[Pagina precedente]...ti governavano i cavalli, e il Comandante fumava al balcone, in pantofole, come in casa sua.
Nanni l'Orbo tornò ridendo a crepapelle. Prima di entrare però bussò al modo che aveva detto, tossì, si soffiò il naso, pure si trattenne un po' a discorrere ad alta voce con una vicina che si pettinava sul ballatoio. Don Gesualdo stava mangiando una insalata di cipolle, onde prevenire qualche malattia causata dallo spavento. - Prosit! prosit, don Gesualdo! A casa vostra ci ho trovato dei forestieri, tale e quale come voi qui da me. Il barone Zacco corre ancora!... L'hanno visto prima dell'alba più in là di Passaneto, figuratevi! a casa del diavolo!... dietro una siepe, più morto che vivo!... Sua moglie fa come una pazza... Sono stato anche a cercare del notaro Neri, se s'ha a scrivere due parole della chiusa del Carmine che date a mia moglie pei servizi prestati... Non che non mi fidi... sapete bene... per la vita e per la morte. Nessuno l'ha più visto, il notaro! Dicono ch'è nascosto nel monastero di San Sebastiano... vestito da donna... sissignore! Gli sbirri cercano da per tutto! Ma qui non avete da temere, vossignoria!... Udite? udite?
Sembrava che si divertisse a fare agghiacciare il sangue nelle vene al prossimo suo, quel briccone! Udivasi infatti un vocìo di comari, un correre di scarponi grossi strilli di ragazzi. Diodata s'arrampicò sino all'abbaino del granaio per vedere. Poi Nanni venne a dire:
- E' il viatico, Dio liberi!... Va in su verso sant'Agata. Ho visto il canonico Lupi che portava il Signore... cogli occhi a terra!... una faccia da santo, com'è vero Iddio!
- Stasera, appena è scuro, mi farai trovare una cavalcatura laggiù alla Masera, e mi darai qualche cosa da travestirmi; - disse don Gesualdo, che sembrava più smorto alla luce dell'abbaino.
- Perché? Non vi piace più lo stare in casa mia? Diodata vi avrebbe fatto qualche mancanza?
- No, no... Mi pare mill'anni d'esser lontano...
- Qui però non avete da temere... Gli sbirri non vengono a cercarvi qui! A casa vostra piuttosto! Guardatevi!...
Infatti Bianca la sera innanzi s'era visto capitare a tre ore di notte il Capitan d'Arme, un bell'uomo colla barba a collana e i baffi alla militare, che recava il biglietto d'alloggio. Bianca, già inquieta per suo marito, non sapendo che fare, aveva mandato a chiamare lo zio Limòli, il quale giunse sbadigliando e di cattivo umore. Invano il Capitan d'Arme accarezzandosi i baffi che aveva lasciato crescere da poco, le diceva colla voce grossa:
- Non temete!... Calmatevi, bella signora!... Noi militari siamo galanti col bel sesso!...
- Poi - aggiunse il marchese - questi qua sono militari per modo di dire; come io ho fatto il voto di castità perché sono cavaliere di Malta.
Il Capitano si accigliò, ma l'altro, senza accorgersene continuò, battendogli familiarmente sulla spalla:
- Vi conosco, don Bastiano!... Eravate piccolo così, colle brache aperte, quando si faceva delle scappatelle insieme a vostro padre... Allora il voto mi dava noia come vi dà noia adesso quella stadera che portate appesa al fianco... Bei tempi!... Bell'uomo vostro padre! Il cuore e la borsa sempre aperti!... Don Marcantonio Stangafame!... dei Stangafame di Ragusa!... una delle prime famiglie della Contea! Peccato che siate in tanti! L'avete indovinata a farvi nominare Capitan d'Arme!... Quattrocent'onze all'anno, per rispondere dei furti campestri... E' una bella somma... Vi rimane in tasca tale e quale... poiché il territorio è tranquillo!... Una bagattella soltanto pei dodici soldati che vi tocca mantenere... due tarì al giorno per ciascuno, eh?...
- Basta, corpo di... bacco!... - gridò il Capitan d'Arme battendo in terra la sciabola. - Sembrami che vogliate burlarvi di me, corpo di... bacco!
- Ehi, ehi! Adagio, signor capitano! Sono il marchese Limòli, e ho ancora degli amici a Napoli per farvi scapitanare e tagliare i baffi novelli, sapete!
Capitò in quel momento il ragazzetto del sagrestano che veniva a fare un'imbasciata di gran premura, balbettando, imbrogliandosi, tornando sempre a ripetere la stessa cosa rosso dalla suggezione. Il marchese, che cominciava a farsi un po' sordo, tendeva l'orecchio, gli faceva dei versacci lo intimidiva maggiormente strillando: - Eh? che diavolo vuoi?
Ma Bianca mise un grido straziante un grido che fece rimanere lo zio a bocca aperta, e scappò per la casa cercando il manto, cercando qualcosa da buttarsi in capo per uscire di casa, per correre subito.
III
Da gran tempo, ogni giorno, alla stessa ora, donna Giuseppina Alòsi che stava al balcone facendo la calza per aspettare la passata di Peperito, don Filippo Margarone mentre rivoltava la conserva di pomidoro posta ad asciugare sul terrazzo, l'arciprete Bugno nell'appendere al fresco la gabbia del canarino, fin coloro che stavano a sbadigliare nella farmacia di Bomma, se volgevano gli occhi in su, verso il Castello, al di sopra de' tetti, solevano vedere don Diego e don Ferdinando Trao, uno dopo l'altro, che facevano capolino a una finestra, guardinghi, volgevano poi un'occhiata a destra, un'altra a sinistra, guardavano in aria, e ritiravano il capo come la lumaca. Dopo qualche minuto infine aprivasi il balcone grande, stridendo, tentennando, a spinte e a riprese, e compariva don Diego, curvo, macilento, col berretto di cotone calcato sino alle orecchie, tossendo, sputando, tenendosi all'inferriata con una mano; e dietro di lui don Ferdinando che portava l'annaffiatoio, giallo, allampanato, un vero fantasma. Don Diego annaffiava, nettava, rimondava i fiori di Bianca; si chinava a raccattare i seccumi e le foglie vizze; rimescolava la terra con un coccio; passava in rivista i bocciuoli nuovi, e li covava cogli occhi. Don Ferdinando lo seguiva passo passo, attentissimo; accostava anche lui il viso scialbo a ciascuna pianta, aguzzando il muso, aggrottando le sopracciglia. Poscia appoggiavano i gomiti alla ringhiera, e rimanevano come due galline appollaiate sul medesimo bastone, voltando il capo ora di qua e ora di là , a seconda che giungeva la mula di massaro Fortunato Burgio carica di grano, o saliva dal Rosario la ragazza che vendeva ova, oppure la moglie del sagrestano attraversava la piazzetta per andare a suonare l'avemaria. Don Ferdinando stava intento a contare quante persone si vedevano passare attraverso quel pezzetto di strada che intravvedevasi laggiù, fra i tetti delle case che scendevano a frotte per la china del poggio; don Diego dal canto suo seguiva cogli occhi gli ultimi raggi di sole che salivano lentamente verso le alture del Paradiso e di Monte Lauro, e rallegravasi al vederlo scintillare improvvisamente sulle finestre delle casipole che si perdevano già fra i campi, simili a macchie biancastre. Allora sorrideva e appuntava il dito scarno e tremante, spingendo col gomito il fratello, il quale accennava di sì col capo e sorrideva lui pure come un fanciullo. Poi raccontava quello che aveva visto lui: - Oggi ventisette!... ne sono passati ventisette... L'arciprete Bugno era insieme col cugino Limòli!...
Per un po' di giorni, verso i primi d'agosto, era venuto soltanto don Ferdinando ad annaffiare i fiori, strascinandosi a stento, coi capelli grigi svolazzanti, sbrodolandosi tutto a ogni passo. Allorché ricomparve anche don Diego, parve di vedere Lazzaro risuscitato: tutto naso, colle occhiaie nere, seppellito vivo in una vecchia palandrana, tossendo l'anima a ogni passo: una tosse fioca che non si udiva quasi più, e scuoteva dalla testa ai piedi lui e il fratello che gli dava il braccio, come andasse facendo la riverenza a ogni vaso di fiori. E fu l'ultima volta. D'allora in poi s'erano viste raramente insieme le teste canute dei due fratelli, dietro i vetri rattoppati colla carta, cercando il sole, don Diego sputando e guardando in terra ogni momento. Il giorno in cui avvenne quel parapiglia nel Palazzo di Città , che le voci si udivano sin nella piazzetta di Sant'Agata, apparve per un istante alla finestra la cima di un berretto bianco tremolante. Ma allorquando la processione di San Giuseppe si fermò dinanzi al portone dei Trao, per l'omaggio tradizionale alla famiglia, le finestre rimasero chiuse, malgrado il vocìo della folla. Don Ferdinando scese per comprare l'immagine del santo gonfio d'asma, cogli occhi arsi di sonno piegato in due le mani nerastre tremanti così che non trovavano quasi nel taschino i due baiocchi per l'immagine. Il procuratore di San Giuseppe, che dirigeva la processione, gli disse:
- Vedrete quant'è miracolosa quell'immagine! Tanta salute e provvidenza a tutti, in casa vostra!
E gli affidò anche il bastone d'argento del santo, da metterlo al capezzale del malato: un tocca e sana. Eppure non giovò neanche quello.
Compare Cosimo e Pelagatti, partendo per la campagna due ore prima dell'alba, o tornando a notte fatta, vedevano sempre il lume alla finestra di don Diego. E il cane nero dei Motta uggiolava per la piazza, come un lamento. Poi, verso nona, bussava al portone il ragazzo di don Luca, portando un bicchiere di latte. Di tanto in tanto veniva don Giuseppe Barabba, con un piatto coperto dal tovagliuolo, o il servitore del Fiscale che recava un fiasco di vino. A poco a poco diradarono anche quelle visite. L'ultima volta il dottor Tavuso se n'era andato scrollando le spalle. I ragazzi del vicinato giuocavano tutto il giorno dietro quel portone che non si apriva più. Una sera, tardi, i vicini, che stavano cenando, udirono la voce chioccia di don Ferdinando chiamare il sagrestano, lì dirimpetto: una voce da far cascare il pan di bocca. E subito dopo un gran colpo al portone sconquassato, e dei passi che si allontanarono frettolosi.
Fu giusto quella notte che arrivava la Compagnia d'Arme. Una baraonda per tutto il paese. Al rumore insolito anche Don Diego aprì un istante gli occhi. Burgio che era sul ballatoio di casa sua, coll'orecchio teso verso la Piazza Grande dove udivasi quel parapiglia, vedendo gente nel balcone dei Trao, domandò inquieto:
- Che c'è?... Cosa succede?
- Don Diego!... - rispose il sagrestano; e fece il segno della croce, quasi massaro Fortunato avesse potuto vederlo al buio. - Solo come un cane!... me lo lasciano sulle spalle!... Ho mandato Grazia pel dottore... a quest'ora!...
- Sentite, laggiù, verso la piazza?... sentite?... Che giornata spunterà domattina, Dio liberi!...
- Basta avere la coscienza netta, massaro Fortunato. Sono stato sempre un povero diavolo!... Bacio la mano di chi mi dà pane...
- Il dottore!... quello sì!... deve avere la tremarella addosso a quest'ora!... E anche il canonico Lupi, dicono!... Buona sera!... I muri hanno orecchie al buio!
Infatti il dottor Tavuso, ch'era il capo di tutti i giacobini del paese, e stava nascosto nella legnaia, tremando come una foglia, vide giunta l'ultima sua ora all'udir bussare all'uscio con tanta furia.
- Li sbirri!... la Compagnia d'Arme!...
Quando gli dissero che era la moglie del sagrestano, invece, la quale veniva a cercarlo per don Diego moribondo, montò in furia come una bestia.
- E' ancora vivo?... Mandatelo al diavolo!... Vengono a spaventarmi!... a quest'ora!... di questi tempi!... Un padre di famiglia!... Andate a chiamare i suoi parenti piuttosto... o il viatico, ch'è meglio!...
La zia Sganci non volle neppure aprire. Barabba rispose dietro il portone, chiuso con tanto di catenaccio:
- Buona donna, questi non son tempi di correre di notte per le strade. Domattina, se Dio vuole, chi campa si rivede.
Per fortuna, Grazia non aveva di che temere; e suo marito l'avrebbe mandata senza sospetto in mezzo a un reggimento di soldati. L'andare attorno così tardi, in quella tal notte, era proprio uno sgomento. Lo stesso baronello Rubiera, che era uscito di buon'ora dalla casa dei Margarone, s'era fatto accompagnare col lampione.
- Ninì! Ninì! - strillò dal balcone donna Fifì con la vocina sottile, quasi il suo fidanzato corresse a buttarsi in un precipizio.
- Non temere... no! - rispose lui con la voce grossa.
All'udir gente nella piazzetta, dal portone dei Trao, che rimbombò come una cannonata...
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