[Pagina precedente]...r tutti... Non ti lascerei in mezzo a una strada, ti dico!... La coscienza mi dice di no... Ti cercherei un marito...
- Oh... quanto a me... don Gesualdo!...
- Sì, sì, bisogna maritarti!... Sei giovane, non puoi rimaner così... Non ti lascerei senza un appoggio... Ti troverei un buon giovane, un galantuomo... Nanni l'Orbo, guarda! Ti darei la dote...
- Il Signore ve lo renda...
- Son cristiano! son galantuomo! Poi te lo meriti. Dove andresti a finire altrimenti?... Penserò a tutto io. Ho tanti pensieri pel capo!... e questo cogli altri!... Sai che ti voglio bene. Il marito si trova subito. Sei giovane... una bella giovane... Sì, sì, bella!... lascia dire a me che lo so! Roba fine!... sangue di barone sei, di certo!...
Ora la pigliava su di un altro tono, col risolino furbo e le mani che gli pizzicavano. Le stringeva con due dita il ganascino. Le sollevava a forza il capo, che ella si ostinava a tener basso per nascondere le lagrime.
- Già per ora son discorsi in aria... Il bene che voglio a te non lo voglio a nessuno, guarda!... Su quel capo adesso, sciocca!... sciocca che sei!...
Come vide che seguitava a piangere, testarda, scappò a bestemmiare di nuovo, simile a un vitello infuriato.
- Santo e santissimo! Sorte maledetta!... Sempre guai e piagnistei!...
V
Masi, il garzone, corse a svegliare don Gesualdo prima dell'alba, con una voce che faceva gelare il sangue nelle vene:
- Alzatevi, vossignoria; ch'è venuto il manovale da Fiumegrande e vuole parlarvi subito!...
- Da Fiumegrande?... a quest'ora?... - Mastro-don Gesualdo andava raccattando i panni tastoni, al buio, ancora assonnato, con un guazzabuglio nella testa. Tutt'a un tratto gridò:
- Il ponte!... Deve essere accaduta qualche disgrazia!... - Giù nella stalla trovò il manovale seduto sulla panchetta, fradicio di pioggia, che faceva asciugare i quattro cenci a una fiammata di strame. Appena vide giungere il padrone, cominciò a piagnucolare di nuovo:
- Il ponte!... Mastro Nunzio, vostro padre, disse ch'era ora di togliere l'armatura!... Nardo vi è rimasto sotto!...
Era un parapiglia per tutta la casa: Speranza, la sorella, che scendeva a precipizio, intanto che suo marito s'infilava le brache; Santo, ancora mezzo ubbriaco, ruzzoloni per la scaletta della botola, urlando quasi l'accoppassero. Il manovale, a ciascuno che capitava, tornava a dire:
- Il ponte!... l'armatura!... Mastro Nunzio dice che fu il cattivo tempo!...
Don Gesualdo andava su e giù per la stalla, pallido, senza dire una parola, senza guardare in viso nessuno, aspettando che gl'insellassero la mula, la quale spaventata anch'essa sparava calci, e Masi dalla confusione non riusciva a mettergli il basto. A un certo punto gli andò coi pugni sul viso, cogli occhi che volevano schizzargli dall'orbita.
- Quando? santo e santissimo!... Non la finisci più, peste che ti venga!
- Colpa vostra! Ve l'avevo detto! Non sono imprese per noialtri! - sbraitava la sorella in camicia, coi capelli arruffati, una furia tale e quale! Massaro Fortunato, più calmo, approvava la moglie, con un cenno del capo, silenzioso, seduto sulla panchetta, simile a una macina di mulino. - Voi non dite nulla! state lì come un allocco!
Adesso Speranza inveiva contro suo marito: - Quando si tratta d'aiutar voi, che pure siete suo cognato!... carico di figliuoli anche!... allora saltano fuori le difficoltà !... denari non ce ne sono!... i denari che si son persi nel ponte della malora!
Gesualdo da principio si voltò verso di lei inviperito, colla schiuma alla bocca. Poscia mandò giù la bile, e si mise a canterellare mentre affibbiava la testiera della mula: un'allegria che gli mangiava il fegato. Si fece il segno della croce, mise il piede alla staffa; infine di lassù, a cavallo, che toccava quasi il tetto col capo, sputò fuori il fatto suo, prima d'andarsene:
- Avete ragione! M'ha fatto fare dei bei negozi, tuo marito! La semenza che abbiamo buttato via a Donninga! La vigna che m'ha fatto piantare dove non nasce neppure erba da pascolo!... Testa fine tuo marito!... M'è toccato pagarle di tasca mia le vostre belle speculazioni! Ma son stanco, veh, di portare la soma! L'asino quand'è stanco si corica in mezzo alla via e non va più avanti...
E spronò la mula, che borbottava ancora; la sorella sbraitandogli dietro, dall'uscio della stalla, finché si udirono i ferri della cavalcatura sui ciottoli della stradicciuola, nel buio. Il manovale si mise a correre, affannato, zoppicando; ma il padrone, che aveva la testa come un mulino, non se ne avvide. Soltanto allorché furono giunti alla chiusa del Carmine, volse il capo all'udire lo scalpiccìo di lui nella mota, e lo fece montare in groppa. Il ragazzo, colla voce rotta dall'andatura della mula, ripeteva sempre la stessa cosa:
- Mastro Nunzio disse che era tempo di togliere l'armatura... Era spiovuto dopo il mezzogiorno... - No, vossignoria, disse mastro Nardo; lasciamo stare ancora sino a domani... - Disse mastro Nunzio: - tu parli così per papparti un'altra giornata di paga... - Io intanto facevo cuocere la minestra per gli uomini... Dal monte si udiva gridare: "La piena! cristiani!..." Mentre Nardo stava sciogliendo l'ultima fune...
Gesualdo, col viso al vento, frustato dalla burrasca, spronava sempre la mula colle calcagna, senza aprir bocca. - Eh?... Che dite, don Gesualdo?... Non rispondete?... - Che non ti casca mai la lingua? - rispose infine il padrone.
Cominciava ad albeggiare prima di giungere alla Torretta.
Un contadino che incontrarono spingendo innanzi l'asinello, pigliandosi l'acquazzone sotto la giacca di cotonina, col fazzoletto in testa e le mani nelle tasche, volle dire qualche cosa; accennava laggiù, verso il fiume, mentre il vento si portava lontano la voce. Più in là una vecchierella raggomitolata sotto un carrubbio si mise a gridare:
- Non potete passare, no!... Il fiume!... badate!...
In fondo, nella nebbia del fiume e della pioggia, si scorgeva confusamente un enorme ammasso di rovine, come un monte franato in mezzo al fiume, e sul pilone rimasto in piedi, perduto nella bruma del cielo basso, qualcosa di nero che si muoveva, delle braccia che accennavano lontano. Il fiume, di qua e di là dei rottami, straripava in larghe pozze fangose. Più giù, degli uomini messi in fila, coll'acqua fino al ginocchio, si chinavano in avanti tutti in una volta, e poi tiravano insieme, con un oooh! che sembrava un lamento.
- No! no! - urlavano i muratori trattenendo pel braccio don Gesualdo. - Che volete annegarvi, vossignoria?
Egli non rispondeva, nel fango sino a mezza gamba, andando su e giù per la riva corrosa, coi capelli che gli svolazzavano al vento. Mastro Nunzio, dall'alto del pilone, gli gridava qualche cosa: delle grida che le raffiche gli strappavano di bocca e sbrindellavano lontano.
- Che ci fate adesso lassù?... State a piangere il morto? Lasciate... lasciate andare! - gli rispose Gesualdo dalla riva. Il rumore delle acque si mangiò anche le sue parole furiose. Il vecchio, in alto, nella nebbia, accennava sempre di no, testardo. Dell'altra gente gridava anche dalla riva opposta, sotto gli ombrelloni d'incerata, senza potere farsi intendere, indicando verso il punto dove gli uomini tiravano in salvo delle travi. A seconda del vento giungevano pure di lassù, donde veniva la corrente, delle voci che sembravano cadere dal cielo, delle grida disperate, e un suono di corno rauco.
Gesualdo, curvo sotto l'acquazzone, sfangando sulla riva, aiutava a tirare in salvo i legnami dell'armatura che la corrente furiosa seguitava a scuotere e a sfasciare. - A me!... santo Dio!... non vedete che si porta anche quelli?... - A un certo punto barcollò e stava per affondare nella melma spumosa che dilagava.
- Santo diavolone! Che volete lasciarvi anche la pelle? - urlò il capomastro afferrandolo pel bavero. - Un altro po' strascinate me pure alla perdizione!
Egli, pallido come un morto, cogli occhi stralunati, i capelli irti sul capo, quasi colla schiuma alla bocca, rispondeva:
- Lasciatemi crepare! A voi non ve ne importa!... Dite così perché voi non ci avete il sangue vostro in mezzo a quell'acqua!... Lasciatemi crepare!
Mastro Nunzio, vedendo smaniare a quel modo il suo figliuolo, voleva buttarsi a capo fitto giù nella corrente addirittura: - Per non stare a sentir lui!... Adesso mi dirà ch'è tutta colpa mia!... vedrete!... Non son padrone di muovere un dito in casa mia... Sono padrone da burla... Allora è meglio finirla in una volta!... - E andava tentando l'acqua col piede.
- Sentite! - interruppe il figliuolo con voce sorda. - Lasciatemi in pace anche voi! Io v'ho lasciato fare, voi! Avete voluto che prendessi l'appalto del ponte... per non stare in ozio... Vedete com'è andata a finire!... E bisogna tornare da capo, se non voglio perdere la cauzione... Potevate starvene quieto e tranquillo a casa... Che vi facevo mancare?... Lasciatemi in pace almeno. Tanto, voi non ci avete perso nulla...
- Ah! Non ci ho perso nulla?... Sapevo bene che glielo avresti rinfacciato... a tuo padre!... Già non conto più nulla io! Non so far più nulla!... Ti ho fatto quel che sei!... Come se non fossi il capo di casa!... come se non conoscessi il mio mestiere!...
- Ah!... il vostro mestiere?... perché avevate la fornace del gesso?... e mi è toccato ricomprarvela due volte anche!... vi credete un ingegnere!... Ecco il bel mestiere che sapete fare!...
Mastro Nunzio guardò infuriato il suo figliuolo, annaspando, agitando le labbra senza poter proferire altre parole, strabuzzando gli occhi per tornare a cercare il posto migliore da annegarsi, e infine brontolò:
- E allora perché mi trattieni?... Perché non vuoi che mi butti nel fiume? perché?
Gesualdo cominciò a strapparsi i capelli, a mordersi le braccia, a sputare in cielo. Poscia gli si piantò in faccia disperato, scuotendogli le mani giunte dinanzi al viso.
- Per l'amor di Dio!... per l'anima di mia madre!... con questo po' di tegola che m'è cascata fra capo e collo... capite che non ho voglia di scherzare adesso!...
Il capomastro si intromise per calmarli. - Infine quel ch'è stato è stato. Il morto non torna più. Colle chiacchiere non si rimedia a nulla. Piuttosto venite ad asciugarvi tutti e due, che arrischiate di pigliare un malanno per giunta, così fradici come siete.
Avevano acceso un gran fuoco di giunchi e di legna rotte, nella capanna. Pezzi di travi su cui erano ancora appiccicate le immagini dei santi che dovevano proteggere il ponte, buon'anima sua! Mastro Nunzio, il quale perdeva anche la fede in quella disdetta, ci sputò sopra un paio di volte, col viso torvo. Tutti piangevano e si fregavano gli occhi dal fumo, intanto che facevano asciugare i panni umidi. In un canto, sotto quelle quattro tegole rotte, era buttato Nardo, il manovale che s'era rotta la gamba, sudando e spasimando. Volle mettere anch'egli una buona parola nel malumore fra padre e figlio:
- Il peggio è toccato a me; - si lamentò, - che ora rimango storpio e non posso più buscarmi il pane.
Uno dei suoi compagni, vedendo che non poteva muoversi, gli ammucchiò un po' di strame sotto il capo. Mastro Nunzio, sull'uscio, coi pugni rivolti al cielo, lanciava fuoco e fiamme.
- Giuda Iscariota! Santo diavolone! Doveva venire adesso questa grazia di Dio!...
Ciascheduno diceva la sua. Dei vicini, venuti per vedere; dei viandanti che volevano passare il fiume, e aspettavano, al riparo, con la schiena alla fiammata.
- Evviva voi! Avete fatto un bel lavoro! Tanti denari spesi! I denari del comune!... Ora ci tocca aspettare chissà quanto, prima di vedere un altro ponte... O com'era fatto, di ricotta?
- Questi altri, adesso!... Arrivate giusto nel buon momento!... Volete che faccia scendere Dio e i santi di lassù?...- sbraitava mastro Nunzio.
Gesualdo, lui, non diceva nulla, con la faccia color di terra, seduto su di un sasso, le mani fra le cosce, penzoloni. Quindi prese a sfogarsi col manovale.
- Guarda quella carogna! Mi lascia fuori la mula, con questo tempo! Poltronaccio! Nemico del tuo padrone!
- Non vi disperate, vossignoria! - piagnucolò...
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