[Pagina precedente]...gante!... un imbroglione!... Non si fa nulla in paese che non voglia ficcarci il naso lui!... - Donna Marietta, più prudente, tirò il babbo per la falda un'altra volta.
- Scusate! scusate! - aggiunse lui. - Si chiacchiera per dire qualche cosa... per distrarre l'ammalata... Non si sa di che parlare... Sapete voi cosa vanno narrando pure i malintenzionati come Ciolla?... che fra otto giorni si farà la rivoluzione... per spaventare i galantuomini... Vi rammentate, nel ventuno, eh? don Gesualdo?
- Ah?... Che volete?... La rivoluzione adesso l'ho in casa!...
- Capisco, capisco... Ma infine, non mi pare...
La baronessa, che parlava al bisogno, si rivolse a don Gesualdo, con quella faccia di malaugurio, chiedendogli se alla duchessa avessero scritto di sua madre che era in quello stato... Bianca aveva l'orecchio fino degli ammalati gravi. - No! no! Non c'è premura! - interruppe Zacco. Intanto donna Lavinia si era alzata per andare a prendere un bicchier d'acqua. Come si udì suonare il campanello dell'uscio voleva anche correre a vedere chi fosse.
- Una spada a due mani! - esclamò sottovoce il barone, quasi facesse una confidenza, e sorridendo di compiacimento. - Una ragazza che in casa vale un tesoro... Giudiziosa!... Per sua cugina Bianca poi si butterebbe nel fuoco!... - La mamma sorrideva lei pure discretamente. In quella sopraggiunse la serva ad annunziare che c'era il barone Rubiera con la moglie.
- Lui? Ci vuole una bella faccia tosta!... - saltò su il barone cercando il cappello che teneva in testa. - Vedrete che viene a parlarvi di ciò che v'ho detto! Non ci avete un'altra uscita?... per non vederlo in faccia, quella bestia!...
La sua famiglia toglieva commiato in fretta e in furia al pari di lui, cercando gli scialli, rovesciando le seggiole, urtandosi fra di loro, quasi don Ninì stesse per irrompere a mano armata nella camera. La povera inferma, smarrita in quel parapiglia, si lasciò sfuggire con un filo di voce:
- Per l'amor di Dio... Non ne posso più!
- No... Non potete farne a meno, cugina mia!... Sono parenti anch'essi!... Vedrete che vengono apposta, onde approfittare dell'occasione... Finta di farvi una visita... Piuttosto ce ne andremo noi... E' giusto... Chi prima arriva al mulino...
Ma i Rubiera non spuntavano ancora. Don Gesualdo andò nell'anticamera, dove seppe dalla serva che aspettavano nel salotto, come avevano sentito che c'erano i Zacco...
- Meglio! - osservò il barone. - Vuol dire che desidera parlarvi a quattr'occhi, don Ninì!... Allora noi non ci moviamo. Restiamo a far compagnia alla cugina, intanto che voi fate gli affari vostri... Sentiremo poi cosa è venuto a dirvi quello sciocco!
La serva aveva portato un lumicino nel salotto, e in quella semioscurità don Ninì sembrava addirittura enorme, infagottato nel cappotto, con la sciarpa di lana sino alle orecchie una zazzera sulla nuca che non tagliava sino a maggio. Donna Giuseppina invece s'era aggobbita, aveva il viso floscio e grinzoso nel cappuccio rotondo, i capelli di un grigio sudicio mal pettinati, lisciati in fretta con le mani e fermati dal fazzoletto di seta che portava legato sotto il mento, le mani corrose e nere, delle mani di buona massaia con le quali gesticolava per difendere gli interessi del marito, agitandosi nel cappottino seminato di pillacchere, che la copriva tutta quanta, mostrando in tutta la persona l'incuria e la trascuraggine della signora ricca che non ha bisogno di parere, della moglie che ha cessato di far figliuoli e non deve neppure piacere al marito. E sulla bocca sdentata teneva fisso un sorriso di povera, il sorriso umile di chi viene a sollecitare un favore, mentre don Ninì cercava le parole, girando il cappellaccio fra le mani, con quella sciarpa sino al naso che gli dava un aspetto minaccioso. La moglie gli fece animo con un'occhiata, e cominciò lei:
- Abbiamo sentito che la cugina sta male... Siam corsi subito con Ninì... Infine siamo parenti... dello stesso sangue... Le questioni... gl'interessi... si sa, in tutte le famiglie... Ma ogni cosa deve mettersi da banda in certe occasioni... Anche Ninì... poveretto, non si dava pace... Diceva sempre... Infine vorrei sapere perché...
Don Ninì approvava coi gesti e con tutta la persona che aveva lasciato cadere sul canapè facendolo scricchiolare; e subito intavolò il discorso per cui erano venuti - sua moglie volle assolutamente che il cugino sedesse in mezzo, fra due fuochi. - Abbiamo quell'affare del nuovo appalto, caro don Gesualdo. Perché dobbiamo farci la guerra fra di noi, dico io? a vantaggio altrui?... giacchè infine siamo parenti!...
- Sicuro! - interruppe la moglie. - Siamo venuti per questo... Come sta la cugina?
- Come Dio vuole!... Come ci avessi il gastigo di Dio sulle spalle!... Non ho testa di pensare agli affari adesso...
- No, no, non voglio che ci pensiate... Appunto dicevo... dovreste rimettervene a una persona di fiducia... Salvo l'interesse, ben inteso...
Don Ninì a un tratto si fece scuro in viso, cacciandosi all'indietro appuntandogli in faccia gli occhi sospettosi:
- Ditemi un po' vi fidate voi di Zacco? Eh? vi fidate?
Don Gesualdo malgrado il malumore che aveva in corpo, mosse la bocca a riso, come a dire che non si fidava di nessuno.
- Bene! Se sapeste che roba è quell'uomo!... Ciò che diceva di voi, prima!... prima di essere pane e cacio con voi!... Che roba gli scappava di bocca!...
Donna Giuseppina, con le gote gonfie, stringeva le labbra, quasi per non lasciarselo scappare neppur lei.
- Infine, lasciamo andare! Chiacchiera non macina al mulino... E' parente anche lui!... Dunque torniamo a noi. Perché ci facciamo la guerra? Perché facciamo campare giudici ed avvocati alle nostre spalle? Cosa sono questi malumori fra parenti? Per quella miseria che vi devo? Sì, una miseria! Per voi è una presa di tabacco...
- Scusate, scusate, anche per voi...
Allora interloquì donna Giuseppina, contando miserie, una famiglia numerosa, sua suocera, la baronessa, finché viveva lei...
- Scusate... Non c'entra... E' che i denari servono, sapete... I miei denari li ho dati a vostro marito.
Don Ninì prese a scusarsi, dinanzi alla moglie. Certo... i denari se li era fatti prestare... in un momento che aveva persa la testa... Quando si è giovani... sarebbe meglio tagliarsela la testa, alle volte... Voleva pagare... col tempo... sino all'ultimo baiocco, senza liti, senza altre spese... appena chiudeva gli occhi sua madre... Ma era giusto inasprirgli contro la baronessa, santo Dio? Farle commettere qualche bestialità ?...
- Ah? - disse don Gesualdo. - Ah? - E guardò donna Giuseppina come per chiedere perché non pagasse lei.
Don Ninì imbarazzato guardava ora lui ed ora la moglie. Essa infine interloquì, troncandogli la parola con un segno del fazzoletto che aveva tirato fuori dalla borsa.
- Non è questo soltanto... L'affare delle terre... Non glie ne avete ancora parlato al cugino don Gesualdo?...
- Sì... l'affare delle terre comunali...
- Lo so, - rispose don Gesualdo. - L'affitto scade in agosto. Chi vorrà dire all'asta, poi...
- No! no!... né voi né io ce le mangeremo.
- Legge nuova! - interruppe donna Giuseppina con un sorriso agro. - Le terre non si dà nno più in affitto! Il comune le dà a censo... ai più poveri... Un bocconcino per ciascuno... Saremo tutti possidenti nel paese, da qui a un po'!... Non lo sapete?
Don Gesualdo drizzò le orecchie, mettendo da parte un momento i suoi guai. Indi abbozzò un sorriso svogliato.
- Come è vero Dio! - soggiunse il barone Rubiera. - Ho visto il progetto, sì, al palazzo di città ! Dicono che il comune ci guadagna, e ciascuno avrà il suo pezzo di terra.
Allora don Gesualdo cavò fuori la tabacchiera, fiutando un agguato.
- Cioè? cioè?
- Don Gesualdo! - chiamò la serva dall'uscio. - Un momento, vossignoria...
- Fate, fate pure il comodo vostro! - disse donna Giuseppina. - Non abbiamo premura. Aspetteremo.
- La padrona! Vuol parlare con vossignoria!
- Eh? Che vogliono? Che dicono? - L'assalirono subito i Zacco appena don Gesualdo entrò nella stanza dell'inferma. - Son io che ho mandato a chiamarvi, - disse il barone col sorriso furbo.
Ma lui non rispose, chino sulla moglie, la quale s'aiutava cogli occhi e con quella povera mano pallida e scarna che diceva per lei:
"No!... Non vi mettete con colui... se volete darmi retta una volta sola... Non vi mettete insieme con mio cugino Rubiera, voi!... Guardate che vi parlo in punto di morte!..."
Aveva la voce afonica, gli occhi che penetravano, così lucenti e fissi. Zacco che si era chinato anche lui sul letto per udire, esclamò trionfante:
- Benedetta! parla come una che vede al di là ! Non fareste nulla di buono con quell'uomo! Una bestia! Una banderuola! Ciò che vi dice vostra moglie in un momento come questo è vangelo, don Gesualdo! Ricordatevi bene! Io mi farei scrupolo a non darle retta, in parola d'onore!...
- E donna Giuseppina? Finta, maligna!... - aggiunse la Zacco. - Ha abbreviato i giorni della suocera! Non vede l'ora di levarsela dagli occhi!
- Andate, andate a sentire il resto. Qui ci siamo noi. Andateci pure, se no vi restano lì fino a domani!
Don Ninì stava ancora seduto sul canapè, sbuffando dal caldo nella sciarpa di lana, col cappello in testa; e donna Giuseppina si era alzata per osservare al buio le galanterie disposte in bell'ordine sui mobili: il servizio da caffè, i fiori di carta sotto le campane di cristallo, l'orologio che segnava sempre la stessa ora. Vedendo don Gesualdo di ritorno gli disse subito:
- Vi ha fatto chiamare il barone Zacco? Non c'era motivo... Qui non si fanno misteri...
- Non si fanno misteri! - ripigliò il marito. - Si tratta di metterci d'accordo... tutti i bene intenzionati... Se è bene intenzionato anche lui... quel signore!...
- Ma, - osservò don Gesualdo. - se la cosa è come dite, io non saprei che farci... Cosa volete da me?
Donna Giuseppina si era perfino trasformata in volto, appuntando in faccia a questo e a quello gli occhi come due spilli, masticando un sorriso con la bocca nera. Cacciò indietro del tutto il marito, e si prese tutto per sé il cugino Motta.
- Sì, il rimedio c'è!... c'è! - E stette un po' a guardarlo fisso per fare più colpo. Poscia, tenendo stretta la borsa fra le mani gli si accostò con una mossa dei fianchi, in confidenza:
- Si tratta di far prendere le terre a gente nostra... sottomano... - disse il barone.
- No! no!... Lasciate che gli spieghi io... Le terre del comune devono darsi a censo, eh? a pezzi e a bocconi perché ogni villano abbia la sua parte? Va bene! Lasciamoli fare. Anzi, mettiamo avanti, sottomano, degli altri pretendenti... dei maestri di bottega, della gente che non sa cosa farsene della terra e non ne caverà neppure i denari del censo. Ci hanno tutti lo stesso diritto, non è vero? Allora, con un po' di giudizio, anticipando a questo e a quello una piccola somma... Loro falliscono in capo all'anno, e noi ci pigliamo la terra in compenso del credito. Avete capito? Bisogna evitare per quanto si può che ci mettano mano i villani. Quelli non se lo lasciano scappare mai più il loro pezzetto di terra. Ci lasciano le ossa piuttosto!
Don Gesualdo si alzò di botto, colle narici aperte, la faccia rianimata a un tratto, e si mise a passeggiare per la stanza. Poi, tornando in faccia ai due che s'erano alzati pure, sorpresi:
- Questa non viene da voi! - esclamò. - Questa è buona! Questa so di dove viene!
- Ah! ah! capite? vedete?... - rispose il barone trionfante. - Prima di tutto bisogna tappare la bocca a Nanni l'Orbo... Col giudizio... con un po' di denaro... senza far torto a nessuno, ben inteso!... La giustizia...
- Voi che ci avete mano... Quello è un imbroglione, un arruffapopolo... capace di aizzarci contro tutto il paese. Voi che ci avete mano dovreste chiudergli la bocca.
Don Gesualdo tornò a sedersi, pentito d'essersi lasciato trasportare dal primo movimento, grattandosi il capo.
Ma il barone Zacco, che stava di là coll'orecchio teso, non seppe più frenarsi.
- Scusate, scusate, signori miei! - disse entrando. - Se disturbo... se avete da parlare ...
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