolesi nella Crusca, e in questi della Storia della Guerra di Semifonte scritta da M. Pace da Certaldo, Firenze 1753. il quale autore fu tra il 200 e il 300. Gli Fiorentini appoggiate le scale di già RIPIVANO (p.37): e Videro... alcuni già avere appoggiate le scale, e far pruova di RIPIRE. (p.46.) Esempi portati nella Lettera a V. Monti di Vincenzo Lancetti, Proposta di alcune Correzioni ed Aggiunte al Vocab. della Crusca, vol.2. par.1. Milano 1819. Appendice, p.284. Quindi ripido, cioè Erto, Malagevole a salire, spiega la Crusca, e ripidezza astratto di ripido, voci non latine: e da repere, repente, per molto erto, ripido, dice la Crusca, che ne porta due [1231]esempi del trecento. Il Du Cange non ha niente in proposito.
(27. Giugno 1821.)
Alla p.1229. E infatti gran parte, e forse la maggiore delle poesie straniere, riescono e sono piuttosto trattati profondissimi di psicologia, d'ideologia ec. che poesia. E quivi la filosofia nuoce e distrugge la poesia, e la poesia guasta e pregiudica la filosofia. Tra questa e quella esiste una barriera insormontabile, una nemicizia giurata e mortale, che non si può nè toglier di mezzo, e riconciliare, nè dissimulare. E così dico proporzionatamente del resto della bella letteratura propriamente e veramente considerata.
(27. Giugno 1821.)
Alla p.1125, marg. - ossia le radici de' verbi ebraici chiamati perfetti, tutte composte di tre lettere nè più nè meno, e di due sillabe, ed anche gl'imperfetti fuorchè i Deficienti (come dicono) in Ghaiin, quando per contrazione perdono la seconda radicale nella terza singolare del Preterito di Kal attivo (cioè della prima coniugazione attiva); e i Quiescenti detti in Ghaiin Vau, i quali avendo pur tre lettere, hanno però una sola sillaba nella radice. Questo genere di radici dissillabe e trilettere, io credo che sia comune e regolare anche nell'Arabo, nel Siriaco e in altre lingue orientali.
(27. Giugno 1821.)
Alla p.1126. Dovrebbe, dico adottare, fra queste voci, tutte quelle che non hanno, nè possono avere nell'italiano un preciso equivalente, cioè preciso nella significazione, e preciso nell'intelligenza e nell'effetto. [1232]Perchè se qualcuna di tali voci ha già nell'uso o dello scrivere o del parlare italiano, una voce corrispondente che produca lo stesso preciso effetto, quantunque diversa materialmente; o se si può formare dalle nostre radici, o riporre in uso qualche parola dismessa che indichi la stessa idea in modo da suscitarla con piena e perfetta precisione, e senza oscurità nè veruna minima incertezza, e senza niente di vago o di dissimile, nella mente del lettore, o uditore; non nego, anzi affermo, che in tal caso (che quando si ponga ben mente a tutte e a ciascuna delle dette condizioni sarà rarissimo) faremo bene a preferir queste voci nostre, alle sopraddette, benchè universali, e benchè in tal caso pure, non saremmo in diritto di riprenderle come impure, mentre son pure, cioè comunemente usate, e precisamente intese in tutta l'Europa.
(27. Giugno 1821.)
La trattabilità e facilità della lingua francese, ond'ella è così agevole a scriver bene e spiegarsi bene sì per lo straniero che l'adopra o l'ascolta, sì pel nazionale, non deriva dall'esser ella uno strumento pieghevole e souple (qualità negatale espressamente dal Thomas) ec. ma dall'essere un piccolo strumento, e quindi manuale, ???????????????? maneggiabile, [1233]facile a rivoltarsi per tutti i versi, e ad adoprare in ogni cosa. ec.
(27. Giugno 1821.)
Quello che ho detto de' termini filosofici comuni oggi a tutta Europa, bisogna anche estenderlo ai nomi appartenenti al commercio, alle arti, alle manifatture, agli oggetti di lusso ec. ec. che da qualunque lingua e nazione abbiano ricevuto il nome, lo conservano in gran parte per tutte le lingue e nazioni, e così è sempre accaduto. Quanto però al Vocabolario ch'io propongo, il comprendervi questi nomi, sarebbe anche meno necessario di quelli appartenenti alle scienze esatte o materiali.
(28. Giugno 1821.)
Alla p.1212. Talvolta anche adopriamo i detti modi, a espresso fine di denotare azione interrotta, e il di quando in quando, come p.e. dicendo il Tasso viene ornando i suoi versi di falsi ornamenti, vogliamo dire, di quando in quando gli orna ec. e vogliamo significare minor continuità che se dicessimo orna i suoi versi ec. il che verrebbe a dire che lo facesse sempre o quasi sempre; o se dicessimo suole ornare ec.
(28. Giugno 1821.)
Alla p.1212. principio. Se esistesse un'armonia assoluta in ordine ai suoni articolati o alle parole, tutte le versificazioni in qualunque lingua e tempo, avrebbero [1234]avuto ed avrebbero le stesse armonie, e renderebbero le stesse consonanze, che in un batter d'occhio si ravviserebbero dal forestiero, come dal nazionale, e dal contemporaneo ec. Quando per lo contrario il forestiero non solo non vi trova alcuna conformità coll'armonia della versificazione sua nazionale, ma bene spesso non si accorge nè si può accorgere che quella tale sia versificazione, se non se n'accorge per la materia, e per essere scritta in linee distinte, o per la rima, che non ha punto che fare col ritmo, nè colla misura.
(28. Giugno 1821.)
Alla p.1226. marg. fine. L'analisi delle cose è la morte della bellezza o della grandezza loro, e la morte della poesia. Così l'analisi delle idee, il risolverle nelle loro parti ed elementi, e il presentare nude e isolate e senza veruno accompagnamento d'idee concomitanti, le dette parti o elementi d'idee. Questo appunto è ciò che fanno i termini, e qui consiste la differenza ch'è tra la precisione, e la proprietà delle voci. La massima parte delle voci filosofiche divenute comuni oggidì, e mancanti a tutti o quasi tutti gli antichi linguaggi, non esprimono veramente idee che mancassero assolutamente ai nostri antichi. Ma come è già stabilito dagl'ideologi [1235]che il progresso delle cognizioni umane consiste nel conoscere che un'idea ne contiene un'altra (così Locke, Tracy ec.), e questa un'altra ec.; nell'avvicinarsi sempre più agli elementi delle cose, e decomporre sempre più le nostre idee, per iscoprire e determinare le sostanze (dirò così) semplici e universali che le compongono (giacchè in qualsivoglia genere di cognizioni, di operazioni meccaniche ancora ec. gli elementi conosciuti, in tanto non sono universali, in quanto non sono perfettamente semplici e primi); (v. in questo proposito la p.1287. fine) così la massima parte di dette voci, non fa altro che esprimere idee già contenute nelle idee antiche, ma ora separate dalle altre parti delle idee madri, mediante l'analisi che il progresso dello spirito umano ha fatto naturalmente di queste idee madri, risolvendole nelle loro parti, elementari o no (che il giungere agli elementi delle idee è l'ultimo confine delle cognizioni); e distinguendo l'una parte dall'altra, con dare a ciascuna parte distinta il suo nome, e formarne un'idea separata, laddove gli antichi confondevano le dette parti, o idee suddivise (che per noi sono oggi altrettante distinte idee) in un'idea sola. Quindi la secchezza che risulta dall'uso de' termini, i quali ci destano un'idea quanto più si possa scompagnata, solitaria e circoscritta; laddove la bellezza del discorso e della poesia consiste nel destarci gruppi d'idee, e nel fare errare la nostra mente nella moltitudine delle concezioni, e nel loro vago, confuso, indeterminato, incircoscritto. Il che si ottiene colle parole proprie, ch'esprimono un'idea composta di molte parti, e legata [1236]con molte idee concomitanti; ma non si ottiene colle parole precise o co' termini (sieno filosofici, politici, diplomatici, spettanti alle scienze, manifatture, arti ec. ec.) i quali esprimono un'idea più semplice e nuda che si possa. Nudità e secchezza distruttrice e incompatibile colla poesia, e proporzionatamente, colla bella letteratura.
P.e. genio nel senso francese, esprime un'idea ch'era compresa nell'ingenium, o nell'ingegno italiano, ma non era distinta dalle altre parti dell'idea espressa da ingenium. E tuttavia quest'idea suddivisa, espressa da genio, non è di gran lunga elementare, e contiene essa stessa molte idee, ed è composta di molte parti, ma difficilissime a separarsi e distinguersi. Non è idea semplice benchè non si possa facilmente dividere nè definire dalle parti, o dal'intima natura. Lo spirito umano, e seco la lingua, va sin dove può; e l'uno e l'altra andranno certo più avanti, e scopriranno coll'analisi le parti dell'idea espressa da genio, ed applicheranno a queste parti o idee nuovamente scoperte, cioè distinte, nuove parole, o nuovi usi di parole. Così egoismo che non è amor proprio, ma una delle infinite sue specie, ed egoista ch'è la qualità del secolo, e in italiano non si può significare.
Così cuore in quel senso metaforico che è sì comune a tutte le lingue moderne fin dai loro principii, era voce sconosciuta in detto senso alle lingue antiche, e non però era sconosciuta l'idea ec. ma non bene distinta da mente, animo ec. ec. ec. ec. Così immaginazione o fantasia, per quella facoltà sì notabile ed essenziale della mente umana, che noi dinotiamo con questi nomi, ignoti in tal senso alla buona latinità e grecità, benchè da esse derivino. Ed altri nomi non avevano per dinotarla, sicchè anche queste parole (italianissime) e questo senso, vengono da barbara origine.
(28. Giugno 1821.)
[1237]Nè solamente col progresso dello spirito umano si sono distinte e denominate le diverse parti componenti un'idea che gli antichi linguaggi denominavano con una voce complessiva di tutte esse parti, o idee contenute; ma anche si sono distinte e denominate con diverse voci non poche idee che per essere in qualche modo somiglianti, o analoghe ad altre idee, non si sapevano per l'addietro distinguer da queste, e si denotavano con una stessa voce, benchè fossero essenzialmente diverse e d'altra specie o genere. V. p.e. quello che ho detto p.1199-200. circa il bello, e quello ch'essendo piacevole alla vista, non è però bello, nè appartiene alla sfera della bellezza, benchè ne' linguaggi comuni, si chiami bello, e l'intelletto volgare non lo distingua dal vero bello.
Da queste osservazioni e da quelle del pensiero precedente, inferite 1. che quelli i quali scartano tali nuove parole o termini, e vietano la novità nelle lingue, pretendono formalmente d'impedire l'andamento, e rompere il corso, e fermare immobilmente e per sempre il progresso dello spirito umano, posto il quale, la lingua necessariamente progredisce, e si arricchisce di parole sempre più precise, distinte, sottili, uniformi ed universali, e in somma di termini; e [1238]vicendevolmente senza il progresso della lingua (e progresso di questa precisa natura, e non d'altra, che poco influisce) è nullo il progresso dello spirito umano, il quale non può stabilire ed assicurare, e perpetuare il possesso delle sue nuove scoperte e osservazioni, se non mediante nuove parole o nuove significazioni fisse, certe, determinate, indubitabili, riconosciute; e di più, uniformi, perchè se non sono uniformi, il progresso dello spirito umano sarà inevitabilmente ristretto a quella tal nazione, che parla quella lingua dove si sono formate le dette nuove parole; o a quelle sole nazioni che le hanno bene intese e adottate.
2. Che tali parole o termini, sono affatto incompatibili coll'essenza della poesia, e l'abuso loro, guasta affatto, e perde e trasforma in filosofia, o discorso di scienze ec. la bella letteratura.
(29. Giugno, dì mio natalizio. 1821.)
Già non accade avvertire che tali parole universali in Europa, non riuscirebbero nè nuove, nè per verun conto più difficili, oscure, incerte ai lettori italiani, di quello riescono agli stranieri...
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