[Pagina precedente]..., uscì correndo don Luca:
- Signor barone!... sta per morire vostro cugino don Diego!... solo come un cane!... Non c'è nessuno in casa!...
Rimpetto al palazzo nero e triste dei Trao splendeva il balcone lucente dei Margarone, e in quella luce disegnavasi l'ombra di donna Fifì, rammentandogli un'altra ombra che soleva aspettarlo altra volta alla finestra del palazzo smantellato. Don Ninì se ne andò frettoloso, a capo chino, portandosi seco negli occhi i ricordi di quella finestra chiusa e senza lume.
- Bella porcheria!... Me lo lasciano sulle spalle!... a me solo! - brontolò don Luca tornando nella camera del moribondo.
Don Ferdinando stava seduto a piè del letto, senza dir nulla, simile a una mummia. Di tanto in tanto andava a guardare in viso suo fratello; guardava poi don Luca, stralunato, e tornava a chinare il capo sul petto. Alla sfuriata del sagrestano però si rizzò all'improvviso, quasi gli avessero dato uno scossone, e domandò piano, con la voce assonnata di uno che parli in sogno:
- Dorme?
- Sì, dorme!... Andate a dormire voi pure, se volete!...
Ma l'altro non si mosse. Il malato da prima voleva sapere ogni momento che ora fosse; poi, verso mezzanotte, non domandò più nulla. Stava cheto, col naso contro il muro, e la coperta sino alle orecchie. Grazia, di ritorno, aveva accostato l'uscio, messo il lume accanto, sul tavolino, ed era andata a dare un'occhiata a casa sua. Il marito si accomodò alla meglio su due sedie. Don Ferdinando, di tratto in tratto, si alzava di nuovo, in punta di piedi, si chinava sul letto, simile a un uccello di malaugurio, e tornava a domandare piano, all'orecchio di don Luca:
- Che fa? dorme?
- Sì! sì!... Andate a dormire voi pure!... andate!
E l'accompagnò lui stesso in camera sua, per liberarsi almeno da quella noia. Don Ferdinando sognava che il cane nero dei vicini Motta gli si era accovacciato sul petto, e non voleva andarsene, per quanto egli cercasse di svincolarsi e di gridare. La coda del cane, lunga, lunga che non finiva più, gli si era attorcigliata al collo e alle braccia, al pari di un serpente, e lo stringeva, soffocandolo, gli strozzava la voce in gola, quando udì un'altra voce che lo fece balzare dal letto, con una gran palpitazione di cuore.
- Alzatevi, don Ferdinando! Questa non è ora di dormire!...
Don Diego pareva che russasse forte, si udiva dall'altra stanza; supino, cogli occhi aperti e spenti, le narici filigginose: un viso che non si riconosceva più. Come don Ferdinando lo chiamò prima pian piano, e tornò a chiamarlo e a scuoterlo inutilmente, gli si rizzarono quei pochi capelli in capo, e si rivolse al sagrestano, smarrito, supplichevole:
- Che fa ora?... che fa?...
- Che fa?... Lo vedete che fa!... Grazia! Grazia!
- No!... Fermatevi!... Non aprite adesso!...
Era giorno chiaro. Donna Bellonia in sottana stava a spiare dalla terrazza verso la Piazza Grande per incarico del marito, spaventata dal tramestìo che s'era udito tutta la notte nel paese; e Burgio strigliava la mula legata al portone dei Trao. Alle grida di don Luca, levò il capo verso il balcone, e domandò cosa c'era con un cenno del capo. Il sagrestano rispose anche lui con un gesto della mano, facendo segno di uno che se ne va.
- Chi? - domandò la Margarone che se ne accorse. - Chi? don Diego o don Ferdinando?
- Sissignora, don Diego! Lo lasciano sulle spalle a me solo!... Corro dal dottore... almeno per la ricetta del viatico, che diavolo!... Signori miei! deve andarsene così un cristiano, senza medico né speziale?...
Speranza cominciò dallo sgridare suo marito che aveva legata la mula alla casa del moribondo: - Porta disgrazia! Ci vorrebbe quest'altra!... - Poi si diedero a strologare i numeri del lotto insieme a donna Bellonia, ch'era corsa a prendere il libro di Rutilio Benincasa. Donna Giovannina s'affacciò asciugandosi il viso; ma non si vide altro che il sagrestano il quale correva a chiamare Tavuso, lì a due passi una porticina verde, colla fune del campanello legata alta perché non andassero a seccarlo di notte. Picchia e ripicchia infine la serva di Tavuso gli soffiò attraverso il buco della serratura:
- O chetatevi che il dottore non esce di casa, se casca il mondo! E' più malato degli altri, lui!
Bomma, giallo al par del zafferano, stava pestando cremor di tartaro in fondo alla farmacia, solo come un appestato. Don Luca entrò a precipizio, col fiato ai denti:
- Signor don Arcangelo!... don Diego Trao è in punto di morte. Il dottore non vuol venire... Cosa fo?
- Cosa fate?... La cassa da morto fategli, accidenti a voi! M'avete spaventato! Non è questa la maniera... oggi che ogni galantuomo sta coll'anima sulle labbra!... Andate a chiamargli il prete piuttosto... lì, al Collegio, c'è il canonico Lupi che s'arrabatta a dir messe e mattutino fin dall'alba, per farsi vedere in chiesa!... Cade sempre in piedi colui! Se ne ride degli sbirri!... Io fo lo speziale! Pesto cremor di tartaro, giacché non posso pestar altro... non posso!
Ma, vedendo passare Ciolla ammanettato come un ladro, si morse la lingua, e chinò il capo sul mortaio. - Signori miei! - sbraitava Ciolla, - guardate un po'!... un galantuomo che se ne sta in piazza pei fatti suoi!... - I Compagni d'Arme, senza dargli retta, lo cacciavano innanzi a spintoni; don Liccio Papa di scorta colla sciabola sguainata, gridando: - Largo! largo alla giustizia!... - Il Capitano Giustiziere, dall'alto del marciapiede del Caffè dei Nobili, sentenziò:
- Bisogna dare un esempio! Ci pigliavano a calci dove sapete, un altro po'!... manica di birbanti!... Un paese come il nostro, che prima era un convento di frati!... Al castello! al castello! Don Liccio, eccovi le chiavi!...
Grazie a Dio si tornava a respirare. I ben pensanti sul tardi cominciarono a farsi vedere di nuovo per le strade; l'arciprete dinanzi al caffè; Peperito su e giù pel Rosario; Canali a braccetto con don Filippo verso la casa della ceraiuola; don Giuseppe Barabba portando a spasso un'altra volta il cagnolino di donna Marianna Sganci; la signora Capitana poi in gala, quasi fosse la sua festa, adesso che ci erano tanti militari, colla borsa ricamata al braccio, il cappellino carico di piume, scutrettolando, ridendo, cinguettando, rimorchiandosi dietro don Bastiano Stangafame, il tenente, tutti i colleghi di suo marito, il quale se ne stava a guardare da vero babbèo, colla canna d'India dietro la schiena, mentre i suoi colleghi passeggiavano con sua moglie, spaccandosi come compassi, ridendo a voce alta, guardando fieramente le donne che osavano mostrarsi alle finestre, facendo risuonare da per tutto il rumore delle sciabole e il tintinnìo degli speroni, quasi ci avessero le campanelle alle calcagna. Le ragazze Margarone, stipate sul terrazzo, si rodevano d'invidia. - Specie il tenente ci aveva dei baffoni come code di cavallo, e due file di bottoni lungo il ventre che luccicavano da lontano.
Talché in quell'aria di festa suonò più malinconico il campanello del viatico. Correvano anche delle voci sinistre: - Una battaglia c'è stata!... dei condannati a morte!... - Uno di quelli che portavano il lanternone dietro il baldacchino disse che il viatico andava dai Trao. - Un'altra grande famiglia che si estingue! - osservò gravemente l'Avvocato Fiscale scoprendosi il capo. La signora Capitana, saltellando sulla punta delle scarpette per mostrare le calze di seta stava rimbeccando don Bastiano con un sorriso da far dannare l'anima:
- Lo so! lo so! giuramenti da marinaio!...
Il Capitan d'Arme ammiccò a donna Bianca la quale passava in quel momento, con un'aria che voleva dire: - Anche costei!... che colpa ci ho? - scappellandosi con soverchio ossequio. Ma quella poveretta non gli rispose. Andava quasi correndo, trafelata, col manto giù per le spalle, il viso ansioso e pallido. Donna Fifì Margarone si tirò indietro dal balcone con una smorfia, appena la vide sboccare nella piazzetta dalla salita di Sant'Agata.
- Ah!... finalmente!... la buona sorella!... quanta degnazione!...
- Bianca! Bianca! - gridava lo zio Limòli che non poteva tenerle dietro.
Dinanzi al portone, spalancato a due battenti, si affollavano i ragazzi di Burgio e di don Luca. La moglie del sagrestano ne usciva in quel momento, arruffata, gialla, senza ventre, e si mise a distribuire scappellotti a diritta e a manca:
- Via! via di qua!... Che aspettate? la festa? - Poscia entrò in chiesa frettolosa. Delle comari stavano alle finestre, curiose. In cima alla scala don Giuseppe Barabba spolverava delle bandiere nere, bucate e rose dai topi, collo stemma dei Trao: una macchia rossa tutta intignata. Era corsa subito la zia Macrì colla figliuola, e il barone Mèndola che stava lì vicino; una va e vieni per la casa, un odor d'incenso e di moccolaia, una confusione. In fondo, attraverso un uscio socchiuso, scorgevasi l'estremità di un lettuccio basso, e un formicolìo di ceri accesi, funebri, nel giorno chiaro. Bianca non vide altro, in mezzo a tutti quei parenti che le si affollavano intorno, sbarrandole il passo: - No!... lasciatemi entrare!
Apparve un momento la faccia stralunata di don Ferdinando, come un fantasma; poi l'uscio si chiuse. Delle braccia amiche la sorreggevano, affettuosamente, e la zia Macrì ripeteva: - Aspetta!... aspetta!...
Tornò la moglie del sagrestano, ansante, portando dei candelieri sotto il grembiule. Suo marito, che si affacciò di nuovo all'uscio, venne a dire:
- C'è il viatico... l'estrema unzione... Ma non sente...
- Voglio vederlo!... Lasciatemi andare!
- Bianca!... in questo momento!... Bianca!...
- Vuoi ammazzarlo?... Una commozione!... Se ti sente!... Non far così, via, Bianca!... Un bicchier d'acqua!... presto!...
Donna Agrippina corse in cucina. S'aprì l'uscio un'altra volta su di un luccichìo di processione. Il prete, il baldacchino, i lanternoni del viatico passarono come una visione. Il marchese, inchinandosi sino a terra, borbottò:
- Domine, salva me...
- Amen! - rispose il sagrestano. - Ho fatto quel che ho potuto... solo come un cane!... due volte dal medico!... di notte!... Anche dal farmacista!... dice che il conto è lungo... e non ci ha l'erba di Lazzaro risuscitato, poi!...
- Perché?... perchè non mi lasciate entrare?... Che ho fatto?... - Essa tremava così che i denti facevano tintinnare il bicchiere, quasi fuori di sè, fissando addosso alla gente gli occhi spaventati.
- Lasciatemi! lasciatemi entrare!
Lo zio marchese si affrettò a cavare il fazzoletto per asciugarle tutta l'acqua che si era versata addosso. Il barone Mèndola e la zia Macrì stavano discorrendo nel vano del finestrone: - Una malattia lunga!... Tutti così quei Trao!... non c'è che fare!...
- Guarda! - esclamò il barone che stava da un po' attento. - Hanno aperto un finestrino sul mio tetto... laggiù!... quel ladro di Canali!... Fortuna che me ne sia accorto! Lo citerò in giudizio!... una citazione nera come la pece!...
- Don Luca! don Luca! - si udì gridare. L'uscio si spalancò a un tratto, e comparve don Ferdinando agitando le braccia in aria. Don Luca corse a precipizio. Successe un momento di confusione: delle strida, delle voci concitate, un correre all'impazzata, donna Agrippina che cercava l'aceto dei sette ladri, gli altri che stentavano a trattenere Bianca, la quale faceva come una pazza, con la schiuma alla bocca, gli occhi che mandavano lampi, e non si riconoscevano più.
- Perchè?... perchè non volete? Lasciatemi! lasciatemi!... lasciatemi entrare!...
- Sì! sì! - disse lo zio marchese. - E' giusto che lo veda!... Lasciatela entrare.
Ella scorse un corpo lungo e stecchito nel lettuccio basso, un mento aguzzo, ispido di barba grigiastra, rivolto in su, e due occhi glauchi, spalancati.
- Diego!... Diego!... fratello mio!...
- Non fate a quel modo, donna Bianca! - disse piano don Luca. - Se ci sente ancora, il poveretto, figuratevi che spavento!...
Essa si arrestò tutta tremante, atterrita, colle mani nei capelli, guardandosi intorno trasognata. A un tratto fissò gli occhi asciutti ed arsi su don Ferdinando che annaspava stralunato, quasi volesse allontanarla dal letto.
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