[Pagina precedente]... Nardo dal suo cantuccio. - Finché c'è la salute, il resto è niente!...
Gesualdo gli lanciò addosso un'occhiata furibonda.
- Parla bene, lui... che non ha nulla da perdere!...
- No, no, vossignoria!... Non dite così, che il Signore vi gastiga!...
Mastro Nunzio, appoggiato allo stipite dell'uscio, stava masticando da un po' la sua idea, fra le gengive sdentate. Infine la buttò fuori, rivolgendosi verso il figliuolo all'improvviso:
- E sai cos'ho da dirti? Che non ne voglio più sapere di questo ponte della disgrazia! Piuttosto faremo un mulino, coi materiali che riusciremo a mettere in salvo... Un affare sicuro quello...
- Un'altra adesso! - saltò su Gesualdo. - Siete ammattito davvero? E la cauzione? Volete che ci perda anche quella? Se lasciassi fare a voi!... Quando presi a fabbricare dei mulini, mi toccava sentire che era la rovina... Ora che vi siete persuaso, non vorreste far altro... come se tutto il paese dovesse macinarsi le ossa notte e giorno, e le mie prima degli altri!... santo e santissimo!
La lite s'accese un'altra volta. Mastro Nunzio che strillava e si lagnava di non esser rispettato. - Vedete se sono un fantoccio?... un pulcinella?... il capo della casa... signori miei!... guardate un po'!... - Gesualdo per finirla saltò di nuovo sulla mula, verde dalla bile, e se ne andò mentre l'acqua veniva ancora giù dal cielo come Dio la mandava, col capo nelle spalle, bagnato sino alle ossa, il cuore dentro più nero del cielo nuvolo che aveva dinanzi agli occhi; il paese grigio e triste nella pioggia anch'esso, lassù in cima al monte, col suono del mezzogiorno che passava a ondate, trasportato dal vento, e si sperdeva in lontananza.
Quanti lo incontravano, conoscendo la disgrazia che gli era capitata, dimenticavano di salutarlo e tiravano via. Egli guardava bieco e borbottava di tanto in tanto fra di sé:
- Sono ancora in piedi! Mi chiamo mastro-don Gesualdo!... Finché sono in piedi so aiutarmi!
Un solo, un povero diavolo, che andava per la stessa strada, gli offrì di prenderlo sotto l'ombrello. Egli rispose:
- Ci vuol altro che l'ombrello, amico mio! Non temete, che non ho paura d'acqua e di grandine, io!
Arrivò al paese dopo mezzogiorno. Il canonico Lupi s'era coricato allora allora, subito dopo pranzo. - Vengo, vengo, don Gesualdo! - gli gridò dalla finestra, sentendosi chiamare.
Qualcheduno che andava ancora pei fatti suoi, a quell'ora, vedendolo così fradicio, piovendo acqua come un ombrello, gli disse:
- Eh, don Gesualdo?... che disgrazia!...
Lui duro come un sasso, col sorriso amaro sulle labbra sottili e pallide, rispondeva:
- Eh, cose che accadono. Chi va all'acqua si bagna, e chi va a cavallo cade. Ma sinché non v'è uomini morti, a tutto si rimedia.
I più tiravano di lungo, voltandosi per curiosità dopo ch'erano passati. Il canonico comparve infine sul portoncino, abbottonandosi la sottana.
- Eh? eh? don Gesualdo? Eccovi qua... eccovi qua!...
Don Gesualdo s'era fatta una faccia allegra per quanto poteva, colla febbre maligna che ci aveva nello stomaco.
- Sissignore, eccomi qua! - rispose con un sorriso che cercò di fare allargare per tutta la faccia scura. - Eccomi qua, come volete voi... ai vostri comandi... Però, dite la verità , voi parlate col diavolo, eh?
Il canonico finse di non capire: - Perché? pel ponte? No, in fede mia! Mi dispiace anzi!...
- No, no, non dico pel ponte!... Ma andiamo di sopra, vossignoria. Non son discorsi da farsi qui, in istrada...
C'era il letto ancora disfatto nella camera del canonico; tutt'in giro alle pareti un bel numero di gabbioline, dove il canonico, gran cacciatore al paretaio, teneva i suoi uccelli di richiamo; un enorme crocifisso nero di faccia all'uscio, e sotto la cassa della confraternita, come una bara da morto, nella quale erano i pegni dei denari dati a prestito; delle immagini di santi qua e là , appiccicate colle ostie, insudiciate dagli uccelli, e un puzzo da morire, fra tutte quelle bestie.
Don Gesualdo cominciò subito a sfogarsi narrando i suoi guai: il padre che si ostinava a fare di testa sua, per mostrare ch'era sempre lui il capo, dopo aver dato fondo al patrimonio... Gli era toccato ricomprargliela due volte la fornace del gesso! E continuava a metterlo in quegli impicci!... E se lui diceva ahi! quando era costretto a farsi aprire la vena e a lasciarsi cavar dell'altro sangue per pagare, allora il padre gridava che gli si mancava di rispetto. La sorella ed il cognato che lo pelavano dall'altra parte. Una bestia, quel cognato Burgio! bestia e presuntuoso! E chi pagava era sempre lui, Gesualdo!... Suo fratello Santo che mangiava e beveva alle sue spalle, senza far nulla, da mattina a sera: - Col mio denaro, capite, vossignoria? col sangue mio! So io quel che mi costa! Quando ho lasciato mio padre nella fornace del gesso in rovina, che non si sapeva come dar da mangiare a quei quattro asini del carico, colla sola camicia indosso sono andato via... e un paio di pantaloni che non tenevano più, per la decenza... senza scarpe ai piedi, sissignore. La prima cazzuola per incominciare a fare il muratore dovette prestarmela mio zio il Mascalise... E mio padre che strepitava perché lasciavo il mestiere in cui ero nato... E poi, quando presi il primo lavoro a cottimo... gridava ch'era un precipizio! Ne ho avuto del coraggio, signor canonico! Lo so io quel che mi costa! Tutto frutto dei miei sudori, quello che ho... E quando lo vedo a buttarmelo via, chi da una parte e chi dall'altra!... che volete, vossignoria! il sangue si ribella!... Ho taciuto sinora per aver la quiete in famiglia... per mangiare in santa pace un boccone di pane, quando torno a casa stanco... Ma ora non ne posso più! Anche l'asino quando è stanco si corica in mezzo alla via e non va più avanti... Voi non sapete che gastigo di Dio è Speranza, mia sorella!... Voglio finirla!... Ciascuno per casa sua. Dico bene, canonico mio?
Il canonico intanto governava i suoi uccelli di richiamo. - Se non mi date retta, vossignoria, è inutile che parli!
- Sì, sì, vi ascolto. Che diavolo! non ci vuole poi un sant'Agostino a capire quel che volete!... In conclusione si tratta di salvare la cauzione, non è così? di avere qualche aiuto dal comune?
- Sissignore... la cauzione...
Poi Gesualdo gli piantò addosso gli occhi grigi e penetranti, e riprese:
- E un'altra cosa anche... Vi dicevo che voglio far casa da me... per conto mio... se trovo la moglie che mi conviene... Ma se non mi date retta, vossignoria... allora è inutile... O se fingete di non capire... Vi ricordate?... quel discorso che mi faceste la sera della festa del santo Patrono?... Ma se fate le viste di non capire, perchè sono venuto qui da voi... quando vi ho detto per prima cosa... Vi ho detto: "Eccomi qua, come volete voi..."
- Ah!... ah!... - rispose il canonico alzando il capo come un asino che strappi la cavezza. Poi lasciò stare il nicchio che andava spolverando attentamente, e gli fissò addosso anche lui i suoi occhi da uomo che non si lascia mettere nel sacco.
- Sentite, don Gesualdo... questo non è discorso che venite a farmi adesso, a questa maniera! Allora vuol dire che non conoscete chi vi è amico e chi vi è nemico, benedetto Dio! Ho piacere che abbiate toccato con mano se il consiglio che vi ho dato allora era tutt'oro! Una giovane ch'è una perla, avvezza ad ogni guaio, che l'avreste tutta ai vostri comandi, e di famiglia primaria anche!... la quale vi farebbe imparentare con tutti i pezzi grossi del paese!... Lo vedete adesso di che aiuto vi sarebbe? Avreste dalla vostra i giurati e tutti quanti. Anche per l'altra faccenda della gabella, poi, se volete entrarci insieme a noi...
- Sissignore - rispose Gesualdo vagamente. - Tante cose si potrebbero fare... Si potrebbe parlarne...
- Si dovrebbe parlarne chiaro, amico mio. Mi prendete per un ragazzo? Una mano lava l'altra. Aiutami che t'aiuto, dice pure lo Spirito Santo. Voi, caro don Gesualdo, avete il difetto di credere che tutti gli altri sien più minchioni di voi. Prima fate lo gnorri, non ci sentite da quell'orecchio, e poi, al bisogno, quando vi casca la casa addosso, mi venite dinanzi con quella faccia.
- Sarà il caldo... saranno tutti quegli uccelli... - balbettò l'altro un po' scombussolato. - Vorrei vedervi nei miei panni, signor canonico! - esclamò infine.
- Nei vostri panni... sicuro... mi ci metto! Voglio farvi vedere e toccar con mano chi vi vuol bene o no! Eccomi con voi. Pensiamo a quest'affare del ponte prima... a salvare la cauzione... con un sussidio del comune. Andremo adesso dal capitano... e dai giurati che non ci sarebbero contrari... Peccato che il barone Zacco abbia già dei sospetti per l'affare della gabella!... Lasciatemi pensare...
Mentre terminava di legarsi il mantello al collo andava raccogliendo le idee, colle sopracciglia aggrottate, guardando in terra di qua e di là .
- Ecco! Io vo prima dalla signora Sganci... no! no! non le dico nulla per adesso! qualche parola così in aria... in via accademica... Mi basta che donna Marianna scriva due righe al capitano. Quanto alla baronessa Rubiera posso dormire fra due guanciali... è come se fosse la vostra stessa persona, se mi promettete... Ma badiamo, veh!...
E il canonico sgranò gli occhi. Don Gesualdo stese la mano verso il crocifisso.
- No, dico per l'altro affare, quello della gabella. Non vorrei che giuocassimo a scarica barile fra di noi, caro don Gesualdo!
Costui voleva allungare la mano di nuovo; ma il canonico aveva già infilato l'uscio. - Voi m'aspetterete giù, nel portone. Un momento, vado e torno.
Tornò fregandosi le mani: - Ve l'avevo detto. Non ci vede dagli occhi donna Marianna per quella nipote! Farete un affarone!
Appena fuori si imbatterono nel notaro Neri, che andava ad aprire lo studio, e fece il viso di condoglianza a don Gesualdo. - Brutto affare, eh? Mi dispiace! - Sotto si vedeva che gongolava. Il canonico, a tagliar corto, rispose lui: - Cosa da nulla... Il diavolo poi non è così brutto... Rimedieremo... Abbiamo salvato i materiali... - Dopo, quando furono lontani, e il notaio con la chiave nella toppa li guardava ancora ridendo, il canonico gli soffiò nell'orecchio, a mastro-don Gesualdo:
- E' che avete una certa faccia, caro mio!...
- Io?
- Sì. Non ve ne accorgete, ma l'avete! Se fate quella faccia, tutti vi metteranno i piedi sopra per camminarvi!... Con quella faccia non si va a chiedere un favore... Aspettatemi qui; salgo un momento dal cavalier Peperito. E' una bestia; ma l'hanno fatto giurato.
Appena il canonico se ne fu andato su per la scala rotta e scalcinata, arrivò il cavaliere dal poderetto, montato su di un asinello macilento, con una bisaccia piena di fave dietro. Don Gesualdo per ingraziarselo lo aiutò a scaricar le fave, e a legar l'asino alla mangiatoia, sotto l'arco della scaletta; ma il cavaliere parve un po' seccato d'esser stato sorpreso in quell'arnese, tutto infangato, e col vestito lacero da campagna.
- Non ne facciamo nulla, - disse il canonico ritornando poco dopo. - E' una bestia! Crede di fare il cavaliere sul serio... Deve avercela con voi... Bisogna trovare la persona. Ciolla? ohi? Ciolla? A voi dico, Ciolla! Sapete s'è in casa don Filippo? L'avete visto uscire?
Ciolla ammiccò coll'unico occhio, torcendo ancora la bocca di paralitico.
- No, Canali è ancora lì, da Bomma, che l'aspetta per condurlo dalla cognata, la ceraiuola, sapete bene? E' la loro passeggiata, dopopranzo... a trastullarsi con lei, dietro lo scaffale... Che c'è di nuovo, don Gesualdo? Andate a benedire il ponte, insieme al canonico?
Don Gesualdo si sfogò infine con lui, appuntandogli contro le corna, con tutt'e due le mani.
- Vi stava sulla pancia quel ponte!... Come aveste dovuto spendere di tasca vostra!...
Il canonico lo tirò per un braccio:
- Andiamo, andiamo! Volete chiudere la bocca a tutti gli sfaccendati?
Nel salire per la stradicciuola dei Margarone incontrarono il marchese Limòli, che andava a fare la sua passeggiatina solita della sera, dal Rosario a Santa Maria di Gesù, sempre solo e con l'ombrello rosso sotto il braccio. Il canonico,...
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