[Pagina precedente]...fareste!
Don Gesualdo non diceva né sì né no, prudente, da uomo avvezzo a muovere sette volte la lingua in bocca prima di lasciarsi scappare una minchioneria. Ci pensava su, badava alle conseguenze, badava alla sua figliuola, anche russando, con un occhio aperto. Non voleva che la ragazza così giovane, così inesperta, senza sapere ancora cosa volesse dire esser povero o ricco, s'avesse a scaldare il capo per tutte quelle frascherie. Lui era ignorante, uno che non sapeva nulla, ma capiva che quelle belle cose erano trappole per acchiappare i gonzi. Gli stessi arnesi di cui si servono coloro che sanno di lettere per legarvi le mani o tirarvi fuori dei cavilli in un negozio. Aveva voluto che la sua figliuola imparasse tutto ciò che insegnavano a scuola, perché era ricca, e un giorno o l'altro avrebbe fatto un matrimonio vantaggioso. Ma appunto perch'era ricca tanta gente ci avrebbe fatti su dei disegni. Insomma a lui non piacevano quei discorsi della zia e il fare del nipote che le teneva il sacco con quell'aria ritrosa di chi si fa pregare per mettersi a tavola, di chi vuol vender cara la sua mercanzia. E le occhiate lunghe della cuginetta, i silenzi ostinati, quel mento inchiodato sul petto, quella smania di cacciarsi coi suoi libri in certi posti solitari, per far la letterata anche lei, una ragazza che avrebbe dovuto pensare a ridere e a divertirsi piuttosto...
Finora erano ragazzate; sciocchezze da riderci sopra, o prenderli a scappellotti tutt'e due, la signorina che mettevasi alla finestra per veder volare le mosche, e il ragazzo che stava a strologare da lontano, di cui vedevasi il cappello di paglia al disopra del muricciuolo o della siepe, ronzando intorno alla casina, nascondendosi fra le piante. - Don Gesualdo aveva dei buoni occhi. Non poteva indovinare tutte le stramberie che fermentavano in quelle teste matte, - i baci mandati all'aria, e il sole e le nuvole che pigliavano parte al duetto - a un miglio di distanza, - ma sapeva leggere nelle pedate fresche, nelle rose canine che trovava sfogliate sul sentiero, nell'aria ingenua di Isabella che scendeva a cercare le forbici o il ditale quando per combinazione c'era in sala il cugino, nella furberia di lui che fingeva di non guardarla, come chi passa e ripassa in una fiera dinanzi alla giovenca che vuol comprare senza darle neppure un'occhiata. Vedeva anche nella faccia ladra di Nanni l'Orbo, nel fare sospettoso di lui, nell'aria sciocca che pigliava, quando rizzavasi fra i sommacchi, mettendosi la mano sugli occhi, per guardar laggiù, nel viale, o si cacciava carponi fra i fichi d'India, o veniva a portargli dei pezzi di carta che aveva trovato vicino alla fontana, dei calcinacci scrostati dal sedile, facendo il nesci:
- Don Gesualdo, che c'è stato vossignoria, lassù?... Alle volte... per far quattro passi... L'erba sulla spianata è tutta pesta, come ci si fosse sdraiato un asino. Ladri, no, eh?... Ho paura di quelli del colèra piuttosto.
- No... di giorno?... che diavolo!... bestia che sei!... Non temere, qui stiamo cogli occhi aperti.
E ci stava davvero, con prudenza, per evitar gli scandali, aspettando che terminasse il colèra per scopare la casa, e finirla pulitamente con donna Sarina e tutti i suoi senza dar campo di parlare alle male lingue, rimbeccando la zia Cirmena che s'era messa a far la sapiente anche lei, a parlare col squinci e linci, tagliando corto a quelle chiacchiere sconclusionate che vi tiravano gli sbadigli dalle calcagna. Un giorno, presenti tutti quanti, sputò fuori il fatto suo.
- Ah... le canzonette? Roba che non empie pancia, cari miei! - La zia Cirmena si risentì alfine: - Voi pigliate tutto a peso e a misura, don Gesualdo! Non sapete quel che vuol dire... Vorrei vedervici!... - Egli allora, col suo fare canzonatorio, raccolse in mucchio libri e giornali ch'erano sul tavolino e glieli cacciò in grembo, a donna Sarina, ridendo ad alta voce, spingendola per le spalle quasi volesse mandarla via come fa il sensale nel conchiudere il negozio, vociando così forte che sembrava in collera, fra le risate:
- Be'... pigliateli, se vi piacciono... Potrete camparci su!...
Tutti si guardarono negli occhi. Isabella si alzò senza dire una parola, ed uscì dalla stanza. - Ah!... - borbottò don Gesualdo. - Ah!...
Ma visto che non era il momento, cacciò indietro la bile e voltò la cosa in scherzo:
- Anche a lei... le piacciono le canzonette. Come passatempo... colla chitarra... adesso che siamo in villeggiatura non dico di no. Ma per lei c'è chi ha lavorato al sole e al vento, capite?... E se ha la testa dura dei Trao, anche i Motta non scherzano, quanto a ciò...
- Bene, - interruppe la zia, - questo è un altro discorso.
- Ah, vi sembra un altro discorso?
- Ecco! - saltò su donna Sarina, pigliandosela a un tratto col nipote. - Tuo zio parla pel tuo bene. Non lo trovi, un parente affezionato come lui, senti!
- Certo, certo... Voi siete una donna di giudizio, donna Sarina, e cogliete le parole al volo.
La Cirmena allora si mise a dimostrare che un ragazzo di talento poteva arrivare dove voleva, segretario, fattore, amministratore di una gran casa. Le protezioni già non gli mancavano. - Certo, certo, - continuava a ripetere don Gesualdo. Ma non si impegnava più oltre. Si dava da fare a rimettere le seggiole a posto, a chiudere le finestre, come a dire: - Adesso andate via. - Però siccome il giovane voltava le spalle senza rispondere, con la superbia che avevano tutti quei parenti spiantati, donna Sarina non seppe più frenarsi, raccattando in furia i ferri da calza e gli occhiali, infilando il paniere al braccio senza salutar nessuno.
- Guardate s'è questa la maniera! Così si ringraziano i parenti della premura? Io me ne lavo le mani... come Pilato... Ciascuno a casa sua...
- Ecco la parola giusta, donna Sarina. Ciascuno a casa sua. Aspettate, che vi accompagno... Eh? eh? che c'è?
Da un pezzo, mentre discorreva, tendeva l'orecchio all'abbaiare dei cani, al diavolìo che facevano oche e tacchini nella corte, a un correre a precipizio. Poi si udì una voce sconosciuta in mezzo al chiacchierìo della sua gente. Dal cancello s'affacciò il camparo, stralunato, facendogli dei segni.
- Vengo, vengo, aspettate un momento.
Tornò poco dopo che sembrava un altro, stravolto, col cappello di paglia buttato all'indietro, asciugandosi il sudore. Donna Sarina voleva sapere a ogni costo cosa fosse avvenuto, fingendo d'aver paura.
- Nulla... Le stoppie lassù avran preso fuoco... V'accompagno. E' cosa da nulla.
Nell'aia erano tutti in subbuglio. Mastro Nardo, sotto la tettoia, insellava in fretta e in furia la mula baia di don Gesualdo. Dinanzi al rastrello del giardino Nanni l'Orbo e parecchi altri ascoltavano a bocca aperta un contadino di fuorivia che narrava gran cose, accalorato, gesticolando mostrando il vestito ridotto in brandelli.
- Nulla, nulla, - ripetè don Gesualdo. - V'accompagno a casa vostra. Non c'è premura. - Si vedeva però ch'era turbato, balbettava, grossi goccioloni gli colavano dalla fronte. Donna Sarina s'ostinava ad aver paura, piantandosi su due piedi, frugando di qua e di là cogli occhi curiosi, fissandoli in viso a lui per scovar quel che c'era sotto: - Un caso di colèra, eh? Ce l'han portato sin qui? Qualche briccone? L'han colto sul fatto? - Infine don Gesualdo le mise le mani sulle spalle, guardandola fissamente nel bianco degli occhi: - Donna Sarina, a che giuoco giochiamo? Lasciatemi badare agli affari di casa mia! santo e santissimo! - E la mise bel bello sulla sua strada, di là dal ponticello. Tornando indietro se la prese con tutta quella gente che sembrava ammutinata, comare Lia che aveva lasciato d'impastare il pane, sua figlia accorsa anche lei colle mani intrise di farina. - Che c'è? che c'è? Voi, mastro Nardo, andate avanti colla mula. Vi raggiungerò per via. Lì, da quella parte, pel sentiero. Non c'è bisogno di far sapere a tutto il vicinato se vo o se rimango. E voialtri badate alle vostre faccende. E cucitevi la bocca, ehi!... senza suonar la tromba e andar narrando quel che mi succede, di qua e di là !...
Poi salì di sopra colle gambe rotte. Bianca appena lo vide con quella faccia si impaurì. Ma egli però non le disse nulla. Temeva che i sorci ballassero mentre non c'era il gatto. Mentre la moglie l'aiutava a infilarsi gli stivali, andava facendole certe raccomandazioni: - Bada alla casa. Bada alla ragazza. Io vo e torno. Il tempo d'arrivare alla Salonia per mio padre che sta poco bene. Gli occhi aperti finché non ci son io, intendi? - Bianca da ginocchioni com'era alzò il viso attonito. - Svegliati! Come diavolo sei diventata? Tale e quale tuo fratello don Ferdinando sei! Tua figlia ha la testa sopra il cappello, te ne sei accorta? Abbiamo fatto un bel negozio a metterle in capo tanti grilli! Chissà cosa s'immagina? E gli altri pure... Donna Sarina e tutti gli altri! Serpi nella manica!... Dunque, niente visite, finché torno... e gli occhi aperti sulla tua figliuola. Sai come sono le ragazze quando si mettono in testa qualcosa!... Sei stata giovane anche tu... Ma io non mi lascio menare pel naso come i tuoi fratelli, sai!... No, no, chetati! Non è per rimproverarti... L'hai fatto per me, allora. Sei stata una buona moglie, docile e obbediente, tutta per la casa... Non me ne pento. Dico solo acciò ti serva d'ammaestramento, adesso. Le ragazze per maritarsi non guardano a nulla... Tu almeno non facevi una pazzia... Non te ne sei pentita neppur tu, è vero? Ma adesso è un altro par di maniche. Adesso si tratta di non lasciarsi rubare come in un bosco...
Bianca, ritta accanto all'uscio, col viso scialbo, spalancò gli occhi, dove era in fondo un terror vago, uno sbalordimento accorato, l'intermittenza dolorosa della ragione annebbiata ch'era negli occhi di don Ferdinando.
- Ah! Hai capito finalmente! Te ne sei accorta anche tu! E non mi dicevi nulla!... Tutte così voialtre donne... a tenervi il sacco l'una coll'altra!... congiurate contro chi s'arrovella pel vostro meglio!
- No!... vi giuro!... Non so nulla!... Non ci ho colpa... Che volete da me?... Vedete come son ridotta!...
- Non lo sapevi? Cosa fai dunque? Così tieni d'occhio tua figlia... E' questa una madre di famiglia?... Tutto sulle mie spalle! Ho le spalle grosse. Ho lo stomaco pieno di dispiaceri... E sto benone io!... Ho la pelle dura.
E se ne andò col dorso curvo, sotto il gran sole, ruminando tutti i suoi guai. Il messo ch'era venuto a chiamarlo dalla Salonia l'aspettava in cima al sentiero, insieme a mastro Nardo che tirava la mula zoppicando. Come lo vide da lontano si mise a gridare:
- Spicciatevi, vossignoria. Se arriviamo tardi, per disgrazia, la colpa è tutta mia.
Cammin facendo raccontava cose da far drizzare i capelli in testa. A Marineo avevano assassinato un viandante che andava ronzando attorno all'abbeveratoio, nell'ora calda, lacero, scalzo, bianco di polvere, acceso in volto, con l'occhio bieco, cercando di farla in barba ai cristiani che stavano a guardia da lontano, sospettosi. A Callari s'era trovato un cadavere dietro una siepe, gonfio come un otre: l'aveva scoperto il puzzo. La sera, dovunque, si vedevano dei fuochi d'artifizio, una pioggia di razzi, tale e quale la notte di San Lorenzo, Dio liberi! Una donna incinta, che s'era lasciata aiutare da uno sconosciuto, mentre portava un carico di legna al Trimmillito, era morta la stessa notte all'improvviso, senza neanche dire - Cristo aiutami - colla pancia piena di fichi d'India.
- Vostro padre l'ha voluto lui stesso il colèra, sissignore. Tutti gli dicevano: Non aprite se prima il sole non è alto! Ma sapete che testa dura! Il colèra ce l'ha portato alla Salonia un viandante che andava intorno colla bisaccia in spalla. Di questi tempi, figuratevi! C'è chi l'ha visto a sedere, stanco morto, sul muricciuolo vicino alla fattoria. Poi tutta la notte rumori sul tetto e dietro gli usci... E le macchie d'unto che si son trovate qua e là a giorno fatto!... Come della bava di lumaca... Sissignore!... Quella bestia dello speziale continua a predicare di scopar le c...
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