[Pagina precedente]...i. Tutti perciò volevano vedere la bambina - un fiore, una rosa di maggio. - La zia Rubiera abbracciava Bianca, come una mamma che abbia ritrovata la sua creatura, asciugandosi gli occhi col fazzoletto diventato una spugna.
- No! Non ho peli sullo stomaco!... Non mi pareva vero, dopo d'averti allevata come una figliuola!... Sono una bestia... Son rimasta una contadina... tale e quale mia madre, buon'anima... col cuore in mano...
Bianca tutta adornata sotto il baldacchino del lettone, pallida che sembrava di cera, sbalordita da tutta quella ressa, non sapeva che rispondere, guardava la gente, stralunata, cercava di abbozzare qualche sorriso, balbettando. Suo marito invece faceva la sua parte in mezzo a tutti quegli amici e parenti e mirallegro, col viso aperto e giulivo, le spalle grosse e bonarie, l'orecchio teso a raccogliere i discorsi che si tenevano intorno a lui e dietro le sue spalle. La zia Cirmena, infatuata, rispondeva a coloro che auguravano la nascita di un bel maschiotto, più tardi, che già le femmine sono come la gramigna, e vi scopano poi la casa del bello e del buono per andare a maritarsi...
- Eh... i figliuoli bisogna pigliarseli come Dio li manda, maschi o femmine... Se si potesse andare a sceglierli al mercato... A don Gesualdo non gli mancherebbero i denari per comprare il maschio.
- Non me ne parlate! - interruppe alla fine la zia Rubiera - Non sapete quel che costino i maschi!... Quanti dispiaceri! Lo so io!...
E continuò a sfogarsi all'orecchio di Bianca, accesa sbirciando di sottecchi don Gesualdo per vedere quel che ne dicesse. Don Gesualdo non diceva nulla. Bianca invece, cogli occhi chini, si faceva di mille colori.
- Non lo riconosco più, no!... nemmeno io che l'ho fatto!... Ti rammenti, che figliuol d'oro?... docile, amoroso, ubbidiente... Adesso si rivolterebbe anche a sua madre, per quella donnaccia forestiera... una commediante, la conosci? Dicono che ha i denti e i capelli finti... Deve avergli fatta qualche malìa! Commediante e forestiera, capisci!... lui non ci vede più dagli occhi... Spende l'osso del collo... La gente cattiva... i birboni anche l'aiutano... Ma io non pago, no!... Oh, questo poi, no!
- Zia! - balbettò Bianca con tutto il sangue al viso.
- Che vuoi farci? E' la mia croce! Se sapevo tanto piuttosto...
Don Gesualdo badava a chiacchierare col cugino Zacco, tutti e due col cuore in mano, amiconi. La baronessa allora spiattellò la domanda che le bolliva dentro:
- E' vero che tuo marito gli presta dei denari... sottomano?... L'hai visto venire qui, da lui?... Di', che ne sai?
- Certo, certo, - rispose in quel punto don Gesualdo. - I figliuoli bisogna pigliarseli come vengono. - Zacco a conferma mostrò le sue ragazze, schierate in fila come tante canne d'organo, modeste e prosperose. - Ecco! io ho cinque figliuole, e voglio bene a tutte egualmente!
- Sicuro! - rispose Limòli. - E' per questo che non volete maritarle.
Donna Lavinia, la maggiore, volse indietro un'occhiata brutta. - Ah, siete qui? - disse il barone. - Siete sempre presente come il diavolo nelle litanie, voi!
Il marchese, che doveva essere il padrino, si era messa la croce di Malta. Don Luca venne a dire che il canonico era pronto, e le signore passarono in sala, con un gran fruscìo di seta, dietro donna Marianna la quale portava la bambina. Dall'uscio aperto vedevasi un brulichìo di fiammelle. Don Ferdinando, in fondo al corridoio, fece capolino, curioso. Bianca dalla tenerezza piangeva cheta cheta. Suo marito ch'era rimasto ginocchioni, come gli aveva detto la Macrì, col naso contro il muro, si alzò per calmarla.
- Zitta... Non ti far scorgere!... Dinanzi a coloro bisogna far buon viso...
Tutt'a un tratto scoppiò giù in piazza un crepitìo indiavolato di mortaletti. Don Ferdinando fuggì via spaventato. Gli altri che assistevano al battesimo corsero al balcone coi ceri in mano. Persino il canonico in cotta e stola. Era Santo, il fratello di don Gesualdo, il quale festeggiava a quel modo il battesimo della nipotina, scamiciato, carponi per terra, colla miccia accesa. Don Gesualdo aprì la finestra per dirgli un sacco di male parole:
- Bestia!... Ne fai sempre delle tue!... Bestia!...
Gli amici lo calmarono: - Poveraccio... lasciatelo fare. E' un modo d'esprimere la sua allegria...
La zia Sganci trionfante gli mise sulle braccia la figliuola:
- Eccovi Isabella Trao!
- Motta e Trao! Isabella Motta e Trao! - corresse il marchese. Zacco soggiunse ch'era un innesto. Le due famiglie che diventavano una sola. Però don Gesualdo tenendo la bambina sulle braccia rimaneva alquanto imbroncito. Intanto don Luca, aiutato da Barabba e dal cacciatore, serviva le granite e i dolci. La zia Cirmena, che aveva portato seco apposta il nipotino La Gurna, gli riempiva le tasche e il fazzoletto. Le Zacco invece, poiché la maggiore, contegnosa, non aveva preso nulla, dissero tutte di no, una dopo l'altra, mangiandosi il vassoio cogli occhi. Don Luca incoraggiava a prendere dicendo:
- E' roba fresca. Sono stato io stesso ad ordinarla a Santa Maria e al Collegio. Non s'è guardato a spesa.
- Diavolo! - disse Zacco, che cercava l'occasione di mostrarsi amabile. - Diavolo! Vorrei vedere anche questa!... - Gli altri facevano coro. - Ecco che risorgeva casa Trao. Voleri di Dio. Quella bambina stessa che aveva voluto nascere nella casa materna. Il canonico Lupi arrivò anche a congratularsi col marchese Limòli il quale aveva pensato al mezzo di non lasciare estinguere il casato alla morte di don Ferdinando.
- Sicuro, sicuro, - borbottò don Gesualdo. - Era già inteso... V'avevo detto di sì allora... Quando ho detto una parola...
E andò a deporre la figliuola fra le braccia della moglie che le zie si rubavano a vicenda. La baronessa Mèndola voleva sapere cosa dicessero. Zacco, premuroso, venne a chiedere dei confetti per don Ferdinando a cui nessuno aveva pensato.
- Sicuro, sicuro. E' il padrone di casa.
- Vedete? - osservò la zia Rubiera. - A quest'ora c'è già pel mondo chi deve portarvi via la figliuola e la roba.
Scoppiarono delle risate. Donna Agrippina torse la bocca e chinò a terra gli occhioni che dicevano tante cose, quasi avesse udito un'indecenza. Don Gesualdo rideva anche lui, faceva buon viso a tutti. Alla fine arrischiò anche una barzelletta:
- E quando si marita vi lascia anche il nome dei Trao... La dote, no, non ve la lascia!...
La Rubiera che stimò il momento propizio, e non voleva perdere l'occasione, lo tirò a quattr'occhi vicino al letto, mentre si udivano in fondo al corridoio Mèndola e don Ferdinando i quali litigavano ad alta voce, e tutti corsero a vedere.
- Sentite don Gesualdo; io non ho peli sulla lingua. Volevo parlarvi di quello scapestrato di mio figlio. Aiutami tu, Bianca.
- Io, zia?...
- Scusatemi, io so parlare col cuore in mano... tale e quale come m'ha fatta mia madre... Ora che siete padre anche voi, don Gesualdo capirete quel che devo averci in cuore... che spina... che tormento!...
Guardava ora la nipote ed ora suo marito cogli occhi acuti, col sorriso semplice e buono che le avevano insegnato i genitori pei negozi spinosi. Don Gesualdo stava a sentire tranquillamente. Bianca, imbarazzata da quell'esordio, colla figliuoletta in grembo, sembrava una statua di cera.
- Saprete le chiacchiere che corrono, di Ninì con quella comica? Bene. Di ciò non mi darei pensiero. Non è la prima e l'ultima. Suo padre, buon'anima, era fatto anch'esso così. Ma sinora gli ho impedito di commettere qualche sciocchezza. Adesso però ci sono di mezzo i birboni, i cattivi compagni... Senti, Bianca, io, la mia figliuola, non l'avrei data da battezzare a quel canonico lì!...
Bianca, sbigottita, muoveva le labbra smorte senza arrivare a trovar parole. Don Gesualdo invece aveva fatto la bocca a riso, come la baronessa scappò in quell'osservazione. Essa, udendo che tornava gente, gli domandò infine apertamente:
- Ditemi la verità. V'ha fatto chiedere del denaro in prestito, eh?... Gliene avete dato?
Don Gesualdo rideva più forte. Poi vedendo che la baronessa diveniva rossa come un peperone, rispose:
- Scusate... scusate... Se mai... Perché non lo domandate a lui?... Questa è bella!... Io non sono il confessore di vostro figlio...
Mèndola irruppe nella camera narrando fra le risate la scena che aveva avuta con quell'orso di don Ferdinando il quale non voleva venire a far la pace col cognato. La Rubiera, senza dir altro, asciugavasi le labbra col fazzoletto ancora appiccicoso di dolciume, mentre i parenti toglievano commiato. Nell'andarsene ciascuno aveva una parola d'elogio sul modo in cui erano andate le cose. Donna Marianna diceva alla Rubiera sottovoce che aveva fatto bene a venire anche lei, per non dar nell'occhio, per far tacere le male lingue... L'altra rispose con un'occhiataccia che donna Agrippina colse al volo:
- M'è giovata assai! Serpi sono! Non vi dico altro. Ci siam messa la vipera nella manica!... Vedrete poi...
Don Gesualdo, rimasto solo colla moglie tracannò di un fiato un gran bicchiere di acqua fresca, senza dir nulla. Bianca disfatta in viso, quasi fosse per sentirsi male, seguiva ogni suo movimento con certi occhi che sembravano spaventati, stringendo al seno la bambina.
- Te', vuoi bere? - disse lui. - Devi aver sete anche tu.
Ella accennò di sì. Ma il bicchiere le tremava talmente nelle mani che si versò tutta l'acqua addosso.
- Non importa, non importa, - aggiunse il marito. - Adesso nessuno ci vede.
E si mise ad asciugare il lenzuolo col fazzoletto. Poi tolse in braccio la bambina che vagiva, ballottandola per farla chetare, portandola in giro per la camera.
- Hai visto, eh, che gente? che parenti affezionati? Ma tuo marito non se lo mettono in tasca, no.
Fuori, nella piazza, tutti i vicini erano affacciati per vedere uscire gli invitati. Alla finestra dei Margarone, laggiù in fondo, al di sopra dei tetti, c'era pure dell'altra gente che faceva capolino ogni momento. La Rubiera cominciò a salutare da lontano, col ventaglio, col fazzoletto, mentre discorreva col marchese Limòli, talmente accesa che sembrava volessero accapigliarsi.
- Razze di serpi, sono! Cime di birbanti! Se lo mangiano in un boccone quello scomunicato di mio figlio!... Ma prima l'ha da fare con me! Sentite, accompagnatemi un momento dai Margarone... E' un pezzo che non ci vediamo... Infine non è un motivo per romperla con dei vecchi amici... una ragazzata... Voi siete un uomo ammodo... e alle volte... una parola a proposito...
Venne ad aprire donna Giovannina con tanto di muso. Si vedeva in fondo l'uscio del salotto buono spalancato; tolte le fodere ai mobili. Un'aria di cerimonia insomma.
- Che c'è? - chiese il marchese entrando. - Cosa accade?
- Io non so nulla! - esclamò donna Giovannina la quale sembrava sul punto di scoppiare a piangere. - Ci sarà gente di là, credo; ma io non ne so nulla.
- Povera bambina! povera bambina! - Il marchese indugiava in anticamera, accarezzando la ragazza. Le aveva preso con due dita il ganascino da canonico, ammiccando con malizia, guardandosi intorno per dirle sottovoce:
- Che vuoi farci? Pazienza! Chi primo nasce primo pasce. Ci sarà donna Fifì, colla mamma, a ricevere le visite, eh? Don Bastiano, eh? il Capitan d'Arme?...
Don Bastiano infatti era lì, nel salotto, vestito in borghese, con abiti nuovi fiammanti che gli rilucevano addosso, raso di fresco, seduto sul canapè accanto alla mamma Margarone, come uno sposo, facendo scivolare di tanto in tanto un'occhiata languida e sentimentale verso la ragazza, lisciandosi i baffoni novelli che non volevano piegarsi. Donna Fifì, al vedere giungere la Rubiera, si ringalluzzì, superbiosa, tubando sottomano col forestiero per farle dispetto.
- Oh, oh, - disse il marchese, salutando don Bastiano ch'era rimasto un po' grullo. - Siete ancora qui? Bene! bene!
Ed incominciò a discorrere col capitano, intanto che le signore chiacchieravano tutte in una volta, domandandogli perché la Compagnia d'Arme fosse partita senza di lui, se aveva intenzione di fermarsi un pezzetto, se era contento del paese e voleva lasciare le spallin...
[Pagina successiva]