[Pagina precedente]...; il viso stralunato dei Trao, in cui gli occhi luccicavano come quelli di una pazza sul pallore e la magrezza spaventosa, coprendo col suo il corpo della figliuola ch'era stesa bocconi sul letto, col viso nel guanciale, scossa da sussulti nervosi.
- Ah! me la volete uccidere dunque? Non vi basta? Non vi basta? Me la volete uccidere?
Non si riconosceva più, tanto che lo stesso don Gesualdo rimase sconcertato. Ora cercava di pigliarla colle buone, vinto da uno sconforto immenso, dall'amarezza di tanta ingratitudine che gli saliva alla gola, colle ossa rotte, il cuore nero come la pece.
- Avete ragione!... Io sono il tiranno! Ho il cuore e la pelle dura, io! Sono il bue da lavoro... Se m'ammazzo a lavorare è per voialtri, capite? A me basterebbe un pezzo di pane e formaggio... Vuol dire che ho lavorato per buttare ogni cosa in bocca al lupo... il mio sangue e la mia roba!... Avete ragione!...
Bianca volle balbettare qualche parola. Allora egli si voltò infuriato contro di lei, con le mani in aria, la bocca spalancata. Ma non disse nulla. Guardò la figliuola che si era appoggiata tutta tremante alla sponda del lettuccio, col viso gonfio, le trecce allentate; allora lasciò cadere le braccia e si mise a passeggiare innanzi e indietro per la camera, picchiando le mani una sull'altra, soffiando e sbuffando, cogli occhi a terra, quasi cercasse le parole, cercando le maniere che ci volevano per far capire la ragione a quelle teste dure.
- Via via, Isabella!... E' una sciocchezza, capisci!... E' una sciocchezza guastarsi il sangue... Non voglio guastarmi il sangue... Ho tanti altri guai! Ci ho il cuore grosso!... Vorrei che tu vedessi un po' quanti guai ci ho in testa!... Ti metteresti a ridere, com'è vero Dio!... Vedresti che sciocchezza è tutto il resto!... Ancora sei giovane... Certe cose non le capisci... Il mondo, vedi, è una manica di ladri... Tutti che fanno: levati di lì e dammi il fatto tuo... Ognuno cerca il suo guadagno... Vedi, vedi... te lo dico?... Se tu non avessi nulla, nessuno ti seccherebbe... E' un negozio, capisci?... Il modo d'assicurarsi il pane per tutta la vita. Uno che è povero, uomo o donna, sia detto senza offendere nessuno, s'industria come può... Gira l'occhio intorno; vede quello che farebbe al caso suo... e allora mette in opera tutti i mezzi per arrivarci, ciascuno come può... Uno, poniamo, ci mette il casato, e un altro quello che sa fare di meglio... le belle parole, le occhiate tenere... Ma chi ha giudizio, dall'altra parte, deve badare ai suoi interessi... Vedi come son sciocchi quelli che piangono e si disperano?...
Il discorso gli morì in bocca dinanzi al viso pallido e agli occhi stralunati coi quali lo guardava la figliuola. Anche la moglie non sapeva dir altro:
- Lasciatela stare!... Non vedete com'è?...
- Come una sciocca è!... - gridò mastro-don Gesualdo uscendo finalmente fuori dai gangheri. - Come una che non sa e non vuol sapere!... Ma io non sarò sciocco, no!... Io lo so quello che vuol dire!...
E se ne andò infuriato.
IV
Cessata la paura del colèra, appena ritornato in paese, don Gesualdo s'era vista arrivare la citazione della sorella, autorizzata dal marito Burgio, che voleva la sua parte dell'eredità paterna - di tutto ciò che egli possedeva - una bricconata; adducendo che quei beni erano stati acquistati coi guadagni della società , di cui era a capo mastro Nunzio; e che adesso voleva appropriarsi tutto lui, Gesualdo, - lui che li aveva avuti tutti quanti sulle spalle, sino a quel giorno! che aveva dovuto chinare il capo alle speculazioni sbagliate del padre! ch'era stato la provvidenza del cognato Burgio nelle malannate! che pagava i debiti del fratello Santo all'osteria di Pecu-Pecu! - anche Santo lo citava per avere la sua quota, aveva fatto parte della società anche lui, quel fannullone! - Ora lo svillaneggiavano per mezzo d'usciere; gli davano del ladro; volevano mettere i sigilli; sequestrargli la roba. Lo trascinavano fra le liti, gli avvocati, i procuratori - un sacco di spese, tanti bocconi amari, tanta perdita di tempo, tanti altri affari che ne andavano di mezzo, i suoi nemici che c'ingrassavano - nei caffè e nelle spezierie non si parlava d'altro - tutti addosso a lui perch'era ricco, e pigliando le difese dei suoi parenti che non avevano nulla! Il notaro Neri gli faceva anche l'avvocato contrario, gratis et amore, per le questioni vecchie e nuove che erano state fra di loro. Speranza l'aspettava sulle scale del pretorio per vomitargli addosso degli improperii, aizzandogli contro i figliuoli grandi e grossi inutilmente, aizzandogli contro Santo che non aveva faccia veramente di pigliarsela con don Gesualdo e cercava di sfuggirlo. - Siete tutti quanti dei capponi! tale e quale mio marito!... Io sola dovrei portare i calzoni qui! Non mi tengo se non lo mando in galera, quel ladro! Venderò la camicia che ho indosso. Voglio il fatto mio, il sangue di mio padre... - Fu peggio ancora la prima volta che il giudice le diede causa persa: - Signori miei, guardate un po'!... Tutto si compra coi denari al giorno d'oggi!... Ma ricorrerò sino a Palermo, sino al re, se c'è giustizia a questo mondo!... - Il barone Zacco, siccome allora aveva in testa di combinare certo negozio con don Gesualdo, s'intromise a farla da paciere. Una domenica riunì in casa sua tutti i Motta, compreso il marito di comare Speranza ch'era una bestia, e non sapeva dire le sue ragioni. Santo, costretto a trovarsi faccia a faccia con suo fratello don Gesualdo, cominciò dallo scusarsi:
- Che vuoi?... Io non ci ho colpa. Mi condussero dall'avvocato... Cosa dovevo fare?... Perché l'abbiamo chiesto il consiglio dell'avvocato?... Quello che mi dice l'avvocato io fo...
Don Gesualdo si mostrava arrendevole. Non che ci fosse obbligato, no! - la legge lui la conosceva. - Ma per buon cuore. Il bene che aveva potuto fare ai suoi parenti l'aveva sempre fatto, e voleva continuare a farlo. Lì un battibecco di prove e controprove che non finivano più. Speranza, che vedeva sfumare la sua parte dell'eredità se si parlava di buon cuore, se la pigliava col marito e coi figliuoli i quali non sapevano difendersi. Anche Santo stava zitto, come un ragazzo che ne ha fatta una grossa. Fortuna che c'era lei, a dire il fatto suo:
- Che volete darci, la limosina? Qualche salma di grano a comodo vostro, di tanto in tanto? qualche salma di vino, quello che non potete vendere?
- Cosa vuoi che ti dia, l'Alìa o Donninga? Vuoi che mi spogli io per empire il gozzo a voialtri che non avete fatto nulla? Ho figli. La roba non posso toccarla...
- La roba tua?... sentite quest'altra! Allora vuol dire che nostro padre buon'anima non ha lasciato nulla? E il negozio del gesso che avevate in comune? E quando avete preso insieme l'appalto del ponte? Nulla è rimasto alla buon'anima? I guadagni sono stati di voi solo? per comprare delle belle tenute? quelle che volete appropriarvi perché avete dei figliuoli?... C'è un Dio lassù, sentite!... Ciò che volete togliere di bocca a questi innocenti, c'è già chi se lo mangia alla vostra barba! Andate a vedere, la sera, sotto le vostre finestre, che passeggio!...
Finì in parapiglia. Il barone dovette mettersi a gridare e a fare il diavolo perché non si accapigliassero seduta stante, invece di rappacificarsi. Speranza se ne andò da una parte ancora sbraitando, e don Gesualdo dall'altra, colla bocca amara, tormentato anche da quell'altra pulce che la sorella gli aveva messo nell'orecchio. Adesso, in mezzo a tanti guai e grattacapi, gli toccava pure dover sorvegliare la figliuola e quell'assassino di Corrado La Gurna che la Cirmena per dispetto gli metteva fra i piedi, lì in paese, a spese sue. Doveva tenere gli occhi aperti su ciascuno che andava e veniva, sulle serve, sui fogli di carta che mancavano, sulla figliuola la quale aveva l'aria di chi ne cova una grossa, pallida allampanata... Ci si struggeva l'anima, la disgraziata! E lui doveva rodersi il fegato e mandar giù la bile, per non far di peggio. Una sera finalmente la sorprese alla finestra, con un tempo da lupi.
- Ah!... Continua la musica!... Che fai qui... a quest'ora?... A prendere il fresco per l'estate? T'insegno io a contar le stelle! Non m'hai visto ancora uscir dai gangheri! Gliel'insegno io a passeggiar di sera sotto le mie finestre, a certi cavalieri! Un fracco di legnate, se l'incontro! M'hai visto finora colla bocca dolce; ma adesso ti fo vedere anche l'amaro! Ti faccio arar diritto, come tiro l'aratro io!
Da quel giorno ci fu un casa del diavolo, mattina e sera. Don Gesualdo prese Isabella colle buone, colle cattive, per levarle dalla testa quella follìa; ma essa l'aveva sempre lì nella ruga sempre fissa fra le ciglia, nella faccia pallida, nelle labbra strette che non dicevano una parola, negli occhi grigi e ostinati dei Trao che dicevano invece - Sì, sì, a costo di morirne! - Non osava ribellarsi apertamente. Non si lagnava. Ci perdeva la giovinezza e la salute. Non mangiava più; ma non chinava il capo, testarda, una vera Trao, colla testa dura dei Motta per giunta. - Il pover'uomo era ridotto a farsi da sè l'esame di coscienza. - Dei genitori quella ragazza aveva preso i soli difetti. Ma l'amore alla roba no! Il giudizio di capire chi le voleva bene e chi le voleva male, il giudizio di badare ai suoi interessi, no! Non era neppure docile e ubbidiente come sua madre. Gli aveva guastata anche Bianca! Anche costei, al vedere la sua creatura che diventava pelle e ossa, era diventata come una gatta che gli si vogliano rubare i figliuoli, col pelo irto, tale e quale - la schiena incurvata dalla malattia e gli occhi luccicanti di febbre. Gli sfoderava contro le unghie e la lingua. - Volete farla morire di mal sottile, la mia creatura? Non vedete com'è ridotta? Non vedete che vi manca di giorno in giorno? - L'avrebbe aiutata, sottomano, anche a fare uno sproposito, anche a rompersi il collo. Avrebbe tradito il marito per la sua creatura. Gli diceva: - Me ne vo a stare da mio fratello! Io e la mia figliuola! Che vi pare? - Cogli occhi di brace. Non l'aveva mai vista a quella maniera. Una volta, dietro al medico il quale veniva per la ragazza, egli vide capitare una faccia che non gli piacque: una vecchia del vicinato che portava la medicina del farmacista, come don Luca il sagrestano e sua moglie Grazia portavano in casa Trao le sue imbasciate amorose. Era ridotto a passare in rivista le ricette del medico e la carta delle pillole che mandava Bomma. In un mese mutarono cinque donne di servizio. Era un tanghero lui, ma non era un minchione come i fratelli Trao. Teneva ogni cosa sotto chiave; non lasciava passare un baiocco che potesse aiutare a fargli il tradimento. Era un cane alla catena anche lui, pover'uomo. Infine per togliersi da quell'inferno si decise a mettere Isabella in convento, lì al Collegio di Maria, come quando era bambina, carcerata! Sua moglie ebbe un bel piangere e disperarsi. Il padrone era lui! - Sentite, - gli disse Bianca colle mani giunte, - io ho poco da penare. Ma lasciatemi la mia figliuola, fino a quando avrò chiuso gli occhi.
- No! - rispose il marito. - Non ha neppure compassione di te quell'ingrata! Ci siamo ammazzati tutti per farne un'ingrata! Ha perso l'amore ai parenti... lontana di casa sua!
Il tradimento glielo fecero lì, al Collegio: dell'altra gente beneficata da lui, la sorella di Gerbido che faceva la portinaia, Giacalone che veniva a portare i regali della zia Cirmena e faceva passare i bigliettini dalla ruota, Bomma che teneva conversazione aperta nella spezieria per far comodo a don Corrado La Gurna, il quale mettevasi subito a telegrafare, appena la ragazza saliva apposta sul campanile. Lo facevano per pochi baiocchi, per piacere, per niente, per inimicizia. Congiuravano tutti quanti contro di lui, per rubargli la figliuola e la roba, come se lui l'avesse rubata agli altri. Un bel giorno infine, mentre le monache erano salite in coro, che c'erano le quarant'ore, la ragazza si fece aprir la porta dai suoi complici, e spiccò il volo.
Fu il due febbr...
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