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Don Giuseppe seguitando a brontolare se ne andò coi bicchieri vuoti. Dalla sala arrivò il suono di una sghignazzata generale, subito dopo qualcosa che aveva detto il notaro Neri, e che non si poté intender bene perché il notaro quando le diceva grosse abbassava la voce.
- Rientriamo anche noi, - disse il baronello. - Per allontanare i sospetti...
Ma Bianca non si mosse. Piangeva cheta, nell'ombra; e di tanto in tanto si vedeva il suo fazzoletto bianco salire verso gli occhi. - Ecco!... Sei tu che fai parlare la gente! - scappò detto al cugino ch'era sulle spine.
- Che te ne importa? - rispose lei. - Che te ne importa?... Oramai!...
- Sì! sì!... Credi che non ti voglia più bene?...
Uno struggimento, un'amarezza sconfinata venivano dall'ampia distesa nera dell'Alìa, dirimpetto, al di là delle case dei Barresi, dalle vigne e gli oliveti di Giolio, che si indovinavano confusamente, oltre la via del Rosario ancora formicolante di lumi, dal lungo altipiano del Casalgilardo, rotto dall'alta cantonata del Collegio, dal cielo profondo, ricamato di stelle - una più lucente, lassù, che sembrava guardasse, fredda, triste, solitaria. Il rumore della festa si dileguava e moriva lassù, verso San Vito. Un silenzio desolato cadeva di tanto in tanto, un silenzio che stringeva il cuore. Bianca era ritta contro il muro, immobile; le mani e il viso smorti di lei sembravano vacillare al chiarore incerto che saliva dal banco del venditore di torrone. Il cugino stava appoggiato alla ringhiera, fingendo di osservare attentamente l'uomo che andava spegnendo la luminaria, nella piazza deserta, e il giovane del paratore, il quale correva su e giù per l'impalcato della musica, come un gattone nero, schiodando, martellando, buttando giù i festoni e le ghirlande di carta. I razzi che scappavano ancora di tratto in tratto, lontano, dietro la massa nera del Palazzo di Città , i colpi di martello del paratore, le grida più rare, stanche e avvinazzate, sembravano spegnersi lontano, nella vasta campagna solitaria. Insieme all'acre odore di polvere che dileguava, andava sorgendo un dolce odor di garofani; passava della gente cantando; udivasi un baccano di chiacchiere e di risate nella sala, vicino a loro, nello schianto di quell'ultimo addio senza parole.
Nel vano luminoso del balcone passò un'ombra magra, e si udì la tosserella del marchese Limòli:
- Eh, eh, ragazzi!... benedetti voialtri!... Sono venuto a veder la festa... ora ch'è passata... Bianca, nipote mia... bada che l'aria della sera ti farà male...
- No, zio, - rispose lei con voce sorda. - Si soffoca lì dentro.
- Pazienza!... Bisogna sempre aver pazienza a questo mondo... Meglio sudare che tossire... Tu, Nino, bada che le signore Margarone stanno per andarsene.
- Vado, zio.
- Va, va, se no vedrai che denti! Non vorrei averli addosso neppur io!... E sì che non posso fare lo schifiltoso!... Che diavolo gli è saltato in corpo a tua madre, di farti sposare quei denti?...
- Ah... zio!...
- Sei uno sciocco! Dovresti lasciarle fare il diavolo a quattro quanto le pare e piace, a tua madre!... Sei figlio unico!... A chi vuoi che lasci la roba dopo la sua morte?
- Eh... da qui a trent'anni!... Il tempo di crepare di fame intanto!... Mia madre sta meglio di voi e di me, e può campare ancora trent'anni!...
- E' vero! - rispose il marchese. - Tua madre non sarebbe molto contenta di sentirsi lesinare gli anni... Ma è colpa sua.
- Ah! zio mio!... Credetemi ch'è un brutto impiccio!...
- Cà lmati! cà lmati!... Consòlati pensando a chi sta peggio di te.
S'affacciò la signora Capitana, svelta, irrequieta, guardando sorridente di qua e di là nella strada.
- Mio marito?... Non viene ancora?...
- Il santo non è ancora rientrato - rispose don Ninì. - Si ode subito il campanone di San Giovanni, appena giunge in chiesa, e attacca l'altra festa.
Però la gente cominciava ad andarsene di casa Sganci. Prima si vide uscire dal portone il cavalier Peperito, che scomparve dietro la cantonata del farmacista Bomma. Un momento dopo spuntò il lanternone che precedeva donna Giuseppina Alòsi, la quale attraversò la piazza, sporca di carta bruciata e di gusci di fave e nocciuole, in punta di piedi, colle sottane in mano, avviandosi in su pel Rosario; e subito dopo, dalla farmacia, scantonò di nuovo l'ombra di Peperito, che le si mise dietro quatto quatto, rasente al muro. La signora Capitana fece udire una risatina secca, e il baronello Rubiera confermò:
- E' lui!... Peperito!... com'è vero Dio!
Il marchese prese il braccio di sua nipote e rientrò con lei nella sala. In quel momento mastro-don Gesualdo, in piedi presso il balcone, discorreva col canonico Lupi. Questi perorando con calore, sottovoce, in aria di mistero, stringendoglisi addosso, quasi volesse entrargli in tasca col muso di furetto; l'altro serio, col mento nella mano, senza dire una parola, accennando soltanto col capo di tratto in tratto. - Tale e quale come un ministro! - sogghignava il barone Zacco. Il canonico conchiuse con una stretta di mano enfatica, volgendo un'occhiata al barone, il quale finse di non accorgersene, rosso al par di un gallo. La padrona di casa portava le mantiglie e i cappellini delle signore, mentre tutti i Margarone in piedi mettevano sossopra la casa per accomiatarsi.
- To'... Bianca!... Ti credevo già andata via!... - esclamò donna Fifì col sorriso che mordeva.
Bianca rispose soltanto con un'occhiata che sembrava attonita, tanto era smarrita e dolente; in quel tempo suo cugino si dava gran moto fra le mantiglie e i cappellini, a capo basso.
- Un momento! un momento! - esclamò don Filippo levando il braccio rimastogli libero, mentre coll'altro reggeva Nicolino addormentato.
Si udiva un tafferuglio nella piazza; strilli da lontano; la gente correva verso San Giovanni, e il campanone che suonava a distesa, laggiù.
La signora Capitana rientrò dal balcone tappandosi le orecchie colle belle mani candide, strillando in falsetto:
- Mio marito!... Si picchiano!...
E si abbandonò sul canapè, cogli occhi chiusi. Le signore si misero a vociare tutte in una volta; la padrona di casa gridava a Barabba di scendere a dare il catenaccio giù al portone; mentre donna Bellonia spingeva le sue ragazze in branco nella camera di donna Mariannina, e il marchese Limòli picchiava sulle mani della Capitana dei colpettini secchi. Il notaro Neri propose anche di slacciarla.
- Vi pare?... - diss'ella allora balzando in piedi infuriata. - Per chi m'avete presa, don asino?
Giunse in quel momento il Capitano, seguito da don Liccio Papa che sbraitava in anticamera, narrando l'accaduto, - non lo avrebbero trattenuto in cento.
- La solita storia di ogni anno! - disse finalmente il signor Capitano, dopo che si fu rimesso vuotando d'un fiato un bicchier d'acqua. - I devoti di San Giovanni che danno mano al campanone un quarto d'ora prima!... Soperchierie!... Quelli di San Vito poi che non vogliono tollerare... Legnate da orbi ci sono state!
- La solita storia di ogni anno! - ripeté il canonico Lupi. - Una porcheria! La Giustizia non fa nulla per impedire...
Il Capitano in mezzo alla sala, coll'indice teso verso di lui, sbuffò infine:
- Sentitelo!... Perché non ci andate voi? Un altro po' facevano la festa a me pure!... Vostro marito ha corso pericolo della vita, donna Carolina!...
La signora Capitana, col bocchino stretto, giunse le mani:
- Gesummaria!... Maria Santissima del pericolo!...
- Stai fresca! - borbottò il notaro voltandosi in là . - Stai fresca davvero!... se aspetti che tuo marito voglia arrischiare la pelle per lasciarti vedova!...
Don Ninì Rubiera cercando il cappello s'imbatté nella cugina, la quale gli andava dietro come una fantasima, stravolta, incespicando a ogni passo.
- Bada!... - le disse lui. - Bada!... Ci guardano!... C'è lì don Gesualdo!...
- Bianca! Bianca! Le mantiglie di queste signore! - gridò la zia Sganci dalla camera da letto dove s'era ficcato tutto lo stormo dei Margarone.
Essa frugava in mezzo al mucchio, colle mani tremanti. Il cugino era così turbato anch'esso che seguitava a cercare il suo cappello lui pure. - Guarda, ce l'ho in testa! Non so nemmeno quello che fo.
Si guardò attorno come un ladro, mentre ciascuno cercava la sua roba in anticamera, e la tirò in disparte verso l'uscio
- Senti... per l'amor di Dio!... sii cauta!... Nessuno ne sa nulla... Tuo fratello non sarà andato a raccontarlo... Ed io neppure... Sai che t'ho voluto bene più dell'anima mia!...
Essa non rispose verbo, gli occhi soli che parlavano, e dicevano tante cose.
- Non guardarmi con quella faccia, Bianca!... no!... non guardarmi così... mi tradirei anch'io!...
Donna Fifì uscì col cappello e la mantiglia, stecchita, le labbra strette quasi fossero cucite; e siccome sua sorella, giovialona, si voltava a salutare Bianca, la richiamò con la voce stizzosa:
- Giovannina! andiamo! andiamo!
- Meno male questa qui! - borbottò il baronello. - Ma sua sorella è un castigo di Dio.
La zia Sganci, accompagnando le Margarone sino all'uscio, disse a mastro-don Gesualdo che si sprofondava in inchini sul pianerottolo, a rischio di ruzzolare giù per la scala:
- Don Gesualdo, fate il favore... Accompagnate i miei nipoti Trao... Già siete vicini di casa... Don Ferdinando non ci vede bene la sera...
- Sentite qua! sentite qua! - gli disse il canonico.
Zacco non si dava pace; fingeva di cercare il lampione nelle cassapanche dell'anticamera, per darlo da portare a mastro-don Gesualdo. - Giacché deve accompagnare donna Bianca... una dei Trao... Non gli sarebbe passato neppure pel capo di ricevere tanto onore... a mastro-don Gesualdo!... - Però costui non poteva udire perché aspettava nella piazza, discorrendo col canonico. Solo don Liccio Papa, il quale chiudeva la marcia colla sciaboletta a tracolla, si mise a ridere: - Ah! ah!
- Che c'è? - chiese il Capitano, che dava il braccio alla moglie infagottata. - Che c'è, insubordinato?
- Nulla; - rispose il marchese. - Il barone Zacco che abbaia alla luna.
Poi, mentre scendeva insieme a Bianca, appoggiandosi al bastoncino, passo passo, le disse in un orecchio:
- Senti... il mondo adesso è di chi ha denari... Tutti costoro sbraitano per invidia. Se il barone avesse una figliuola da maritare, gliela darebbe a mastro-don Gesualdo!... Te lo dico io che son vecchio, e so cos'è la povertà !...
- Eh? Che cosa? - volle sapere don Ferdinando, il quale veniva dietro adagio adagio, contando i sassi.
- Nulla... Dicevamo che bella sera, cugino Trao!
L'altro guardò in aria, e ripeté come un pappagallo: - Bella sera! bella sera!
Don Gesualdo stava aspettando, lì davanti al portone, insieme al canonico Lupi che gli parlava sottovoce nella faccia: - Eh? eh? don Gesualdo?... che ve ne pare? - L'altro accennava col capo, lisciandosi il mento duro di barba colla grossa mano. - Una perla! una ragazza che non sa altro: casa e chiesa!... Economa... non vi costerà nulla... In casa non è avvezza a spender di certo!... Ma di buona famiglia!... Vi porterebbe il lustro in casa!... V'imparentate con tutta la nobiltà ... L'avete visto, eh, stasera?... che festa v'hanno fatto?... I vostri affari andrebbero a gonfie vele... Anche per quell'affare delle terre comunali... E' meglio aver l'appoggio di tutti i pezzi grossi!...
Don Gesualdo non rispose subito, sopra pensieri, a capo chino, seguendo passo passo donna Bianca che s'avviava a casa per la scalinata di Sant'Agata insieme allo zio marchese e al fratello don Ferdinando.
- Sì... sì... Non dico di no... E' una cosa da pensarci... una cosa seria... Temo d'imbarcarmi in un affare troppo grosso, caro canonico... Quella è sempre una signora... Poi ho tante cose da sistemare prima di risolvere... Ciascuno sa i propri impicci... Bisogna dormirci sopra. La notte porta consiglio, canonico mio.
Bianca che se ne andava col cuore stretto, ascoltando la parlantina indifferente dello zio, accanto al fratello taciturno e allampanato, udì quelle ultime parole.
La notte porta consiglio. La notte scura e desolata nella cameretta misera. La notte che si portava via gli ultimi rumori della fes...
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