[Pagina precedente]...o! Oggi a te, domani a me.
Il padrone gli rivolse un'occhiata brusca, e tagliò corto:
- Zitto, bestia!... Anche tu!...
Potevano essere due ore di notte quando arrivarono alla Fontana di don Cosimo, con una bella sera stellata, il cielo tutto che sembrava formicolare attorno a Budarturo, sulla distesa dei piani e dei monti che s'accennava confusamente. La mula, sentendo la stalla vicina, si mise a ragliare. Allora abbaiarono dei cani; laggiù in fondo comparvero dei lumi in mezzo all'ombra più fitta degli alberi che circondavano la casina, e s'udirono delle voci, un calpestìo precipitoso come di gente che corresse; lungo il sentiero che saliva dalla valle si udì un fruscìo di foglie secche, dei sassi che precipitarono rimbalzando, quasi alcuno s'inerpicasse cautamente. Poi silenzio. A un tratto, dal buio, sul limite del boschetto, partì una voce:
- Ehi, don Gesualdo?
- Ehi, Nanni, che c'è?
Compare Nanni non rispose, mettendosi a camminare accanto alla mula. Dopo un momento masticò sottovoce, quasi a malincuore:
- C'è che son qui per guardarvi le spalle!
Don Gesualdo non chiese altro. Scendevano per la viottola in fila. Nanni l'Orbo aggiunse soltanto, di lì a un po': - Si fece la festa, eh? - E come il padrone continuava a tacere, conchiuse: - L'ho capito alla cera che avete, vossignoria. Mondo di guai!... L'uno dopo l'altro! - Giunti alla fontana infine disse:
- Smontiamo qui, eh? Mastro Nardo se ne andrà pel viale colle cavalcature, e noi da questa parte, per far più presto.
Don Gesualdo capì subito, e non se lo fece dire due volte. Andavano in silenzio, lungo il muro, quasi ci vedessero al buio. A un certo punto l'Orbo accennò delle pietre sparse per terra, una specie di breccia fra le spine che coronavano il muro, e disse piano: - Vedete, vossignoria? - L'altro affermò col capo, e scavalcò il chiuso. Nanni l'Orbo coll'acciarino accese un zolfanello e andarono seguendo le pedate passo passo, sino alla casina. Sotto la finestra di donna Isabella l'Orbo additò in silenzio l'erba ch'era tutta pesta, quasi ci si fossero davvero sdraiati degli asini.
- I cani poi come fossero alloppiati! - osservò compare Nanni con quel fare misterioso. - Se non ero io, che ho l'orecchio fino... Dicevo a Diodata: Finché manca il padrone bisogna stare coll'orecchio teso, per guardargli le spalle... Allora ho mandato Nunzio sul ponticello, mentre io con Gesualdo arrivavo dalla parte del palmento... Sissignore dov'è alloggiata donna Sarina col nipote... Se i cani sono stati zitti, dicevo fra di me...
- Va bene. Adesso taci. Di lassù potrebbero udirti.
Il giorno dopo, ricevendo le visite di condoglianza, vestito di nero, colla barba lunga, appena donna Sarina ebbe fatto l'elogio del morto e del vivo, asciugandosi gli occhi, rimboccandosi le maniche per correre in cucina ad aiutare in quello scompiglio, don Gesualdo la fermò nell'andito, senza tanti complimenti.
- Sapete, donna Sarina?... il servizio che dovreste farmi sarebbe d'andarvene. Patti chiari e amici cari, non è vero? Ho bisogno di quelle due stanze... pei miei motivi. Sinora non vi ho detto nulla. Ma voi avrete ammirato la mia prudenza, eh?
La Cirmena diventò verde. S'aggiustò il vestito, sorridendo, pigliandola con disinvoltura: - Bene, bene. Ho capito. Una volta che vi servono quelle due stanzuccie... Se avete i vostri motivi... Anche subito, su due piedi... colèra o no!... La gente non ha da dire se me ne mandate via in mezzo al colèra!... Siete il padrone. Ciascuno sa i fatti di casa sua. Soltanto, se permettete, vado prima a salutare mia nipote. Non so cosa potrebbero pensare se me ne andassi zitta zitta... Le male lingue, sapete!...
Bianca non arrivava a capacitarsi: - Come? andarsene via? nel fitto del colèra? Perché? Cos'era stato? - La zia Cirmena adduceva diversi pretesti strambi: forza maggiore; ciascuno ha i suoi motivi; interessi gravi di casa; Corrado aveva ricevuto una lettera urgentissima. - Gli rincresce anche a lui, poveretto. Gli è arrivata fra capo e collo. S'era tanto affezionato a questi luoghi... Anche poco fa mi diceva: - Zia, oggi è l'ultima passeggiata che andrò a fare alla sorgente... - Don Gesualdo, fuori dei gangheri, tagliò corto a quei discorsi sciocchi.
- Scusate, donna Sarina. Mia moglie non capisce più niente... Diventano tutti così nella sua famiglia... Doveva toccare a me!...
Isabella invece s'era fatta pallida come un cadavere. Ma non si mosse, non disse nulla, una vera Trao, col viso fermo e impenetrabile. Ricambiava anche gli abbracci e i saluti affettuosi della zia, sforzandosi di sorridere, con una ruga sottile fra le ciglia. Poi, quando fu sola, a un tratto, con un gesto disperato, si strappò la gorgierina che la soffocava, con un'onda di sangue al volto, un abbarbagliamento improvviso dinanzi agli occhi, una fitta, uno spasimo acuto che la fece vacillare, annaspando, fuori di sé.
Voleva vederlo, l'ultima volta, a qualunque costo, quando tutti sarebbero stati a riposare, dopo mezzogiorno, e che alla casina non si moveva anima viva. La Madonna l'avrebbe aiutata: - La Madonna!... la Madonna!... - Non diceva altro, con una confusione dolorosa nelle idee, la testa in fiamme, il sole che le ardeva sul capo, gli occhi che le abbruciavano, una vampa nel cuore che la mordeva, che le saliva alla testa, che l'accecava, che la faceva delirare: - Vederlo! a qualunque costo!... Domani non lo vedrò più!... più!... più!... - Non sentiva le spine; non sentiva i sassi del sentiero fuori mano che aveva preso per arrivare di nascosto sino a lui. Ansante, premendosi il petto colle mani, trasalendo a ogni passo, spiando il cammino con l'occhio ansioso. Un uccelletto spaventato fuggì con uno strido acuto. La spianata era deserta, in un'ombra cupa. C'era un muricciuolo coperto d'edera triste, una piccola vasca abbandonata nella quale imputridivano delle piante acquatiche, e dei quadrati d'ortaggi polverosi al di là del muro, tagliati dai viali abbandonati che affogavano nel bosco irto di seccumi gialli. Da per tutto quel senso di abbandono, di desolazione, nella catasta di legna che marciva in un angolo, nelle foglie fradicie ammucchiate sotto i noci, nell'acqua della sorgente la quale sembrava gemere stillando dai grappoli di capelvenere che tappezzavano la grotta, come tante lagrime. Soltanto fra le erbacce del sentiero pel quale lui doveva venire, dei fiori umili di cardo che luccicavano al sole, delle bacche verdi che si piegavano ondeggiando mollemente, e dicevano: Vieni! vieni! vieni! Attraversò guardinga il viale che scendeva alla casina, col cuore che le balzava alla gola, le batteva nelle tempie, le toglieva il respiro. C'erano lì, fra le foglie secche, accanto al muricciuolo dove lui s'era messo a sedere tante volte, dei brani di carta abbruciacchiati, umidicci, che s'agitavano ancora quasi fossero cose vive; dei fiammiferi spenti, delle foglie d'edera strappate, dei virgulti fatti in pezzettini minuti dalle mani febbrili di lui, nelle lunghe ore d'attesa, nel lavorìo macchinale delle fantasticherie. S'udiva il martellare di una scure in lontananza; poi una canzone malinconica che si perdeva lassù, nella viottola. Che agonìa lunga! Il sole abbandonava lentamente il sentiero; moriva pallido sulla rupe brulla di cui le forre sembravano più tristi, ed ella aspettava ancora, aspettava sempre.
- Signor don Gesualdo... Venite qua, se permettete... Ho da parlarvi. - Nanni l'Orbo, continuando a chiamarlo, dall'aia, affettava di non poter mettere il piede nel cortile, coll'aria misteriosa, finchè il padrone andò a sentire quel che diavolo volesse, dandogli una buona strapazzata, per cominciare:
- T'ho detto tante volte di non lasciarti vedere da queste parti! Che diavolo!... Se lo fai apposta...
- Nossignore. Appunto, vi ho chiamato qui fuori. Dobbiamo parlare da solo a solo, per quel che ho da dirvi... Qui nel giardino. Siamo aspettati.
C'erano infatti Nunzio e Gesualdo di Diodata, vestiti da festa, colle mani in tasca, e un fazzolettino nero al collo. Compare Nanni lo fece notare al padrone. - Il sangue è sangue. Avete da ridirci? Tutti e due... hanno voluto portare il lutto alla buon'anima di vostro padre... per rispetto, senza secondi fini... Soltanto, vossignoria potete aiutarli senza mettere mano alla tasca... Ecco, loro vorrebbero a mezzadria quel pezzo di terra ch'è sotto la fontana. Sono due bravi ragazzi, laboriosi. Vi somigliano, don Gesualdo... Se date loro qualche agevolazione, pensate infine che non lo fate per degli estranei!...
Don Gesualdo tentennava, insospettito da una parte d'esser preso così alla sprovvista, e cedendo nel tempo istesso, suo malgrado, a quella certa voce interna che gli andava ripicchiando dentro tutti gli argomenti messi fuori da compare Nanni per persuaderlo. - Infine cosa domandavano?... del lavoro... Lui che poteva tanto!... Un affare di coscienza!... Avrebbe fatto un buon negozio anche... - A un certo punto l'Orbo propose di mandare a chiamare Diodata perché dicesse la sua. Don Gesualdo allora, per levarsi quella noia, per sgravio di coscienza, come diceva quell'altro fissando i due ragazzoni, che seguivano passo passo colle mani in tasca, senza aprir bocca, si lasciò scappare: - Be'... be', se si parla soltanto del pezzo di terra ch'è sotto la fontana... Se non fate come il riccio che poi allarga le spine...
- Sissignore! Che vuol dire! - saltò su compare Nanni pigliandolo subito in parola. - Quello solo! Mezza salma di terra in tutto. Possiamo andare a vedere. E' qui vicino. Vi metteremo i segnali sotto i vostri occhi, giacché siete qui, perchè non temiate che vi si rubi... Giusto!... ci abbiamo anche dei testimoni, vedete... La signorina, lassù, sotto il gran noce...
Don Gesualdo guardò dove diceva l'Orbo, e si sbiancò subito in viso. A un tratto, mutò cera e maniera, e congedò tutti bruscamente:
- Va bene, ne parleremo... C'è tempo. Non si piglia così la gente pel collo, santo e santissimo! Ho detto di sì; ora andatevene!
I due giovani sgattaiolarono mogi mogi a quella sfuriata, mentre Nanni si cacciava fra le macchie per godersi la scena da lontano. Don Gesualdo saliva già in fretta pel viale, come avesse vent'anni, sottosopra. Isabella se lo vide comparire dinanzi all'improvviso con una faccia che quasi la fece tramortire dallo spavento. Egli non le disse nulla. Se la prese per mano, come una bambina, e se la portò a casa. Lei si lasciava condurre, come una morta, col cuore morto, senza vedere, inciampando nei sassi. Solo di tanto in tanto si cacciava la mano nei capelli, quasi sentisse lì un gran smarrimento, un gran dolore.
Bianca al vederli arrivare a quel modo si mise a tremare come una foglia. Il marito le consegnò la figliuola con un'occhiata terribile, tentennando il capo. Ma non disse nulla. Si mise a passeggiare per la stanza, asciugandosi tratto tratto col fazzoletto il fiele che ci aveva in bocca. Poi aprì l'uscio di colpo e se ne andò.
Girava da per tutto come un bue infuriato, sbattendo gli usci, pigliandosela con chi gli capitava. Udivasi ovunque la sua voce che faceva tremare la casa:
- Nardo, dove sei stato sino ad ora? T'avevo detto di portarmi quelle forbici alla vigna? - Non sono rientrati ancora i puledri? Me li farà storpiare quell'animale di Brasi! Gli darò ora il fatto suo, appena torna! - Di', Santoro? avete terminato di mietere i sommacchi lassù?... Cosa diavolo avete fatto dunque tutta la giornata?... Appena manca un momento il padrone!... Assassini! nemici salariati!... - Martino! il lume accendi, Martino, per mungere le pecore! Mi verserai per terra tutto il latte, così al buio, bestia!... - Ancora non hanno acceso il lume lassù! Che fanno? Recitano il rosario?... Concetta! Concetta! Siamo ancora al buio! Cosa diavolo fate? Che casa, appena volto le spalle io!... Che succederà se io chiudo gli occhi?...
Dopo un po' di tempo tornò a bussare all'uscio delle donne, e siccome non aprivano subito lo sfondò con un calcio. Bianca allora si rivoltò inferocita, simile a una chioccia che difende i pulcini, con un viso che nessuno le aveva mai visto...
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