[Pagina precedente]...he scherzate? O non sapete che voglia dire rivoluzione? Quel che hanno fatto in Francia, capite? Ma voi non leggete la storia...
- No, no, - disse don Gesualdo. - Non me ne importa.
- Me ne importa a me: Rivoluzione vuol dire rivoltare il cesto, e quelli ch'erano sotto salire a galla: gli affamati, i nullatenenti!...
- Ebbene? Cos'ero io vent'anni fa?
- Ma adesso no! Adesso avete da perdere, cristiano santo! Sapete com'è? Oggi vogliono le terre del comune; e domani poi vorranno anche le vostre e le mie! Grazie! grazie tante! Non ho dato l'anima al diavolo tanti anni per...
- Appunto! Bisogna aiutarsi per non andare in fondo al cesto, caro canonico! Bisogna tenersi a galla, se non vogliamo che i villani si servano colle sue mani. Li conosco... so fare, non dubitate.
E spiegò meglio la sua idea: cavar le castagne dal fuoco con le zampe del gatto; tirar l'acqua al suo mulino, e se capitava d'acchiappare anche il mestolo un quarto d'ora, e di dare il gambetto a tutti quei pezzi grossi che non era riescito ad ingraziarsi neppure sposando una di loro, senza dote e senza nulla, tanto meglio...
Gli andarono in quel momento gli occhi su Bianca che stava rincantucciata sul canapè, smorta in viso dalla paura, guardando or questo e or quello, e non osava aprir bocca.
- Non parlo per te, sai. Non me ne pento di quel che ho fatto. Non è stata colpa tua. Tutti i negozi non riescono a un modo. Poi se capita di fare il bene, nel tempo stesso...
Il canonico cominciava a capacitarsi, cogli occhi e la bocca di traverso, pensieroso, e appoggiava anche lui il discorso del socio: - Non si voleva torcere un pelo a nessuno... se si arrivava ad afferrare il mestolo un po' di tempo... quante cose si farebbero...
- Voi dovreste farne una!... - interruppe don Gesualdo. - Parlare con chi ha le mani in questa faccenda, e dire che vogliamo esserci anche noi.
- Eh? Che dite?... un sacerdote!
- Lasciate stare, canonico!... Poi se vi è il figlio del Re, potete esserci anche voi!
- Caspita! Al figlio del Re non gliela tagliano la testa, se mai!
- Non temete, che non ve la tagliano la testa! Già , se è come avete detto, dovrebbero tagliarla a un paese intero. Credete che non abbia fatto i miei conti, in questo tempo?... Quando saremo lì, a veder quel che bolle in pentola... Bisogna mettersi vicino al mestolo... con un po' di giudizio... col denaro... So io quello che dico.
Bianca cominciò allora a balbettare: - Oh Signore Iddio!... Cosa pensate di fare?... Un padre di famiglia!... - Il canonico, indeciso, la guardava turbato, quasi sentisse il laccio al collo. Don Gesualdo per rassicurarlo soggiunse:
- No, no. Mia moglie non sa cosa dice... Parla per soverchia affezione, poveretta. - Poscia, mentre accompagnava il suo socio in anticamera, soggiunse:
- Lo vedete? Comincia ad affezionarmisi. Già i figliuoli sono un gran legame. Speriamo almeno che abbiano ad esser felici e contenti loro; giacché io... Volete che ve la dica, eh, canonico, come in punto di morte? Mi sono ammazzato a lavorare... Mi sono ammazzato a far la roba... Ora arrischio anche la pelle, a sentir voi!... E che ne ho avuto, eh? ditelo voi!...
II
C'era un gran fermento in paese. S'aspettavano le notizie di Palermo. Bomma che teneva cattedra nella farmacia, e Ciolla che sbraitava di qua e di là . Degli arruffapopolo stuzzicavano anche i villani con certi discorsi che facevano spalancare loro gli occhi: Le terre del comune che uscivano di casa Zacco dopo quarant'anni... un prezzo che non s'era mai visto l'eguale!... Quel mastro-don Gesualdo aveva le mani troppo lunghe... Se avevano fatto salire le terre a quel prezzo voleva dire che c'era ancora da guadagnarci su!... Tutto sangue della povera gente! Roba del comune... Voleva dire che ciascuno ci aveva diritto!... Allora tanto valeva che ciascuno si pigliasse il suo pezzetto!
Fu una domenica, la festa dell'Assunta. La sera innanzi era arrivata una lettera da Palermo che mise fuoco alla polvere, quasi tutti l'avessero letta. Dallo spuntare del giorno si vide la Piazza Grande piena zeppa di villani: un brulichìo di berrette bianche; un brontolìo minaccioso. Fra Girolamo dei Mercenari, che era seduto all'ombra, insieme ad altri malintenzionati, sugli scalini dinanzi allo studio del notaro Neri, come vide passare il barone Zacco colla coda fra le gambe, gli mostrò la pistola che portava nel manicone.
- La vedete, signor barone?... Adesso è finito il tempo delle prepotenze!... D'ora innanzi siam tutti eguali!... - Correva pure la voce dei disegni che aveva fatto fra Girolamo: lasciar la tonaca nella cella, e pigliarsi una tenuta a Passaneto, e la figliuola di Margarone in moglie, la più giovane.
Il notaro ch'era venuto a levar dallo studio certe carte interessanti, dovette far di cappello a fra Girolamo per entrare: - Con permesso!... signori miei!... - Poi andò a raggiungere don Filippo Margarone nella piazzetta di Santa Teresa: - Sentite qua; ho da dirvi una parola!... - E lo prese per un braccio, avviandosi verso casa, seguitando a discorrere sottovoce. Don Filippo allibbiva ad ogni gesto che il notaro trinciava in aria; ma si ostinava a dir di no, giallo dalla paura. L'altro gli strinse forte il braccio, attraversando la viuzza della Masera per salire verso Sant'Antonio. - Li vedete? li sentite? Volete che ci piglino la mano, i villani, e ci facciano la festa? - La piazza, in fondo alla stradicciuola, sembrava un alveare di vespe in collera. Nanni l'Orbo, Pelagatti, altri mestatori, eccitatissimi, passavano da un crocchio all'altro, vociferando, gesticolando, sputando fiele. Gli avventori di mastro Titta si affacciavano ogni momento sull'uscio della bottega, colla saponata al mento. Nella farmacia di Bomma disputavasi colle mani negli occhi. Dirimpetto, sul marciapiede del Caffè dei Nobili, don Anselmo il cameriere aveva schierate al solito le seggiole al fresco; ma non c'era altri che il marchese Limòli, col bastone fra le gambe, il quale guardava tranquillamente la folla minacciosa.
- Cosa vogliono, don Anselmo? Che diavolo li piglia oggi? Lo sapete?
- Vogliono le terre del comune, signor marchese. Dicono che sinora ve le siete godute voialtri signori, e che adesso tocca a noi, perchè siamo tutti eguali.
- Padroni! padronissimi! Quanto a me non dico di no! Tutti eguali!... Portatemi un bicchier d'acqua, don Anselmo.
Di tanto in tanto dal Rosario o dalla via di San Giovanni partiva come un'ondata di gente, e un brontolìo più minaccioso, che si propagava in un baleno. Santo Motta allora usciva dall'osteria di Pecu-Pecu, e si metteva a vociare, colla mano sulla guancia:
- Le terre del comune!... Chi vuole le terre del comune!... Uno!... due!... tre!... - E terminava con una sghignazzata.
- Largo!... largo!... - La gente correva verso la Masera. Al disopra della folla si vide il baronello Rubiera colla frusta in aria, e la testa del suo cavallo che sbuffava spaventato. Il campiere che gli stava alle costole, armato sino ai denti, gridava come un ossesso: - Signor barone!... Questa non è giornata!... Oggi ci vuol prudenza!... - Dalla parte di Sant'Agata comparve un momento anche il signor Capitano, per intimorire la folla ammutinata colla sua presenza. Si piantò in cima alla scalinata, appoggiato alla canna d'India, don Liccio Papa dietro, che ammiccava al sole, con tanto di tracolla bianca attraverso la pancia. Ma vedendo quel mare di teste se la svignarono subito tutti e due. Alle finestre facevano capolino dei visi inquieti, dietro le invetriate, quasi piovesse. Il palazzo Sganci chiuso ermeticamente, e don Giuseppe Barabba appollaiato sull'abbaino. Lo stesso Bomma aveva sfrattato gli amici prima del solito, per timore dei vetri. Di tanto in tanto, nel terrazzo dei Margarone, al disopra dei tetti che si accavallavano verso il Castello, compariva la papalina e la faccia gialla di don Filippo. A mezzogiorno, appena suonò la messa grande, ciascuno se ne andò pei fatti suoi; e rimase solo a vociare Santo Motta, nella piazza deserta.
- Avete visto com'è andata a finire? - Ciolla corse a desinare lui pure. Don Liccio Papa, adesso che non c'era più nessuno, si fece vedere di nuovo per le vie, con la mano sulla sciaboletta, guardando fieramente gli usci chiusi. Infine entrò da Pecu-Pecu, e si posero a tavola con compare Santo.
- Avete visto com'è andata a finire? - Ciolla soleva desinare in fretta e in furia col cappello in testa e il bastone fra le gambe, per tornar subito in piazza a mangiar l'ultimo boccone, portandosi in tasca una manciata di lupini o di ceci abbrustoliti, d'inverno anche con lo scaldino sotto il tabarro, bighellonando, dicendo a ciascuno la sua, sputacchiando di qua e di là , seminando il terreno di bucce. - Avete visto com'è andata a finire? - Faceva la prima tappa dal calzolaio, poi dal caffettiere, appena apriva, senza prendere mai nulla, girava a seconda dell'ombra, d'inverno in senso inverso, cercando il sole. E le cose tornarono ad andare pel suo verso, al pari di Ciolla. Giacinto mise fuori i tavolini pei sorbetti, don Anselmo schierò le seggiole sul marciapiede del Caffè dei Nobili. Rimanevano le ultime nuvole del temporale: dei capannelli qua e là , dinanzi alla bottega di Pecu-Pecu e al Palazzo di Città ; gente che guardava inquieta, curiosi che correvano e si affollavano al più piccolo rumore. Ma del resto ogni cosa aveva ripreso l'aspetto solito delle domeniche. L'arciprete Bugno che stava un'ora a leccare il sorbetto col cucchiarino; il marchese e gli altri nobili seduti in fila dinanzi al Caffè; Bomma predicando in mezzo al solito circolo, sull'uscio della farmacia; uno sciame di contadini un po' più in là , alla debita distanza; e ogni dieci minuti la vecchia berlina del barone Mèndola che scarrozzava la madre di lui, sorda come una talpa, dal Rosario a Santa Maria di Gesù: le orecchie pelose e stracche delle mule che ciondolavano fra la folla, il cocchiere rannicchiato a cassetta, colla frusta fra le gambe, accanto al cacciatore gallonato, colle calze di bucato che sembravano imbottite di noci, e le piume gialle del cappellone della baronessa che passavano e ripassavano su quell'ondeggiare di berrette bianche.
Tutt'a un tratto accadde un fuggi fuggi: una specie di rissa dinanzi all'osteria. Don Liccio Papa cercava d'arrestare Santo Motta, perché aveva gridato la mattina; e il capitano l'incitava da lontano, brandendo la canna d'India: - Ferma! ferma!... la giustizia!
Ma Santo si liberò con uno spintone, e prese a correre verso Sant'Agata. La folla fischiava ed urlava dietro allo sbirro che tentava d'inseguirlo. - Ahi! ahi! - disse Bomma ch'era salito su di una sedia per vedere. - Se non rispettano più l'autorità !... - Tavuso gli fece segno di tacere, mettendosi l'indice attraverso la bocca. - Sentite qua, don Bastiano! - E si misero a discorrere sottovoce, tirandosi in disparte. Dalla Maddalena scendeva lemme lemme il notaro, col bastone dietro la schiena. Bomma cominciò a fargli dei segni da lontano; ma il notaro finse di non accorgersene; accennò al Capitano che s'avviava verso il Collegio, ed entrò in chiesa anche lui dalla porta piccola. Il Capitano passando dinanzi alla farmacia fulminò i libertini di un'occhiataccia, e borbottò, rivolto al principale:
- Badate che avete moglie e figliuoli!...
- Sangue di!... corpo di!... - voleva mettersi a sbraitare il farmacista. In quel momento suonava la campanella della benedizione, e quanti erano in piazza s'inginocchiarono. Poco dopo, Ciolla, che ingannava il tempo sgretolando delle fave abbrustolite, seduto dinanzi alla bottega del sorbettiere vide una cosa che gli fece drizzar le orecchie: il notaro Neri che usciva di chiesa insieme al canonico Lupi, e risalivano verso la Maddalena, passo passo, discorrendo sottovoce. Il notaro scrollava le spalle, guardando sottecchi di qua e di là . Ciolla tentò di unirsi a loro, ma essi lo piantarono lì. Bomma, da lontano, non li perdeva di vista dimenando il capo.
- Badate a quel che fate!... Pensate alla vostra pelle! - gli disse il Capitano passandogli di nuovo accanto.
- Becco!.....
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