[Pagina precedente]... un ossesso, in mezzo ai contadini, e gesticolava verso i balconi del palazzo Sganci, col viso in su, chiamando ad alta voce i conoscenti:
- Donna Marianna?... Eh?... eh?... Dev'esserne contento il baronello Rubiera!... Baronello? don Ninì? siete contento?... Vi saluto, don Gesualdo! Bravo! bravo! Siete lì!... - Poi corse di sopra a precipizio, scalmanato, rosso in viso, col fiato ai denti, la sottana rimboccata, il mantello e il nicchio sotto l'ascella, le mani sudice di polvere, in un mare di sudore: - Che festa, eh! signora Sganci! - Intanto chiamava don Giuseppe Barabba che gli portasse un bicchier d'acqua: - Muoio dalla sete, donna Marianna! Che bei fuochi, eh?... Circa duemila razzi! Ne ho accesi più di duecento con le mie mani sole. Guardate che mani, signor marchese!... Ah, siete qui, don Gesualdo? Bene! bene! Don Giuseppe? Chissà dove si sarà cacciato quel vecchio stolido di don Giuseppe:
Don Giuseppe era salito in soffitta, per vedere i fuochi dall'abbaino, a rischio di precipitare in piazza. Comparve finalmente, col bicchier d'acqua, tutto impolverato e coperto di ragnateli, dopo che la padrona e il canonico Lupi si furono sgolati a chiamarlo per ogni stanza.
Il canonico Lupi, ch'era di casa, gli diede anche una lavata di capo. Poscia, voltandosi verso mastro-don Gesualdo, con una faccia tutta sorridente:
- Bravo, bravo, don Gesualdo! Son contentone di vedervi qui. La signora Sganci mi diceva da un pezzo: l'anno venturo voglio che don Gesualdo venga in casa mia, a vedere la processione!
Il marchese Limòli, il quale aveva salutato gentilmente il santo Patrono al suo passaggio, inchinandosi sulla spalliera della seggiola, raddrizzò la schiena facendo un boccaccia.
- Ahi! ahi!... Se Dio vuole è passata anche questa!... Chi campa tutto l'anno vede tutte le feste.
- Ma di veder ciò che avete visto stavolta non ve l'aspettate più! - sogghignava il barone Zacco, accennando a mastro-don Gesualdo. - No! no! Me lo rammento coi sassi in spalla... e le spalle lacere!... sul ponte delle fabbriche, quest'amicone mio con cui oggi ci troviamo qui, a tu per tu!...
Però la padrona di casa era tutta cortesie per mastro-don Gesualdo. Ora che il santo aveva imboccato la via di casa sua sembrava che la festa fosse per lui: donna Marianna parlandogli di questo e di quello; il canonico Lupi battendogli sulla spalla; la Macrì che gli aveva ceduto persino il posto; don Filippo Margarone anche lui gli lasciava cadere dall'alto del cravattone complimenti simili a questi:
- Il nascer grandi è caso, e non virtù!... Venire su dal nulla, qui sta il vero merito! Il primo mulino che avete costruito in appalto, eh? coi denari presi in prestito al venti per cento!...
- Sì signore, - rispose tranquillamente don Gesualdo. - Non chiudevo occhio, la notte.
L'arciprete Bugno, ingelosito dei salamelecchi fatti a un altro, dopo tutti quegli spari, quelle grida, quel fracasso che gli parevano dedicati un po' anche a lui, come capo della chiesa, era riuscito a farsi un po' di crocchio attorno pur esso, discorrendo dei meriti del santo Patrono: un gran santo!... e una gran bella statua... I forestieri venivano apposta per vederla... Degli inglesi, s'era risaputo poi, l'avrebbero pagata a peso d'oro, onde portarsela laggiù, fra i loro idoli... Il marchese che stava per iscoppiare, l'interruppe alla fine:
- Ma che sciocchezze!... Chi ve le dà a bere, don Calogero? La statua è di cartapesta... una brutta cosa!... I topi ci hanno fatto dentro il nido... Le gioie?... Eh! eh! non arricchirebbero neppur me, figuratevi! Vetro colorato... come tante altre che se ne vedono!... un fantoccio da carnevale!... Eh? Cosa dite?... Sì, un sacrilegio! Il mastro che fece quel santo dev'essere a casa del diavolo... Non parlo del santo ch'è in paradiso... Lo so, è un'altra cosa... Basta la fede... Son cristiano anch'io, che diavolo!... e me ne vanto!...
La signora Capitana affettava di guardare con insistenza la collana di donna Giuseppina Alòsi, nel tempo stesso che rimproverava il marchese: - Libertino!... libertino! - Peperito s'era tappate le orecchie. L'arciprete Bugno ricominciò daccapo: - Una statua d'autore!... Il Re, Dio guardi, voleva venderla al tempo della guerra coi giacobini!... Un santo miracoloso!...
- Che c'è di nuovo, don Gesualdo? - gridò infine il marchese ristucco, con la vocetta fessa, voltando le spalle all'arciprete. - Abbiamo qualche affare in aria?
Il barone Zacco si mise a ridere forte, cogli occhi che schizzavano fuori dell'orbita; ma l'altro, un po' stordito dalla ressa che gli si faceva attorno, non rispose.
- A me potete dirlo, caro mio, - riprese il vecchietto malizioso. - Non avete a temere che vi faccia la concorrenza, io!
Al battibecco si divertivano anche coloro che non gliene importava nulla. Il barone Zacco, poi, figuriamoci! - Eh! eh! marchese!... Voi non la fate, la concorrenza?... Eh! eh!
Mastro-don Gesualdo volse un'occhiata in giro su tutta quella gente che rideva, e rispose tranquillamente:
- Che volete, signor marchese?... Ciascuno fa quel che può...
- Fate, fate, amico mio. Quanto a me, non ho di che lagnarmene...
Don Giuseppe Barabba si avvicinò in punta di piedi alla padrona, e le disse in un orecchio, con gran mistero -
- Devo portare i sorbetti, ora ch'è passata la processione?
- Un momento! un momento! - interruppe il canonico Lupi, - lasciatemi lavar le mani.
- Se non li porto subito, - aggiunse il servitore, - se ne vanno tutti in broda. E' un pezzo che li ha mandati Giacinto, ed eran già quasi strutti.
- Va bene, va bene... Bianca?
- Zia...
- Fammi il piacere, aiutami un po' tu.
Dall'uscio spalancato a due battenti entrarono poco dopo don Giuseppe e mastro Titta, il barbiere di casa, carichi di due gran vassoi d'argento che sgocciolavano; e cominciarono a fare il giro degli invitati, passo passo, come la processione anch'essi. Prima l'arciprete, donna Giuseppina Alòsi, la Capitana, gli invitati di maggior riguardo. Il canonico Lupi diede una gomitata al barbiere, il quale passava dinanzi a mastro-don Gesualdo senza fermarsi. - Che so io?... Se ne vedono di nuove adesso!... - brontolò mastro Titta. Il ragazzo dei Margarone ficcava le dita dappertutto.
- Zio?...
- Grazie, cara Bianca... Ci ho la tosse... Sono invalido... come tuo fratello...
- Donna Bellonia, lì, sul balcone! - suggerì la zia Sganci, la quale si sbracciava anche lei a servire gli invitati.
Dopo il primo movimento generale, un manovrar di seggiole per schivare la pioggia di sciroppo, erano seguiti alcuni istanti di raccoglimento, un acciottolìo discreto di piattelli, un lavorar guardingo e tacito di cucchiai, come fosse una cerimonia solenne. Donna Mita Margarone, ghiotta, senza levare il naso dal piatto. Barabba e mastro Titta in disparte, posati i vassoi, si asciugavano il sudore coi fazzoletti di cotone.
Il baronello Rubiera il quale stava discorrendo in un cantuccio del balcone grande naso a naso con donna Fifì, guardandosi negli occhi, degli occhi che si struggevano come i sorbetti, si scostò bruscamente al veder comparire la cugina, scolorandosi un po' in viso. Donna Bellonia prese il piattino dalle mani di Bianca, inchinandosi goffamente:
- Quante gentilezze!... è troppo! è troppo!
La figliuola finse di accorgersi soltanto allora della sua amica:
- Oh, Bianca... sei qui?... che piacere!... M'avevano detto ch'eri ammalata...
- Sì... un po',... Adesso sto bene...
- Si vede... Hai bella cera... E un bel vestitino anche... semplice!... ma grazioso!...
Donna Fifì si chinò fingendo d'osservare la stoffa, onde far luccicare i topazii che aveva al collo. Bianca rispose, facendosi rossa:
- E' di lanetta... un regalo della zia...
- Ah!... ah!...
Il baronello ch'era sulle spine propose di rientrare in sala: - Comincia ad esser umido... Piglieremo qualche malanno...
- Sì!... Fifì! Fifì! - disse la signora Margarone.
Donna Fifì dovette seguire la mamma, coll'andatura cascante che le sembrava molto sentimentale, la testolina alquanto piegata sull'omero, le palpebre che battevano, colpite dalla luce più viva, sugli occhi illanguiditi come avesse sonno.
Bianca posò la mano sul braccio del cugino, il quale stava per svignarsela anche lui dal balcone, dolcemente, come una carezza, come una preghiera; tremava tutta, colla voce soffocata nella gola:
- Ninì!... Senti, Ninì!... fammi la carità !... Una parola sola!... Son venuta apposta... Se non ti parlo qui è finita per me... è finita!...
- Bada!... c'è tanta gente!... - esclamò sottovoce il cugino, guardando di qua e di là cogli occhi che fuggivano. Ella gli teneva fissi addosso i begli occhi supplichevoli, con un grande sconforto, un grande abbandono doloroso in tutta la persona, nel viso pallido e disfatto, nell'atteggiamento umile, nelle braccia inerti che si aprivano desolate.
- Cosa mi rispondi, Ninì?... Cosa mi dici di fare?... Vedi... sono nelle tue braccia... come l'Addolorata!...
Egli allora cominciò a darsi dei pugni nella testa, commosso, col cuore gonfio anch'esso, badando a non far strepito e che non sopraggiungesse nessuno nel balcone. Bianca gli fermò la mano.
- Hai ragione!... siamo due disgraziati!... Mia madre non mi lascia padrone neanche di soffiarmi il naso!... Capisci? capisci?... Ti pare che non ci pensi a te?... Ti pare che non ci pensi?... La notte... non chiudo occhio!... Sono un povero disgraziato!... La gente mi crede felice e contento...
Guardava giù nella piazza, ora spopolata, onde evitare gli occhi disperati della cugina che gli passavano il cuore, addolorato, cogli occhi quasi umidi anch'esso.
- Vedi? - soggiunse. - Vorrei essere un povero diavolo... come Santo Motta, laggiù!... nell'osteria di Pecu-Pecu... Povero e contento!...
- La zia non vuole?
- No, non vuole!... Che posso farci?... Essa è la padrona!
Si udiva nella sala la voce del barone Zacco, che disputava, alterato; e poi, nei momenti ch'esso taceva, il cicaleccio delle signore, come un passeraio, con la risatina squillante della signora Capitana, che faceva da ottavino.
- Bisogna confessarle tutto, alla zia!...
Don Ninì allungò il collo verso il vano del balcone, guardingo. Poscia rispose, abbassando ancora la voce:
- Gliel'ha detto tuo fratello... C'è stato un casa del diavolo!... Non lo sapevi?
Don Giuseppe Barabba venne sul balcone portando un piattello su ciascuna mano.
- Donna Bianca, dice la zia... prima che si finiscano...
- Grazie; mettetelo lì, su quel vaso di fiori...
- Bisogna far presto, donna Bianca. Non ce n'è quasi più.
Don Ninì allora mise il naso nel piattello, fingendo di non badare ad altro: - Tu non ne vuoi?
Essa non rispose. Dopo un po', quando il servitore non era più lì, si udì di nuovo la voce sorda di lei:
- E' vero che ti mariti?
- Io?...
- Tu... con Fifì Margarone...
- Non è vero... chi te l'ha detto?...
- Tutti lo dicono.
- Io non vorrei... E' mia madre che si è messa in testa questa cosa... Anche tu... dicono che vogliono farti sposare don Gesualdo Motta...
- Io?...
- Sì, tutti lo dicono... la zia... mia madre stessa...
Si affacciò un istante donna Giuseppina Alòsi, come cercando qualcheduno; e vedendo i due giovani in fondo al balcone, rientrò subito nella sala.
- Vedi? vedi? - disse lui. - Abbiamo tutti gli occhi addosso!... Piglia il sorbetto... per amor mio... per la gente che ci osserva... Abbiamo tutti gli occhi addosso!...
Essa prese dolcemente dalle mani di lui il piattino che aveva fatto posare sul vaso dei garofani; ma tremava così che due o tre volte si udì il tintinnìo del cucchiaino il quale urtava contro il bicchiere.
Barabba corse subito dicendo:
- Eccomi! eccomi!
- Un momento! Un momento ancora, don Giuseppe!
Il baronello avrebbe pagato qualcosa di tasca sua per trattenere Barabba sul balcone.
- Come vi tratta la festa, don Giuseppe?
- Che volete, signor barone?... Tutto sulle mie spalle!... la casa da mettere in ordine, le fodere da togliere, i lumi da preparare... Donna Bianca, qui, può dirlo, che mi ha dato una mano. Mastro Titta fu chiamato solo pel trattamento. E domani poi devo tornare a scopare e rimettere le fodere.....
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