[Pagina precedente]...anotte... Non ho sempre il vento in tasca per trebbiare a comodo mio!...
L'aia era vasta quanto una piazza. Dieci muli trottavano in giro, continuamente; e dietro i muli correvano Nanni l'Orbo e Brasi Camauro, affondando nella pula sino ai ginocchi, ansanti, vociando, cantando, urlando. Da un lato, in una nuvola bianca, una schiera di contadini armati di forche, colle camice svolazzanti, sembrava che vangassero nel grano; mentre lo zio Carmine, in cima alla bica, nero di sole, continuava a far piovere altri covoni dall'alto. Delle tregge arrivavano ogni momento dai seminati intorno, cariche d'altra messe; dei garzoni insaccavano il grano e lo portavano nel magazzino, dove non cessava mai la nenia di Pirtuso che cantava "e viva Maria!" ogni venti moggi. Tutt'intorno svolazzavano stormi di galline, un nugolo di piccioni per aria; degli asinelli macilenti abboccavano affamati nella paglia, coll'occhio spento; altre bestie da soma erano sparse qua e là; e dei barili di vino passavano di mano in mano, quasi a spegnere un incendio. Don Gesualdo sempre in moto, con un fascio di taglie in mano, segnando il frumento insaccato, facendo una croce per ogni barile di vino, contando le tregge che giungevano, sgridando Diodata, disputando col sensale, vociando agli uomini da lontano, sudando, senza voce, colla faccia accesa, la camicia aperta, un fazzoletto di cotone legato al collo, un cappellaccio di paglia in testa.
- Lo vedete, don Luca, se ho tempo da perdere adesso!... Vino qua! Date da bere a don Luca!... Sì, sì, verrò; ma quando potrò... Per ora non posso muovermi, cascasse il mondo!... Diodata!... bada che il vento spinge la fiamma verso l'aia, santo e santissimo!... No, don Luca! non sono in collera pel rifiuto dei suoi fratelli... Venite qua, accostatevi, ch'è inutile far sapere alla gente i fatti nostri!... Ciascuno la pensa a modo suo... Poi è lei che deve risolvere... Se lei dice di sì, io per me non mi tiro indietro... Ma oggi non posso venire... e neppure domani... Be'! dopodomani!... Dopodomani devo venire anche per l'affare della gabella, e ne discorreremo.
Don Luca suggerì pure di far precedere due paroline scritte: - Ci abbiamo appunto mia moglie che par fatta apposta per consegnarle sottomano a donna Bianca, senza destar sospetti. Una bella letterina, con due o tre parole che fanno colpo sulle ragazze! Capite, vossignoria? Ciolla ci ha la mano... Ne parlerei io stesso a Ciolla in segretezza, senza stare a rompervi il capo, vossignoria; e vi fa fare una bella figura. Con un bottiglione di vino poi ve lo chetate, il Ciolla.
Don Gesualdo non volle sapere di lettera: - Non per risparmiare il vino; ma che storie mi andate contando? Se a lei l'affare gli va, allora che bisogno c'è di tante chiacchiere.
- Basta! basta! - conchiuse don Luca. - Dicevo per piantare meglio il chiodo. Ma voi siete il padrone.
Don Luca se ne tornò tutto contento, con un agnello e una forma di cacio. Per prudenza mandò la moglie a fare l'imbasciata, sotto un pretesto: - Circa a quel discorso che siete intesi con mio marito, vossignoria, dice che il confessore verrà dopodomani a prendere la risposta!... Il confessore domenica aspetta la risposta!... - Don Ferdinando che aveva udito aprire il portone, comparve in quel momento come un fantasma.
- Il confessore!... - riprese a dire la gnà Grazia senza che nessuno le domandasse nulla. - Donna Bianca voleva confessarsi!... Oggi non può, il confessore... E domani neppure... Domenica piuttosto, se gli fate sapere che siete pronta...
La poveraccia, sotto quegli occhi stralunati di don Ferdinando, che pareva la frugassero tutta, sospettosi, inquieti, si confondeva, balbettava, cercava le parole. Poscia, vedendo che l'altro stava zitto e non si moveva, allampanato, tacque anch'essa, e si mise a guardare in aria, a bocca aperta, colle mani sul ventre. Bianca, a tagliar corto, la condusse nella dispensa, per darle una grembiata di fave. Don Ferdinando, sempre dietro, cucito alle loro calcagna, taciturno, guardando in ogni cantuccio, sospettoso. Si chinò anch'esso sul mucchietto di fave, covandolo colla persona, misurandolo ad occhio, palpandolo colle mani. E dopo che la sagrestana se ne fu andata, come un'anatra, reggendo il grembiule pieno sul ventre enorme, si mise a brontolare:
- Troppe!... Ne hai date troppe!... Stanno per terminare!...La zia non ne manda altre prima di Natale!...
La sorella voleva andarsene; ma lui seguitava a cercare, a frugare, a passare in rivista la roba della dispensa: due salsicciotti magri appesi a un gran cerchio; una forma di cacio bucata dai topi; delle pere infracidite su di un'asse; un orciolino d'olio appeso dentro un recipiente che ne avrebbe contenuto venti cafisi; un sacco di farina in fondo a una cassapanca grande quanto un granaio; il cestone di vimini che aspettava ancora il grano della Rubiera.
Infine riprese:
- Ci vuol l'aiuto di Dio!... Siamo tre bocche da sfamare, in casa!... Ti par poco? Ci vorrebbe anche un po' di brodo per Diego... Non mi piace da qualche tempo!... Hai visto la faccia che ha? Lo stesso viso della buon'anima, ti rammenti?... quando si mise a letto per non alzarsi più! E il medico non viene neppure, perchè ha paura di non esser pagato... dopo tanti denari che s'è mangiati nell'ultima malattia della buon'anima!... La zia Rubiera s'è dimenticata che siamo al mondo... ed anche la zia Sganci...
Così brontolando andava passo passo dietro alla sorella, chinandosi a raccattar per terra le fave cadute dal grembiule di Grazia. Poscia, come svegliandosi da un sogno, domandò:
- Tu perché non vai più dalla zia Rubiera? Avrebbe mandato un paio di piccioni, sapendo che Diego non sta bene... per fargli un po' di brodo...
Bianca divenne di brace in viso, e chinò gli occhi. Don Ferdinando aspettò un momento la risposta a bocca aperta, battendo le palpebre. Indi tornò nella dispensa a riporre le fave che aveva raccolte da terra. Poco dopo essa se lo vide comparire dinanzi un'altra volta, con quell'aria sbalordita.
- Se torna la sagrestana non gli dar nulla, un'altra volta! Sanguisughe sono! Le fave stanno per terminare, hai visto?... E un'altra cosa... Dovresti andare dalla zia Sganci per un po' d'olio... in prestito... Diglielo bene che lo vuoi in prestito, perché noi non siamo nati per chiedere la limosina... giacché la zia non ci ha pensato... Fra poco saremo al buio... anche Diego che è malato... tutta la notte!...
E spalancava gli occhi, accennando ancora colle mani e col capo, con un terrore vago sul viso attonito. Da lontano si udiva di tanto in tanto la tosse che si mangiava don Diego, attraverso agli usci, lungo il corridoio, implacabile e dolorosa, per tutta la casa... Bianca sussultava ogni volta, col cuore che le scoppiava, chinandosi ad ascoltare, o fuggiva come spaventata, tappandosi le orecchie.
- Non ci reggo, no! Non ci reggo!...
Infine Dio le diede la forza di ricomparire dinanzi a lui, quel giorno in cui don Ferdinando le aveva detto che il fratello stava peggio, nella cameretta sudicia, sdraiato su quel lettuccio che sembrava un canile. Don Diego non stava né peggio né meglio. Era lì, aspettando quel che Dio mandava, come tutti i Trao, senza lagnarsi, senza cercare di fuggire il suo destino, badando solo di non incomodare gli altri, e tenersi per sé i suoi guai e le sue miserie. Volse il capo, vedendo entrare la sorella, quasi un'ombra gli calasse sul viso incartapecorito. Poscia le accennò colla mano di accostarsi al letto. - Sto meglio... sto meglio... povera Bianca!... Tu come stai?... Perché non ti sei fatta vedere?... perché?...
Le accarezzava il capo con quella mano scarna e sudicia di malato povero. Gli era rimasto sulle guance incavate e sparse di peli grigi un calore di fiamma.
- Povera Bianca!... son sempre tuo fratello, sai!... il tuo fratello che ti vuol tanto bene... povera Bianca!...
- Don Ferdinando mi ha detto... - balbettò essa timidamente. - Volete un po' di brodo?...
Il malato da prima fece segno di no, guardando in aria, supino. Poi volse il capo, fissandola cogli occhi avidi dal fondo delle orbite che sembravano vuote, filigginose. - Il brodo, dicevi? C'è un po' di carne?...
- Manderò dalla zia... dalla zia Sganci!... - s'affrettò ad aggiungere Bianca, con una vampa improvvisa sulle guance. Sul volto del fratello era passata un'altra fiamma simile.
- No! no!... non ne voglio.
Neppure il medico voleva: - No, no! Cosa mi fa il medico?... Tutte imposture!... per spillarci dei denari... Il vero medico è lassù!... Quel che vorrà Dio... Del resto mi sento meglio...
Parve migliorare realmente, di lì a qualche giorno: del buon brodo, un po' di vino vecchio che mandava la zia Sganci, l'aiutarono ad alzarsi da letto, ancora sconquassato, col fiato ai denti. Venne pure donna Marianna in persona a fargli visita, premurosa, con un rimprovero amorevole sulla faccia buona: - Come? Siete in quello stato ed io non ne so nulla? Siamo in mezzo ai turchi? Siamo parenti, sì o no? Sempre misteri! Sempre ombrosi e selvatici, tutti voialtri Trao!... rincantucciati come gli orsi in questa tana! Un bel mattino vi troveranno belli e morti all'improvviso che sarà una vergogna per tutto il parentado!... Neppure di quel negozio del matrimonio non me ne avete detto nulla!...
E sfilò quest'altro rosario: Erano pazzi, o cos'erano, a rifiutare una domanda simile a quella?... Uno sulla strada di farsi riccone come don Gesualdo Motta!... - Don Gesualdo! sissignori! I pazzi lasciateli stare!... Vedete bene in quale stato vi hanno ridotto!... Un cognato che potrebbe aiutarvi in tutti i modi... che vi toglierebbe da tante angustie!... Ah!... ah!...
Donna Marianna guardava intorno per la stanzaccia squallida, crollando il capo. Gli altri non fiatavano: Bianca a capo chino; don Ferdinando aspettando che parlasse suo fratello, cogli occhi di barbagianni fissi su di lui.
Don Diego da principio rimase attonito, brontolando:
- Mastro-don Gesualdo!... Siamo arrivati fin lì!... Mastro-don Gesualdo che vuol sposare una Trao!...
- Sicuro! Chi volete che la sposi?... senza dote? Non è più una bambina neppure lei!... E' un tradimento bell'e buono!... Cosa farà, quando chiuderete gli occhi voi e vostro fratello?... la serva, eh? La serva della zia Rubiera o di qualchedun altro?...
Don Diego si alzò da letto come si trovava, in camiciuola di flanella, col fazzoletto in testa, le gambe stecchite che gli tremavano a verga dentro le mutande logore: un ecceomo! Andava errando per la stanza, stralunato, facendo gesti e discorsi incoerenti, tossendo, tirando il fiato a stento, soffiandosi il naso, quasi suonasse una tromba.
- Mastro-don Gesualdo!... Saremmo arrivati a questo, che una Trao sposerebbe mastro-don Gesualdo! Tu acconsentiresti, Bianca?... di'!... Tu diresti di sì?...
Bianca pallidissima, senza levare gli occhi da terra, disse di sì col capo, lentamente.
Egli agitò in aria le braccia tremanti, e non seppe più trovare una sola parola. Don Ferdinando non fiatava neppur lui, atterrito che Don Diego non riuscisse a persuader Bianca.
- Cosa volete che dica? - esclamò la zia. - Vi pare un bell'avvenire quello d'invecchiare come voialtri... fra tante angustie?... Scusatemi, ne parlo perché siamo parenti... Fo quel che posso anch'io per aiutarvi... ma non è una bella cosa infine neanche per voialtri... Ed ora che vi si offre la fortuna, risponderle con un calcio... Scusatemi, io la direi una porcheria!
Tutt'a un tratto don Diego si mise a ridere, quasi colpito da un'ispirazione, ammiccando dell'occhio, fregandosi le mani, con dei cenni del capo che volevano dire assai.
- Va bene! va bene!... Non è che questo?... perché ora come ora siamo un po' angustiati?... Ti pesa, di'?... ti pesa questa vita angustiata, povera Bianca?... Hai paura per l'avvenire?...
Si fregò il mento peloso colla mano ischeletrita, seguitando ad ammiccare, cercando di rendere furbo il sorriso pallido.
- Vieni qua... Non ti dico altro!... Anche voi, zia!... Venite a vedere!...
S'arrampicò tutto tremante su di una seggiola per aprire un armadietto ch'era nel ...
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