[Pagina precedente]...da; ma lo zio marchese lo fermò pel braccio!...
- Lasciateli fare... tanto!...
La zia Cirmena che si era divertita almeno un po', si piantò nel bel mezzo della stanza, guardando in faccia la gente, come a dire ch'era ora d'andarsene. In quel frattempo tornò di corsa il sagrestano, ansante, con un'aria di gran mistero:
- C'è qui tutto il paese!... giù in istrada, che stanno a vedere!... Il barone Zacco, i Margarone, la moglie di Mèndola anche... tutti i primi signori del paese!... Fa chiasso il vostro matrimonio, don Gesualdo!...
E se ne andò com'era venuto, frettoloso, infatuato.
La zia Cirmena borbottò:
- Che seccatura!... Ci fosse almeno un'altra uscita!...
Il canonico invece, curioso, volle andare a vedere.
Di rimpetto, alla cantonata di San Sebastiano, c'era un crocchio di gente; si vedevano biancheggiare dei vestiti chiari nel buio della strada. Altri passavano lentamente, in punta di piedi, rasente al muro, col viso rivolto in su. Si udiva parlare sottovoce, delle risa soffocate anche, uno scalpiccìo furtivo. Due che tornavano indietro dalla parte di Santa Maria di Gesù si fermarono, vedendo aprire il balcone. E tutti sgattaiolarono di qua e di là . Rimase solo Ciolla, che fingeva d'andare pei fatti suoi canticchiando:
Amore, amore, che m'hai fatto fare?
Donna Sarina e il marchese Limòli si erano avvicinati anch'essi al balcone. Quest'ultimo allora disse:
- Adesso potete andarvene, donna Sarina. Non c'è più nessuno laggiù!...
La zia Cirmena scattò su come una molla:
- Io non ho paura, don Alfonso!... Io fo quel che mi pare e piace!... Son qui per far da mamma a Bianca... giacché non c'è altra parente prossima. Non possiamo piantar la sposa quasi fosse una trovatella... pel decoro della famiglia almeno!...
- Ah? ah?... - sogghignava intanto il marchese.
Donna Sarina gli ribatté sul muso, frenando a stento la voce:
- Non mi fate lo gnorri, don Alfonso!... Lo sapete meglio di me!... Deve premere anche a voi che siete della famiglia... Bisogna farlo per la gente... se non per lei!... - E infilò l'uscio della camera nuziale, continuando a sbraitare.
- Va bene, va bene! Non andate in collera... Vuol dire che ce ne andremo noi!... Ehi, ehi, canonico... Mi par che sarebbe tempo d'andarcene!... Un po' di prudenza!...
- Ah! ah!... Ah! ah! - chiocciava il canonico.
- Buona notte, nipoti miei! Vi dò pure la benedizione che non costa nulla...
Bianca s'era fatta pallida come un cencio lavato. Si alzò anche lei, con un lieve tremito nei muscoli del mento, coi begli occhi turchini che sembravano smarriti, incespicando nel vestito nuovo, e balbettò:
- Zio!... sentite, zio!... - E lo tirò in disparte per parlargli sottovoce, con calore.
- Sono pazzi! - interruppe il marchese ad alta voce accalorandosi anche lui. - Pazzi da legare! Se torno a nascere, lo dirò anche a loro, voglio chiamarmi mastro Alfonso Limòli!...
- Bravo! - sghignazzò il canonico. - Mi piace quello che dite!
- Buona notte! buona notte! Non ci pensare! Andrò da loro domattina... E fra nove mesi, ricordati bene, voglio essere invitato di nuovo pel battesimo... il canonico Lupi ed io... noi due soli... Non ci sarà neppure bisogno della cugina Cirmena!...
- Poca brigata, vita beata! - conchiuse l'altro.
Don Gesualdo li accompagnò sino all'uscio, solleticato internamente dai complimenti del canonico, il quale non finiva dal dirgli che aveva fatto le cose ammodo: - Peccato che non sieno venuti tutti gli invitati! Avrebbero visto che spendete da Cesare. Mi sorprende per la signora Sganci!... Anche la baronessa Rubiera sarebbe stata contenta di vedere come le rispettate la nipote... che non siete di quelli che hanno il pugno stretto... giacché dovete esser soci fra poco.
- Eh! eh! - rispose don Gesualdo che si sentiva ribollire in quel punto i denari male spesi. - C'è tempo! c'è tempo! Ne deve passare prima dell'acqua sotto il ponte che non c'è più... Diteglielo pure, alla signora baronessa.
- Come? come? Se era cosa intesa? Se dovete esser soci?
- I miei soci son questi qua! - ripeté don Gesualdo battendo sul taschino. - Non vorrei che la signora baronessa Rubiera avesse a vergognarsi d'avermi per compagno... diteglielo pure!
- Ha ragione! - aggiunse il marchese fermandosi a metà della scala. - Ha l'amor proprio dei suoi denari, che diavolo!... La cugina Rubiera avrebbe potuto degnarsi... Non si sarebbe guastato il sangue per così poco, lei!...
- Chissà ? chissà perché non è venuta?... Ci dev'essere qualch'altro motivo... Poi, gli affari... è un'altra cosa... Pensateci bene!... Vi mancherà un appoggio!... Li avrete tutti nemici allora!...
- Tutti nemici... oh bella! perché?
- Pei vostri denari, caspita!... Perché potete mettere anche voi le mani nel piatto!... Poi vi siete imparentato con loro!... Uno schiaffo, caro mio! Uno schiaffo che avete dato a tutti quanti!
- Sapete cosa ho da dirvi? - si mise a strillare allora il marchese levando il capo in su. - Che se non avessi il vitalizio della mia commenda di Malta per non crepare di fame, sarei costretto a dare uno schiaffo anch'io a tutta la nobile parentela... Sarei costretto a scopar le strade!...
E se ne andò borbottando.
- Don Gesualdo, - disse Nanni l'Orbo facendo capolino dalla cucina. - Son qui i ragazzi che vorrebbero baciar la mano alla padrona... se non c'è più nessuno...
- Spicciatevi! spicciatevi! - rispose lui infastidito.
Prima s'affollarono sulla soglia simili a un branco di pecore; poscia, dopo Nanni l'Orbo, sfilarono dietro tutti gli altri, col sorriso goffo, il berretto in mano, le donne salutando sino a terra come in chiesa, imbacuccate nelle mantelline.
- Questa è Diodata, - disse Nanni l'Orbo. - Una povera orfanella che il padrone ha mantenuto per carità .
- Sissignora!... Tanta salute!... - E Diodata non seppe più che dire.
- Un cuore tanto fatto, don Gesualdo! - seguitò Nanni l'Orbo accalorandosi. - Gli ha fatto anche la dote! Domeneddio l'aiuta per questo!
Don Gesualdo andava spegnendo i lumi. Poi si voltò tutto di nuovo vestito, che Diodata non osava nemmeno alzare gli occhi su di lui, e conchiuse:
- Va bene. Siete contenti?
- Sissignore, - rispose Nanni l'Orbo, guardando con tenerezza Diodata. - Contentoni!... può dirlo anche lei!...
- E' un pezzo che compare Nanni teneva d'occhio a quei baiocchi, per non lasciarseli sfuggire! - aggiunse Brasi Camauro. - E' nato col berretto in testa!
- Sposa Diodata, - narrò allora alla moglie don Gesualdo. - La marito con lui.
Il camparo aggiunse altre informazioni, ridendo:
- Si correvano dietro! Bisognava far la guardia a loro pure!... Il padrone mi dovrebbe ancora qualche regaluccio per quest'altra custodia che non era nel patto!...
Allora scoppiò una risata generale, perché compare Carmine era molto lepido, di solito. La ragazza, tutta una fiamma, gli lanciò un'occhiata di bestia selvaggia.
- Non è vero! nossignore, don Gesualdo!...
- Sì! sì! e Brasi Camauro anche! e Giacalone, allorché veniva pel carro!... Tutti d'amore e d'accordo, insieme!...
Le risate non finivano più; Nanni l'Orbo pel primo, che si teneva i fianchi. Solo Diodata, rossa come il fuoco, colle lagrime agli occhi, s'affannava a ripetere:
- Nossignore!... non è vero!... Come potete dirlo, compare Carmine?... non ne avete coscienza?
Donna Sarina comparve di nuovo sull'uscio, colle braccia incrociate, senza profferire una parola; soltanto i fiori che le si agitavano sul capo parlavano per lei.
- Ora basta! - conchiuse il padrone. - Andatevene, ch'è tardi.
Essi salutarono un'altra volta, inchinandosi goffamente, balbettando confusamente in coro, urtandosi nell'uscire, e se ne andarono con un calpestìo pesante di bestiame grosso. Appena fuori cominciarono a ridere e scherzare fra di loro; Brasi Camauro e Pelagatti dandosi degli spintoni; Nanni l'Orbo e compare Carmine barattando parolacce e ingiurie atroci, colle braccia l'uno al collo dell'altro, come due fratelli messi in allegria dal vino bevuto. Una baldoria che fece ridere anche lo stesso don Gesualdo.
- Son come le bestie! - diss'egli rientrando. - Non dar retta, cara Bianca!
- Un momento! - strillò la zia Cirmena respingendolo colle mani, quasi egli stesse per farle violenza. - Non potete entrare adesso! fuori! fuori!
E gli chiuse l'uscio sul muso.
Diodata risalì di corsa in quel punto, scalmanata, colle lagrime agli occhi.
- Don Gesualdo!... Non vogliono lasciarmi andare pei fatti miei!... Li sentite, laggiù?... compare Nanni e tutti gli altri!...
- Ebbene? Che c'è? Non dev'essere tuo marito?...
- Sissignore... Dice per questo!... ch'è il padrone... Non mi lasciano andare in pace!... tutti quanti!
- Aspetta! aspetta, che piglio un bastone!
- No! no! - gridò Nanni dalla strada. - Ce ne andiamo a casa. Nessuno la tocca.
- Senti? Nessuno ti tocca. Vattene... Che fai adesso?
Essa, stando due scalini più giù, gli aveva presa la mano di nascosto, e andava baciandola come un vero cane affezionato e fedele: - Benedicite!... benedicite!...
- Ora ricomincia il piagnisteo! - sbuffò lui. - Non ho un momento di pace, questa sera!...
- Nossignore... senza piagnisteo... Tanta salute a vossignoria!... e alla vostra sposa anche!... E' che volevo baciarvi la mano per l'ultima volta!... Mi tremano un po' le gambe... Tanto bene che mi avete fatto, vossignoria!...
- Be'! be'!... Sta allegra tu pure!... Dev'essere un giorno d'allegria questo!... Hai trovato un buon marito anche tu... Il pane non te lo farà mancare... E quando verrà la malannata, ricordati che c'è sempre il mio magazzino aperto... Sei contenta anche tu? di'?
Essa rispose ch'era contenta, chinando il capo più volte, giacché aveva un groppo alla gola e non poteva parlare.
- Va bene! Ora vattene via contenta... e senza pensare ad altro, sai!... senza pensare ad altro!...
Com'essa lo guardava in un certo modo, cogli occhi dolorosi che sembrava gli leggessero anche a lui il cruccio segreto in cuore, cominciò a gridare per non pensarci, quasi fosse in collera.
- E senza cercare il pelo nell'uovo!... senza pensare a questo e a quell'altro... Il Signore c'è per tutti... Anche tu sei una povera trovatella, e il Signore ti ha aiutato!... Al caso poi, ci son qua io... Farò quello che potrò... Non ho il cuore di sasso, no!... Lo sai! Vai, vai; vattene via contenta!...
Ma Diodata, che gli voltava le spalle, col petto pigiato contro la ringhiera, quasi si sentisse morire dal crepacuore, non poté frenare i singhiozzi che la scuotevano dalla testa ai piedi. Allora il suo padrone scappò a bestemmiare:
- Santo e santissimo!... santo e santissimo!
In quel momento comparve la zia Cirmena in cima alla scala, con lo scialle in testa, il borsone infilato al braccio, e gli occhi umidi di lagrime, come si conveniva alla parte di madre che l'era toccata quella volta.
- Eccomi qua, don Gesualdo! eccomi qua! - E stese le braccia come un crocifisso per buttargliele al collo. - Non ho bisogno di farvi la predica... Siete un uomo di giudizio... Povera Bianca!... Sono commossa, guardate!
Cercò nel borsone il fazzoletto di battista, fra la roba di cui era pieno, e si asciugò gli occhi. Poi baciò di nuovo lo sposo, asciugandosi anche la bocca con lo stesso fazzoletto, e chiamò il servitore che aspettava giù col lampione.
- Don Camillo! Accendete, ch'è ora di andarsene. Don Camillo? ehi? cosa fate? dormite?
Dalla strada rispose Ciolla, ripassando col chitarrino:
Amore, amore, che m'hai fatto fare?
E degli altri sfaccendati gli andavano dietro, facendogli l'accompagnamento coi grugniti.
- No! - esclamò la zia Cirmena piantandosi dinanzi al nipote, quasi ad impedirgli di fare una pazzia. - Non date retta... Sono ubbriachi!... canaglia che crepano d'invidia! Andate a trovare vostra moglie piuttosto! Ve la raccomando... non va presa come le altre... Siamo fatti di un'altra pasta... tutta la famiglia... Mi pare di lasciare il sangue mio nelle vostre mani adesso!... Non ho avuto figliuole... non ho mai provato una cosa simile!... Mi sento tutta sconvolta!... No! no! Non badate a me!... mi calmerò... Voi, don Camillo, andate avanti col lume...
Egli volse le ...
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