[Pagina precedente]...eno di debiti sino al collo, e non sa più dove battere il capo... La baronessa giura che sinchè campa lei non paga un baiocco. Ma non ha altri eredi, e un giorno o l'altro deve lasciargli tutto il suo. Come vedete, un buon affare, se avete coraggio..."
"Quanto?" rispose mastro-don Gesualdo. "Quanto gli occorre al baronello Rubiera? S'è una cosa che si può fare son qua io."
Più tardi, come si seppe in paese della grossa somma che don Gesualdo aveva anticipata al barone Rubiera, tutti gli davano del matto, e dicevano che ci avrebbe persi i denari. Egli rispondeva con quel sorriso tutto suo:
- State tranquilli. Non li perdo i denari. Il barone è un galantuomo... e il tempo è più galantuomo di lui.
Dice bene il proverbio che la donna è causa di tutti i mali! Commediante poi!
V
Don Ninì aveva sperato di tenere segreto il negozio. Ma sua madre da un po' di tempo non si dava pace, vedendolo così mutato, dispettoso, sopra pensieri, col viso acceso e la barba rasa ogni mattina. La notte non chiudeva occhio almanaccando dove il suo ragazzo potesse trovare i denari per tutti quei fazzoletti di seta e quelle boccettine d'acqua d'odore. Gli aveva messi alle calcagna Rosaria ed Alessi. Interrogava il fattore e la gente di campagna. Teneva sotto il guanciale le chiavi del magazzino e della dispensa. Come le parlasse il cuore, poveretta! Il cugino Limòli era arrivato a indicarle la signora Aglae che scutrettolava tutta in fronzoli. - La vedete? è quella lì. Che ve ne sembra, eh, di vostra nuora? Siete contenta? - Proprio, come le avesse lasciata la jettatura don Diego Trao, morendo!
Nei piccoli paesi c'è della gente che farebbe delle miglia per venire a portarvi la cattiva nuova. Una mattina la baronessa stava seduta all'ombra della stoia sul balcone, imbastendo alcuni sacchi di canovaccio che Rosaria poi le cuciva alla meglio, accoccolata sullo scalino, aguzzando gli occhi e le labbra perché l'ago non le sfuggisse dalle manacce ruvide voltandosi di tanto in tanto a guardare giù nella stradicciuola deserta.
- E tre! - si lasciò scappare Rosaria vedendo Ciolla che ripassava con quella faccia da usciere, sbirciando la casa della baronessa da cima a fondo, fermandosi ogni due passi, tornando a voltarsi quasi ad aspettare che lo chiamassero. La Rubiera che seguiva da un pezzetto quel va e vieni, di sotto gli occhiali, si chinò infine a fissare il Ciolla in certo modo che diceva chiaro: Che fate e che volete?
- Benedicite. - Cominciò ad attaccar discorso lui. E si fermò su due piedi, appoggiandosi al muro di rimpetto, col cappello sull'occipite e in mano il bastone che sembrava la canna dell'agrimensore, aspettando. La baronessa per rispondere al saluto gli domandò, facendo un sorrisetto agrodolce:
- Che fate lì? Mi stimate la casa? Volete comprarla?
- Io no!... Io no, signora mia!...
- Io no! - Tornò a dire più forte, vedendo che lei s'era rimessa a cucire. Allora la Rubiera si chinò di nuovo verso la stradicciuola, cogli occhiali lucenti, ed entrambi rimasero a guardarsi un momento così, come due basilischi.
- Se volete dirmi qualche cosa, salite pure.
- Nulla, nulla, - rispose Ciolla; e intanto s'avviava verso il portone. Rosaria tirò la funicella e si mise a borbottare;
- Che vuole adesso quel cristiano? A momenti è ora d'accendere il fuoco. Ma intanto si udiva lo schiamazzo degli animali nel cortile e i passi di Ciolla che saliva adagio adagio. Egli entrò col cappello in testa, ossequioso, ripetendo: Deo gratias! Deo gratias! lodando l'ordine che regnava da per tutto in quella casa.
- Non ne nascono più delle padrone di casa come voi, signora baronessa! Ecco! ecco! siete sempre lì, a sciuparvi la vista sul lavoro. Ne hanno fatta della roba quelle mani!... Non ne hanno scialacquata, no!
La baronessa che aspettava coll'orecchio teso cominciò ad essere inquieta. Intanto Rosaria aveva sbarazzato una seggiola del canovaccio che vi era ammucchiato sopra, e stava ad ascoltare, grattandosi il capo.
- Va a vedere se la gallina ha fatto l'uovo, - disse la padrona. E tornò a discorrere col Ciolla, più affabile del consueto, per cavargli di bocca quel che aveva da dire. Ma Ciolla non si apriva ancora. Parlava del tempo, dell'annata, del fermento che aveva lasciato in paese la Compagnia d'Arme, dei guai che erano toccati a lui. - I cenci vanno all'aria, signora mia, e chi ha fatto il danno invece se la passa liscia. Benedetta voi che ve ne state in casa, a badare ai vostri interessi. Fate bene! Avete ragione! Tutto ciò che si vede qui è opera vostra. Non lo dico per lodarvi! Benedette le vostre mani! Vostro marito, buon'anima!... via, non parliamo dei morti... le mani le aveva bucate... come tutti i Rubiera... I fondi coperti di ipoteche... e la casa... Infine cos'era il palazzetto dei Rubiera?... Quelle cinque stanze lì?...
La baronessa fingeva d'abboccare alle lodi, dandogli le informazioni che voleva, accompagnandolo di stanza in stanza, spiegandogli dove erano stati aperti gli usci che mettevano in comunicazione il nuovo col vecchio.
Ciolla seguitava a guardare intorno cogli occhi da usciere accennando del capo, disegnando colla canna d'India: - Per l'appunto! quelle cinque stanze lì. Tutto il resto è roba vostra. Nessuno può metterci le unghie nella roba vostra finché campate... Dio ve la faccia godere cent'anni! una casa come questa... una vera reggia! vasta quanto un convento! Sarebbe un peccato mortale, se riuscissero a smembrarvela i vostri nemici... ché ne abbiamo tutti, nemici!...
Essa, che si sentiva impallidire, finse di mettersi a ridere: una risata da fargli montar la mosca al naso a quell'altro.
- Cosa? Ho detto una minchioneria? Nemici ne abbiamo tutti. Mastro-don Gesualdo, esempigrazia!...
Quello non vorrei trovarmelo mischiato nei miei interessi...
Fingeva anche lui di guardarsi intorno sospettoso, quasi vedesse da per tutto le mani lunghe di mastro-don Gesualdo. - Quello, se si è messo in testa di ficcarvisi in casa... a poco a poco... da qui a cent'anni... come fa il riccio...
La baronessa era tornata sul balcone a prendere aria, senza dargli retta, per cavargli di bocca il rimanente. Egli nicchiò ancora un poco, disponendosi ad andarsene, cavandosi il cappello per darvi una lisciatina, cercando la canna d'India che aveva in mano, scusandosi delle chiacchiere colle quali le aveva empito la testa sino a quell'ora.
- Che avete da fare, eh? Dovete vestirvi per andare al battesimo della figliuola di don Gesualdo? Sarà un battesimo coi fiocchi... in casa Trao!... Vedete dove va a ficcarsi il diavolo, che la bambina di mastro-don Gesualdo va proprio a nascere in casa Trao!... Ci saranno tutti i parenti... una pace generale... Siete parente anche voi...
La baronessa continuava a ridere, e Ciolla le teneva dietro, tutti e due guardandosi in viso, cogli occhi soli rimasti serii.
- No? Non ci andate? Avete ragione! Guardatevi da quell'uomo! Non vi dico altro! Vostro figlio è una bestia!... Non vi dico altro!...
- Mio figlio ha la sua roba ed io ho la mia... Se ha fatto delle sciocchezze mio figlio pagherà , se può pagare... Io no però! Pagherà lui, col fatto suo, con quelle cinque stanze che avete visto... Non ha altro, per disgrazia... Ma io la mia roba me la tengo per me... Son contenta che mio figlio si diverta... E' giovane... Bisogna che si diverta... Ma io non pago, no!
- Quello che dicono tutti. Mastro-don Gesualdo crede d'essere furbo. Ma stavolta, se mai, ha trovato uno più furbo di lui. Sarebbe bella che gli mantenesse l'amante a don Ninì!... Gli parrebbe di fare le sue follie di gioventù anche lui!...
La baronessa, dal gran ridere, andava tenendosi ai mobili per non cadere. - Ah, ah!... questa è bella!... Questa l'avete detta giusta, don Roberto!... - Ciolla le andava dietro fingendo di ridere anche lui, spiandola di sottecchi, indispettito che se la prendesse così allegramente. Ma Rosaria, mentre veniva a pigliar la tela, vide la sua padrona così pallida che stava per chiamare aiuto.
- Bestia! Cosa fai? Perché rimani lì impalata? Accompagna don Roberto piuttosto! - Così Ciolla si persuase ad andarsene finalmente, sfogandosi a brontolare colla serva:
- Com'è allegra la tua padrona! Ho piacere, sì! L'allegria fa buon sangue e fa vivere lungamente. Meglio! meglio!
Rosaria, tornando di sopra, vide la padrona in uno stato spaventevole, frugando nei cassetti e negli armadi, colle mani che non trovavano nulla, gli occhi che non ci vedevano, la schiuma alla bocca, vestendosi in tutta fretta per andare al battesimo del cugino Motta. - Sì, ci andrò... Sentiremo cos'è... E' meglio sapere la verità . - La gente che la vedeva passare per le strade, trafelata e col cappellino di traverso non sapeva che pensare. Nella piazzetta di Sant'Agata c'era una gran curiosità , come giungevano gli invitati al battesimo in casa Trao, e don Luca il sagrestano che andava e veniva, coi candelieri e gli arnesi sacri sotto il braccio. Speranza ogni momento si affacciava sul ballatoio, scuotendo le sottane, piantandosi i pugni sui fianchi, e si metteva a sbraitare contro quella bambina che le rubava l'eredità del fratello:
- Sarà un battesimo strepitoso! C'è la casa piena... tutta la nobiltà ... Noi soli, no! Non ci andremo... per non fare arrossire i parenti nobili... Non ci abbiamo che vedere, noi!... Nessuno ci ha invitati al battesimo di mia nipote... Si vede che non è sangue nostro...
Anche il vecchio Motta s'era rifiutato, la mattina, allorché Gesualdo era andato a pregarlo di mettere l'acquasanta alla nipotina. Seduto a tavola - stava mangiando un boccone - gli disse di no, levando in su il fiasco che aveva alla bocca. Poi, asciugandosi le labbra col dorso della mano, gli piantò addosso un'occhiataccia.
- Vacci tu al battesimo della tua figliuola. E' affar tuo! Io non son nato per stare fra i signoroni... Voialtri venite a cercarmi soltanto quando avete bisogno di me... per chiudere la bocca alla gente... No, no... quando c'è da guadagnare qualcosa non vieni a cercarmi, tu!... Lo sai? L'appalto della strada... la gabella...
Mastro Nunzio voleva snocciolare la litania dei rimproveri, intanto che ci si trovava. Ma Gesualdo, il quale aveva già la casa piena di gente, e sapeva che non gli avrebbe mai fatto chinare il capo se aveva detto di no, se ne andò colle spalle e il cuore grossi. Non era allegro neppur lui, poveraccio, sebbene dovesse far la bocca ridente ai mirallegro e ai salamelecchi. Però infine con Nanni l'Orbo, più sfacciato, che gli rompeva le tasche chiedendogli i confetti a piè della scala, si sfogò:
- Sì!... Va a vedere!... Va a vedere come s'è storta fin la trave del tetto, ora ch'è nata una bambina in questa casa!
Barabba e il cacciatore della baronessa Mèndola avevano dato una mano a scopare, a spolverare, a rimettere in gambe l'altare sconquassato, chiuso da tant'anni nell'armadio a muro della sala grande che serviva di cappella. La sala stessa era ancora parata a lutto, qual'era rimasta dopo la morte di don Diego, coi ritratti velati e gli alveari coperti di drappo nero torno torno per i parenti venuti al funerale, com'era l'uso nelle famiglie antiche. Don Ferdinando, raso di fresco, con un vestito nero del cugino Zacco che gli si arrampicava alla schiena andava ficcando il naso da per tutto, col viso lungo, le braccia ciondoloni dalle maniche troppo corte, inquieto, sospettoso, domandando a ciascuno:
- Che c'è? Cosa volete fare?
- Ecco vostro cognato, - gli disse la zia Sganci entrando nella sala insieme a don Gesualdo Motta. - Ora dovete abbracciarvi fra di voi, e non tenere in corpo il malumore, con quella creaturina che c'è di mezzo.
- Vi saluto, vi saluto, - borbottò don Ferdinando; e gli voltò le spalle.
Ma gli altri parenti che avevano più giudizio, facevano buon viso a don Gesualdo: Mèndola, i cugini Zacco, tutti quanti. Già i tempi erano mutati; il paese intero era stato sottosopra ventiquattr'ore, e non si sapeva quel che poteva capitare un giorno o l'altro. Oramai, per amore o per forza, mastro-don Gesualdo s'era ficcato nel parentado, e bisognava fare i conti con lu...
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