[Pagina precedente]...orrer dietro al notaio per accomodare la faccenda e placare il signor genero a furia di denari. Fu un gran colpo pel poveretto. Tacque alla moglie il vero motivo, per non affliggerla inutilmente; tenne tutto per sè; ma non si dava pace; parevagli che la gente lo segnasse a dito; sentivasi montare il sangue al viso quando ci pensava, da solo, o anche se incontrava quell'infame della Cirmena. Lui era un villano; non c'era avvezzo a simili vergogne! Intanto la figlia duchessa gli costava un occhio. Prima di tutto le terre della Canziria, d'Alìa e Donninga che le aveva assegnato in dote, e gli facevano piangere il cuore ogni qualvolta tornava a vederle, date in affitto a questo e a quello, divise a pezzi e bocconi dopo tanti stenti durati a metterle insieme, mal tenute, mal coltivate, lontane dall'occhio del padrone, quasi fossero di nessuno. Di tanto in tanto gli arrivavano pure all'orecchio altre male nuove che non gli lasciavano requie, come tafani, come vespe pungenti; dicevasi in paese che il signor duca vi seminasse a due mani debiti fitti al pari della grandine, la medesima gramigna che devastava i suoi possessi e si propagava ai beni della moglie peggio delle cavallette. Quella povera Canziria che era costata tante fatiche a don Gesualdo, tante privazioni, dove aveva sentito la prima volta il rimescolìo di mettere nella terra i piedi di padrone! Donninga per cui si era tirato addosso l'odio di tutto il paese! le buone terre dell'Alìa che aveva covato dieci anni cogli occhi, sera e mattina, le buone terre al sole, senza un sasso, e sciolte così che le mani vi sprofondavano e le sentivano grasse e calde al pari della carne viva... tutto, tutto se ne andava in quella cancrena! Come Isabella aveva potuto stringere la penna colle sue mani, e firmare tanti debiti? Maledetto il giorno in cui le aveva fatto imparare a scrivere! Sembravagli di veder stendere l'ombra delle ipoteche sulle terre che gli erano costate tanti sudori, come una brinata di marzo, peggio di un nebbione primaverile, che brucia il grano in erba. Due o tre volte, in circostanze gravi, era stato costretto a lasciarsi cavar dell'altro sangue. Tutti i suoi risparmi se ne andavano da quella vena aperta, le sue fatiche, il sonno della notte, tutto. E pure Isabella non era felice. L'aveva vista in tale stato, nella villa sontuosa di Carini! Indovinava ciò che doveva esserci sotto, quando essa scriveva delle lettere che gli mettevano addosso la febbre, l'avvelenavano coll'odore sottile di quei foglietti stemmati, lui che aveva fatto il cuoio duro anche alla malaria. Il signor duca invece trattava simili negozi per mezzo del notaro Neri - poichè non erano il suo forte. - E alla fine, quando mastro-don Gesualdo s'impennò sul serio, sbuffando, recalcitrando, gli fece dire:
- Si vede che mio suocero, poveretto, non sa quel che ci vuole a mantenere la figliuola col decoro del nome che porta...
- Il decoro?... Io me ne lustro gli stivali del decoro! Io mangio pane e cipolle per mantenere il lustro della duchea! Diteglielo pure al signor genero! In pochi anni s'è mangiato un patrimonio!
Fu un casa del diavolo. Donna Bianca, la quale era assai malandata, e sputava sangue ogni mattina, fece una ricaduta che in quindici giorni la condusse in fin di vita. Nel paese ormai si sapeva ch'era tisica: tutti così quei Trao! una famiglia che si estingueva per esaurimento, diceva il medico. Soltanto il marito, ch'era sempre fuori, in faccende, occupato dai suoi affari, con tanti pensieri e tanti guai per la testa, si lusingava di farla guarire appena avrebbe potuto condursela a Mangalavite, in quell'aria balsamica che avrebbe fatto risuscitare un morto. Essa sorrideva tristamente e non diceva nulla.
Era ridotta uno scheletro, docile e rassegnata al suo destino, senza aspettare o desiderare più nulla. Soltanto avrebbe voluto rivedere la figliuola. Suo marito glielo aveva anche promesso. Ma siccome erano in dissapore col genero non ne aveva più parlato. Isabella prometteva sempre di venire, da un autunno all'altro, ma non si decideva mai, come avesse giurato di non metterci più i piedi in quel paese maledetto, e se lo fosse tolto dal cuore interamente. A misura che le mancavano le forze, Bianca sentiva dileguare anche quella speranza, come la vita che le sfuggiva, e sfogavasi a ruminare dei progetti futuri, vaneggiando, accendendosi in viso delle ultime fiamme vitali, con gli occhi velati di lagrime che volevano sembrare di tenerezza ed erano di sconforto: - Farò questo! farò quell'altro! - Faceva come quegli uccelletti in gabbia i quali provano il canto della primavera che non vedranno. Il letto le mangiava le carni; la febbre la consumava a fuoco lento. Adesso, quand'era presa dalla tosse, si metteva ad ansare, sfinita, colla bocca aperta, gli occhi smaniosi in fondo alle occhiaie che sembravano fonde fonde, brancicando colle povere braccia stecchite quasi volesse afferrarsi alla vita.
- Bene! - sospirò infine don Gesualdo che vedeva la moglie in quello stato. - Farò anche questa!... Pagherò anche stavolta perché il signor duca ti faccia rivedere la figliuola!... Già son fatto per portare il carico...
Il medico andava e veniva; provava tutti i rimedi, tutte le sciocchezze che leggeva nei suoi libracci; c'era un conto spaventoso aperto dal farmacista. - Almeno giovassero a qualche cosa! - brontolava don Gesualdo. - Io non guardo ai denari spesi per mia moglie; ma voglio spenderli perché le giovino e le si veggano in faccia... non già per provare i medicamenti nuovi come all'ospedale!... Ora che si sono messi in testa ch'io sia ricco, ciascuno se ne giova pei suoi fini...
La prima volta però che s'arrischiò a fare velatamente queste lagnanze allo stesso medico, Saleni, un altro dottorone ch'era peggio di Tavuso, buon'anima, gli piantò in faccia gli occhiacci, e rispose burbero:
- Allora perché mi chiamate?
Dovette anche pregarlo e scongiurarlo di continuare a fare il comodo suo, quantunque non giovasse a nulla. La vigilia dell'Immacolata parve proprio che la povera Bianca volesse rendere l'anima a Dio. Il marito ch'era andato ad aspettare il medico sulla scala gli disse subito:
- Non mi piace, dottore! Stasera mia moglie non mi piace!
- Eh! ve ne accorgete soltanto adesso? A me è un pezzo che non mi piace. Credevo che l'aveste capita.
- Ma che non c'è rimedio, vossignoria? Fate tutto ciò che potete. Non guardate a spesa... I denari servono in queste occasioni!...
- Ah, adesso me lo dite? Adesso capite la ragione? Me ne congratulo tanto!
Saleni ricominciò la commedia: il polso, la lingua, quattro chiacchiere seduto ai piedi del letto, col cappello in testa e il bastone fra le gambe. Poi scrisse la solita ricetta, le solite porcherie che non giovavano a nulla, e se ne andò lasciando nei guai marito e moglie. La casa era diventata una spelonca. Tutti che vogavano alla larga. Finanche le serve temevano del contagio. Zacco era il solo parente che si rammentasse di loro nella disgrazia, dacchè avevano fatto società per l'appalto dello stradone, tornati amici con don Gesualdo. Egli veniva ogni giorno insieme a tutta la famiglia, la baronessa impresciuttita e ubbidiente, le figliuole che empivano la camera, stagionate, grasse e prosperose che sfidavano le cannonate. - Lui non aveva paura del contagio! Sciocchezze!... Poi, quando si tratta di parenti!... Quella sera aveva sentito dire in piazza che la cugina Bianca stava peggio ed era giunto più presto del solito. - Per distrarre un po' don Gesualdo lo tirò nel vano del balcone, e cominciò a parlargli dei loro negozi.
- Volete ridere adesso? Il cugino Rubiera dirà all'asta per gli altri due tronchi di strada!... Sissignore! quella bestia!... Eh? eh? che ne dite?... Lui che non ha potuto pagarvi ancora i denari della prima donna?... C'è l'inferno a causa vostra con la moglie che non vuol pagare del suo!... I figliuoli sì, glieli ha portati in dote!... ma i denari vuol tenerseli per sé! E' predestinato quel povero don Ninì!... E sapete chi comparisce all'asta, eh? volete saperlo?... Canali, figuratevi!... Canali che fa l'appaltatore in società col barone Rubiera!... Ora s'è svegliata in tutti quanti la fame del guadagno!... Eh?... Non avevo ragione di dire?... Non ridete?...
Ma l'amico non gli dava retta, inquieto, coll'orecchio sempre teso dall'altra parte. Indi si alzò e andò a vedere se Bianca avesse bisogno di qualche cosa. Essa non aveva bisogno di nulla, guardando fisso con quegli occhi di creatura innocente, recandosi alla bocca di tanto in tanto il fazzoletto che ricacciava poi sotto il guanciale insieme alla mano scarna. Le cugine Zacco stavano sedute in giro dinanzi al letto, colle mani sul ventre. La mamma per rompere il silenzio balbettò timidamente:
- Sembra un po' più calma... da che siam qui noi...
Le figliuole a quelle parole guardarono tutte insieme, e approvarono col capo.
Il barone s'accostò al letto lui pure, dimostrando molto interesse per l'ammalata:
- Sì, sì, non c'è confronto!... l'occhio è più sveglio; anche la fisonomia è più animata... Si capisce!... udendo discorrere intorno a lei... Bisogna distrarla, tenerle un po' di conversazione... Per fortuna siete in buone mani. Il dottore sa il fatto suo. Poi, quando si hanno dei mezzi!... quando non manca nulla! Ne conosco tanti altri invece... ben nati... di buona famiglia... cui manca di giorno il pane e di notte la coperta!... vecchi e malati, senza medico né speziale...
Si chinò all'orecchio di don Gesualdo e spifferò il resto. Bianca l'udì o l'indovinò, con gli occhi luminosi che fissavano in volto la gente, e cavò di sotto il guanciale la mano scarna e pallida che sembrava quella di una bambina, per far segno al marito d'avvicinarsi. Don Gesualdo s'era chinato su di lei e accennava di sì col capo. Il barone vedendo che non era più il caso di misteri parlò chiaro:
- Non verrà ! Don Ferdinando è diventato proprio un ragazzo. Non capisce nulla, poveretto!... Bisogna compatirlo. Diciamola qui, fra noi parenti... Che gli sarebbe mancato?... Un cognato con tanto di cuore, come questo qui!...
L'inferma agitò di nuovo in aria quella mano che parlava da sola.
- Eh? Che dice? Cosa vuole? - domandò il barone.
Donna Lavinia, la maggiore delle ragazze, s'era alzata premurosa per servirla in quel che occorresse. Donna Marietta, l'altra sorella, tirò invece il papà per la falda. Bianca s'era chiusa in un silenzio che le affilò come un coltello il viso smunto, sì che il barone stesso se ne avvide e mutò discorso.
- Domeneddio alle volte ci allunga i giorni per farci provare altri guai... Parlo della baronessa Rubiera, poveretta! Eh?... Vivere per vedersi disfare sotto i propri occhi la roba che s'è fatta!... senza poter dire una parola né muovere un dito... eh?... eh? Suo figlio è una bestia. La nuora gli conta i bocconi che mangia!... Com'è vero Iddio! Non vede l'ora di levarsela dai piedi!... E lei, no! non vuole andarsene! Vuol vivere apposta per vedere come farà suo figlio a togliersi dal collo il debito e don Gesualdo... Eh? Ho parlato or ora con vostro marito dei gran progetti che ha don Ninì pel capo...
Don Gesualdo stava zitto, sopra pensieri. Poi, siccome il barone aspettava la risposta della cugina Bianca, col risolino fisso in bocca, brontolò:
- No, non c'è tanto da ridere... Dietro il paravento dev'essere anche il canonico Lupi.
Zacco rimase interdetto: - Quel briccone? quell'intrigante?... Come lo sapete?... Chi ve l'ha detto?...
- Nessuno. E' un'idea mia. Ma vedrete che non m'inganno. Del resto non me ne importa nulla! Ho altro pel capo adesso!
Ma il barone non si dava pace: - Che? Non ve ne importa? Grazie tante! Sapete cosa dicono pure? Che vogliono levarci di mano le terre del comune!... Dicono che stavolta hanno trovato il modo e la maniera... e che né voi né io potremo rimediarci, capite?...
Don Gesualdo si strinse nelle spalle. Sembrava che davvero non gliene importasse nulla di nulla adesso. Il barone a poco a poco andò calmandosi, in mezzo al coro dei suoi che mormoravano sottovoce contro il canonico.
- Un intri...
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