[Pagina precedente]...e 1821.)
Che il verbo latino serpo sia lo stesso che il greco ????, è cosa evidente, come pure i derivati, serpyllum etc. Ma che gli antichi latini, e successivamente il volgo latino, usassero ancora, almeno in composizione, lo stesso verbo senza la [984]s, come in greco, lo raccolgo dal verbo neutro italiano inerpicare o innerpicare che significa appunto lo stesso che il greco ??????, composto di ????, cioè sursum repo, come anche ???????. (Del verbo ?????? non ha esempio lo Scapula, ma lo spiega sursum repo. Ve n'è però esempio in Arriano, Expedit. lib.6. c.10. sect.6. e nell'indice è spiegato sursum serpo.) Il qual verbo siccome non ha radice veruna nella nostra lingua, nè nella latina conosciuta, così l'ha evidentissima nel detto verbo ????, dal quale non può esser derivato, se non mediante il latino, cioè mediante l'uso del volgo romano, differente in questo dagli scrittori.
(25 Aprile 1821.)
Delle qualità e pregi della lingua Sascrita, v. alcune cose estratte da un articolo di Jones nelle Notizie letterarie di Cesena 1791. 24. Nov. p.365. colonna 1. Dell'abuso ch'ella fa talvolta de' composti v. ib. p.363. colonna 2. fine. Abuso simile a quello che ne facevano talvolta gli antichi scrittori, e massime poeti, latini, ma assai maggiore, secondo la natura de' popoli orientali che sogliono sempre e in ogni genere spingersi fino all'ultimo e intollerabile eccesso delle cose.
(25. Aprile 1821.)
La scoperta e l'uso delle armi da fuoco oltre agli effetti da me notati negli altri pensieri, ha scemato ancora notabilissimamente il coraggio ne' soldati, e generalmente negli uomini. La victoire... s'obtient aujourd'hui par la regularité et la précision des manoeuvres, souvent sans en venir aux mains. Nos guerres ne se décident plus guère que de loin, à coups de canon et de fusil; et nos timides fantassins, sans armes défensives, effrayés par le bruit et l'effet de [985]nos armes à feu, n'osent plus s'aborder: les combats à l'armes blanches sont devenus fort rares. Così il Barone Rogniat, Considérations sur l'Art de la guerre, Paris, de l'imprimerie de Firmin Didot, 1817. Introduction, p.1. E come i soldati, così gli altri uomini che si servono delle armi da fuoco invece delle bianche, riducendosi ora ogni battaglia o pubblica o privata, a tradimenti, e a fatti di lontano, senza mai venire corpo a corpo: oltre l'influenza che ha l'educazione militare, e la natura delle guerre sopra l'intero delle nazioni. Sarà bene ch'io legga tutta intera l'opera citata, dove l'arte della guerra è chiarissimamente esposta, congiunta a molta filosofia, paragonati continuamente gli antichi coi moderni, e i diversi popoli fra loro, applicata alla detta arte la scienza dell'uomo ec. E certo la guerra appartiene al filosofo, tanto come cagione di sommi e principalissimi avvenimenti, quanto come connessa con infiniti rami della teoria della società , e dell'uomo e dei viventi.
(25. Aprile 1821.)
La soverchia ristrettezza e superstizione e tirannia in ordine alla purità della lingua, ne produce dirittamente la barbarie e licenza, come la eccessiva servitù produce la soverchia e smoderata libertà dei popoli. I quali ora perciò non divengono liberi, perchè [986]non sono eccessivamente servi, e perchè la tirannia è perfetta, e peggiore che mai fosse, essendo più moderata che fosse mai.
(25. Aprile 1821.)
Come non si dà mai l'atto nè il possesso del diletto, così neanche dell'utilità , giacchè utile non è se non quello che conduce alla felicità , la quale non è riposta in altro che nel piacere, con qualunque nome ei venga chiamato.
(25. Aprile 1821.)
Dal confronto delle poesie di Ossian, vere naturali e indigene dell'Inghilterra, colle poesie orientali, si può dedurre (ironico) quanto sia naturale all'Inghilterra la sua presente poesia (come quella di Lord Byron) derivata in gran parte dall'oriente, come dice il riputatissimo giornale dell'Edinburgh Review in proposito del Lalla Roca di Tommaso Moore (Londra 1817.) intitolato Romanzo orientale. (Spettatore di Milano. 1. Giugno 1818. Parte Straniera. Quaderno 101. p.233. e puoi vederlo.)
Infatti le poesie d'Ossian sebben sublimi e calde, hanno però quella sublimità malinconica, e quel carattere triste e grave, e nel tempo stesso, semplice e bello, e quegli spiriti marziali ed eroici, che derivano naturalmente dal clima settentrionale. Non già quella sublimità eccessiva, quelle esagerazioni, quelle spaccamontate delle pazze fantasie orientali; nè quel sapore aromatico; nè quello splendore abbagliante, come dice il citato giornale, nè quel fasto, nè quella voluttà , nè quei profumi (sono espressioni dello stesso); nè quel colore vivo e sfacciato, ed ardente; nè quella estrema raffinatezza, e squisitezza strabocchevole in ogni genere e parte di letteratura e poesia; nè quella mollezza, quella effeminatezza, quel languore, quella delicatezza (per noi) eccessiva e nauseosa e vile e sibaritica, che deriva dai climi meridionali. Ed è veramente maraviglioso, come il paese de' più settentrionali d'Europa, stimi naturale e propria e [987]adattata alla sua indole la poesia de' paesi più meridionali e ardenti del mondo. Un paese poi come l'Inghilterra, così pieno di filosofia, e cognizioni dell'uomo, e de' caratteri nazionali e fisici ec. ec. Meno male se l'orientalismo fa progressi in Francia, (come negli scritti di Chateaubriand) paese più meridionale che settentrionale. Ma non c'era popolo colto, a cui l'orientalismo convenisse meno che all'Inghilterra, dove però trionfa, e donde io credo che sia passato in Francia sulla fine del secolo passato, e donde si va diramando per l'Europa la detta scuola. Il fatto sta che tutto il mondo è paese, e da per tutto si crede naturale e nazionale quello che fa effetto per la cagione appunto contraria, cioè per la novità , pel forestiero, pel contrasto col carattere e l'indole propria e nazionale; e come la poesia [in] Italia ha corso rischio, (e non ne è forse fuori) di una nuova corruzione mediante il settentrionalismo, l'Ossianismo ec. così viceversa l'inglese, mediante il meridionale e l'orientale. E certo se la poesia settentrionale pecca in qualche cosa al gusto nostro, egli è nell'eccesso del sombre, del buio, del tetro; e la orientale al contrario, nell'eccesso del vivo, del chiaro, del ridente, del lucido anzi abbarbagliante ec. Vedete quanta conformità di carattere fra queste due poesie!
(25. Aprile 1821.)
Il diletto è sempre il fine, e di tutte le cose, l'utile non è che il mezzo. Quindi il piacevole, è vicinissimo al fine delle cose umane, o quasi lo stesso con lui; l'utile che si suole stimar più del piacevole, non ha altro pregio che d'esser più lontano da esso fine, o di condurlo non immediatamente ma mediatamente. [988]
(26. Aprile 1821.)
I latini erano veramente ????????? rispetto alla lingua loro e alla greca 1. perchè parlavano l'una come l'altra, ma non così i greci generalmente, anzi ordinariamente: 2. perchè scrivendo citavano del continuo parole e passi greci, in lingua e caratteri greci, ovvero usavano parole o frasi greche nella stessa maniera; ma non i greci viceversa, del che vedi p.981. e p.1052. capoverso 3. e p.2165.
3. Resta memoria di parecchie traduzioni fatte dal greco in latino anche ne' buoni tempi, e fino dagli ottimi scrittori latini, come Cicerone. Ed anche restano di queste traduzioni, o intere o in frammenti, come quelle di Arato fatte da Cicerone e da Germanico, quella del Timeo di Cicerone, quelle di Menandro fatte da Terenzio, quelle fatte da Apuleio o attribuite a lui, quelle dell'Odissea fatta da Livio Andronico, dell'Iliade da Accio Labeone, da Cneo Mattio o Mazzio, da Ninnio Crasso (Fabric. B. Gr. 1.297.) ec. tutte anteriori a Costantino. V. Andrès Stor. della letteratura, ediz. di Venezia, Vitto. t.9. p.328 329. cioè Parte 2. lib.4. c.3. principio. Non così nessuna traduzione, che sappia io, si rammenta dal latino in greco, se non dopo Costantino, e quasi tutte di opere teologiche o ecclesiastiche o sacre, cioè scientifiche e appartenenti a quella scienza che allora prevaleva. Non mai letterarie. (V. Andrès, t.9. p.330. fine.) La traslazione di Eutropio fatta da Peanio che ci rimane, e l'altra perduta di un Capitone Licio, non pare che si possano riferire a letteratura, trattandosi di un compendio ristrettissimo di storia, fatto a solo uso, possiamo dire, elementare. [989]E si può dire con verità quanto alla letteratura, che la comunicazione che v'ebbe fra la greca e la romana, non fu mai per nessunissimo conto reciproca, neppur dopo che la letteratura Romana era già grandissima e nobilissima, anzi superiore assai alla letteratura greca contemporanea. 4°, I latini scrivevano bene spesso in greco del loro. Così fa molte volte Cicerone nelle epistole ad Attico (forse anche nelle altre); dove forse per non essere inteso dal portalettere, la qual gente, com'egli dice, soleva alleviare la fatica e la noia del viaggio leggendo le lettere che portava; ovvero per evitare gli altri pericoli di lettere vertenti sopra negozi pubblici, politici ec. dal contesto latino passa bene spesso a lunghi squarci scritti in greco, e tramezzati al latino, e scritti anche in maniera enigmatica e difficile. Restano parecchie lettere greche di Frontone. Resta l'opera greca di Marcaurelio, il quale imperatore scriveva parimente, com'è naturale, in latino, e così bene, come si può vedere nelle sue lettere ultimamente scoperte8. Eliano, conosciuto solamente come scrittor greco, fu di Preneste, e quindi cittadino Romano, ed appena si mosse mai d'Italia. Nondimeno dice di lui Filostrato: ????????? ??? ??, ???????? ?? ????? ?? ?? ?? ???????? ??????????(Fabric. 3.696. not.). Intorno a Marcaurelio puoi vedere la p. 2166. Non così i greci sapevano mai scrivere in latino. Anzi Appiano in Roma scrivendo a Frontone, uomo latino, sebbene di origine affricana, scriveva in greco, e Frontone rispondeva parimente in greco, non in latino. E così molti libri di autori greci si trovano, scritti in greco, sebbene indirizzati a personaggi [990]romani o latini.
Le stesse cose appresso a poco si possono notare avvenute a noi riguardo al francese. Giacchè fino a tanto che la nostra letteratura prevalse o per merito reale, o per continuazione di fama e di opinione generale, e la nostra lingua era per tutti i versi più studiata, più conosciuta, più dilatata fra i francesi ed altrove, e la nostra letteratura parimente, sì nella nazione, che fra' suoi letterati e scrittori; e si trovarono di quei francesi che scrivevano in ambedue le lingue francese e italiana. Ora accade tutto l'opposto: e si trovano degl'italiani, come anche non pochi d'altre nazioni, che scrivono e stampano così nella lingua francese, come nella loro: libri, parole, testi francesi si allegano continuamente in tutti i paesi di Europa: non così viceversa in Francia, dove difficilmente si troverà un francese che sappia scrivere altra lingua che la sua, e scrivendo a' forestieri scriveranno in francese, e riceveranno risposta nella stessa lingua; e dove è più necessario che in qualunque altro paese colto, che i passi o parole che si citano di libri forestieri, (e massime italiani) si citino in francese, o se n'aggiunga la traduzione.
Osservo ancor questo. Ridotti in provincie romane i diversi paesi dell'impero, tutti gli scrittori che uscirono di queste provincie, qualunque lingua fosse in esse originaria o propria, scrissero in latino. I Seneca, Quintiliano, Marziale, [991]Lucano, Columella, Prudenzio, Draconzio, Giovenco, ed altri Spagnuoli; Ausonio, Sidonio Apollinare, S. Prospero, S. Ilario, Latino Pacato, Eumenio, Sulpizio Severo ed altri Galli; Terenzio, Marziano Capella, Frontone, Apuleio, Nemesiano, Tertulliano, Arnobio, S. Ottato, Mario Vittorino, S. Agostino, S. Cipriano, Lattanzio ed altri Affricani; Sedulio Scozzese. V. p.1014. Parecchi de' quali arrivarono ancora all'eccellenza nella lingua latina. Non così i greci. E dico tanto i greci Europei, quanto quelli nativi delle colonie greche nell'Asia Minore, o delle a...
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