[Pagina precedente]... il barone sottovoce.
Don Filippo, dopo il primo momento d'agitazione, era tornato a sedere, asciugandosi il sudore gravemente. Intanto che il canonico parlava sottovoce a mastro-don Gesualdo, il notaro da lontano cominciò a far dei segni. Don Filippo si chinò all'orecchio di Canali. Sottomano, in voce di falsetto, il banditore replicò:
- L'ultima offerta per le terre del comune! A sei onze la salma!... Uno!... due!...
- Un momento, signori miei! - interruppe don Gesualdo - Chi garantisce quest'ultima offerta?
A quell'uscita rimasero tutti a bocca aperta Don Filippo apriva e chiudeva la sua senza trovar parola. Infine rispose:
- L'offerta del barone Rubiera!... Eh? eh?
- Sissignore. Chi garantisce pel barone Rubiera?
Il notaro si gettò su don Ninì che sembrava volesse fare un massacro. Peperito dimenavasi come l'avessero schiaffeggiato. Lo stesso canonico allibì. Margarone balbettava stralunato.
- Chi garantisce pel barone Rubiera?... chi garantisce?... -
A un tratto mutò tono, volgendola in burla: - Chi garantisce pel barone Rubiera!... Ah! ah!... Oh bella! questa è grossa! - E molti, al pari di lui, si tenevano i fianchi dalle risate.
- Sissignore, - replicò don Gesualdo imperturbabile. - Chi garantisce per lui? La roba è di sua madre.
A quelle parole cessarono le risate, e don Filippo ricominciò a tartagliare. La gente si affollava sull'uscio come ad un teatro. Il canonico, che sembrava più pallido sotto la barba di quattro giorni, tirava il suo compagno pel vestito. Il notaro era riuscito a cacciare il baronello contro il muro, mentre costui, in mezzo al baccano, vomitava:
- Becco!... cuor contento!... redentore!
- La parola del barone! - disse infine don Filippo. - La parola del barone Rubiera val più delle vostre doppie!... don... don...
- Don Filippo! - interruppe l'altro senza perdere la sua bella calma. - Ho qui dei testimoni per metter tutto nel verbale.
- Va bene! Si metterà tutto nel verbale!... Scrivete che il baronello Rubiera ha fatto l'offerta per incarico di sua madre!...
- Benone! - aggiunse don Gesualdo. - Quand'è così scrivete pure che offro sei onze e quindici a salma.
- Pazzo! assassino! nemico di Dio! - si udì gridare mastro Nunzio nella folla dell'altra sala.
Successe un parapiglia. Il notaro e Peperito spinsero fuori dell'uscio il baronello che strepitava, agitando le braccia in aria. Dall'altro canto il canonico, convulso, si gettò su don Gesualdo, stringendoglisi addosso, sedendogli quasi sulle ginocchia, colle braccia al collo, scongiurandolo sottovoce, in aria disperata, con parole di fuoco, ficcandoglisi nell'orecchio, scuotendolo pei petti della giacca, quasi volesse strapazzarlo, per fargli sentir ragione.
- Una pazzia!... Dove andiamo, caro don Gesualdo?...
- Non temete, canonico. Ho fatto i miei conti. Non mi scaldo la testa, io.
Don Filippo Margarone suonava il campanello da cinque minuti per avere un bicchier d'acqua. I suoi colleghi s'asciugavano il sudore anch'essi, trafelati. Solo don Gesualdo rimaneva seduto al suo posto come un sasso, accanto al sacchetto di doppie. A un certo punto, dalla baraonda ch'era nell'altra stanza, irruppe nella sala mastro Nunzio Motta, stralunato, tremante di collera, coi capelli bianchi irti sul capo, rimorchiandosi dietro il genero Burgio che tentava di trattenerlo per la manica della giacca, come un pazzo.
- Signor don Filippo!... sono il padre, sì o no?... comando io, sì o no?... Se mio figlio Gesualdo è matto!... se vuol rovinarci tutti!... c'è la forza, signor don Filippo!... Mandate a chiamare don Liccio Papa!... - Speranza, dall'uscio, col lattante al petto, che si strappava i capelli e urlava quasi l'accoppassero. - Per l'amor di Dio! per l'amor di Dio! - supplicava il canonico, correndo dall'uno all'altro. - I denari del ponte!... Vuole la mia rovina!... Nemico di suo padre stesso! - urlava mastro Nunzio. - Erano forse denari vostri? - scappò infine a gridare il canonico; - non era sangue del figlio vostro? non li ha guadagnati lui, col suo lavoro? - Tutti quanti erano in piedi, vociando. Si udiva Canali strillare più forte degli altri per chetare don Ninì Rubiera. Il barone Zacco avvilito, se ne stava colle spalle al muro, e il cappello sulla nuca. Il notaro era sceso a precipizio, facendo gli scalini a quattro a quattro, onde correre dalla baronessa. Per le scale era un via vai di curiosi: gente che arrivava ogni momento attratta dal baccano che udivasi nel Palazzo di Città . Santo Motta dalla piazza additava il balcone, vociando a chi non voleva saperle le prodezze del fratello. S'era affacciata perfino donna Marianna Sganci, coll'ombrellino, mettendosi la mano dinanzi agli occhi.
- Com'è vero Dio!... Io l'ho fatto e io lo disfo!... - urlava il vecchio Motta inferocito. - Largo! largo! - si udì in mezzo alla folla.
Giungeva don Giuseppe Barabba, agitando un biglietto in aria. - Canonico! canonico Lupi!... - Questi si spinse avanti a gomitate. - Va bene - disse, dopo di aver letto. - Dite alla signora Sganci che va bene, e la servo subito.
Barabba corse a fare la stessa imbasciata nell'altra sala.
Quasi lo soffocavano dalla ressa. Il canonico si buscò uno strappo alla zimarra, mentre il barone stendeva le braccia per leggere il biglietto. Canali, Barabba e don Ninì litigavano fra di loro. Poscia Canali ricominciò a gridare: - Largo! largo! - E s'avanzò verso don Gesualdo sorridente:
- C'è qui il baronello Rubiera che vuole stringervi la mano!
- Padrone! padronissimo! Io non sono in collera con nessuno.
- Dico bene!... Che diavolo!... Oramai siete parenti!...
E tirando pel vestito il baronello li strinse entrambi in un amplesso, costringendoli quasi a baciarsi. Il barone Zacco corse a gettarsi lui pure nelle loro braccia, coi lucciconi agli occhi.
- Maledetto il diavolo!... Non sono di bronzo!... Che sciocchezza!...
Il notaro sopraggiunse in quel punto. Andò prima a dare un'occhiata allo scartafaccio del segretario, e poi si mise a battere le mani.
- Viva la pace! Viva la concordia!... Se ve l'ho sempre detto!...
- Guardate cosa mi scrive vostra zia donna Marianna Sganci!... - disse il canonico commosso, porgendo la lettera aperta a don Gesualdo. E fattosi al balcone agitò il foglio in aria, come una bandiera bianca; mentre la signora Sganci dal balcone rispondeva coi cenni del capo.
- Pace! pace!... Siete tutti una famiglia!...
Canali corse a prendere per forza mastro Nunzio, Burgio, perfino Santo Motta, scamiciato, e li spinse nelle braccia dei nuovi parenti. Il canonico abbracciava anche comare Speranza e il suo bambino. Avrebbero pianto gli stessi sassi. - Per parte di moglie... siete cugini...
- E' vero, - aggiunse don Ninì tuttora un po' rosso in viso. - Siamo cresciuti insieme con Bianca... come fratello e sorella.
- Caro don Nunzio!... vi rammentate la fornace del gesso... vicino Fontanarossa?...
Il vecchio burbero fece una spallata, per levarsi d'addosso la manaccia del barone Zacco, e rispose sgarbatamente.
- Io mi chiamo mastro Nunzio, signor barone. Non ho i fumi di mio figlio.
- E perché poi? A vantaggio di chi vi fate la guerra?... Chi ne gode di tanto denaro buttato via?... - conchiuse Canali infervorato.
- Pazzie! ragazzate!... Un po' di sangue alla testa!... La giornata calda!... Un puntiglio sciocco... un malinteso... Ora tutto è finito! Andiamo via! Non facciamo ridere il paese!... - E il notaro cercava di condurli a spasso tutti quanti.
- Un momento! - interruppe don Gesualdo. - La candela è ancora accesa. Vediamo prima se hanno scritto l'ultima mia offerta.
- Come, come? Che discorsi!... Cosa vuol dire?... Torniamo da capo?... - Di nuovo s'era levato un putiferio. - Non siamo più amici? Non siamo parenti?
Ma don Gesualdo s'ostinava, peggio di un mulo:
- Sissignore, siamo parenti. Ma qui siamo venuti per la gabella delle terre comunali. Io ho fatta l'offerta di sei onze e quindici tarì a salma.
- Villano! testa di corno!
Don Filippo, in mezzo a quel trambusto, fu costretto a sedere di nuovo sul seggiolone, sbuffando. Vuotò di un fiato il bicchiere d'acqua, e suonò il campanello. - Signori miei! - vociava il segretario, - l'ultima offerta... a sei onze e quindici! - Tutti se n'erano andati a discutere strepitando nell'altra sala, lasciando solo don Gesualdo dinanzi alla scrivania. Invano il canonico, inquieto, gli soffiava all'orecchio:
- Non la spuntate, no!... Si son dati l'intesa fra di loro!... - A sei onze e quindici la salma!... ultima offerta!...
- Don Gesualdo! don Gesualdo! - gridò il notaro quasi stesse per crollare la sala.
Rientrarono nuovamente in processione: il barone Zacco facendosi vento col cappello; il canonico e Canali ragionando fra loro due a bassa voce; don Ninì, più restìo, in coda agli altri. Il notaro con le braccia fece un gesto circolare per radunarli tutti intorno a sé:
- Don Gesualdo!... sentite qua!
Volse in giro un'occhiata da cospiratore e abbassò la voce:
- Una proposta seria! - e fece un'altra pausa significativa. - Prima di tutto, i denari della cauzione... una bella somma!... La disgrazia volle così... ma voi non ci avete colpa, don Gesualdo... e neppure voi, mastro Nunzio... E' giusto che non li perdiate!... Accomoderemo la cosa!... Voi, signor barone Zacco, vi rincresce di lasciare le terre che sono da quarant'anni nella vostra famiglia?... E va bene!... La baronessa Rubiera adesso vuole la sua parte anche lei?... ha più di tremila capi di bestiame sulle spalle... E va bene anche questa! Don Gesualdo, qui, ha denari da spendere lui pure; vuol fare le sue speculazioni sugli affitti... Benissimo! Dividete le terre, fra voi tre... senza liti, senza puntigli senza farvi la guerra a vantaggio altrui... A vantaggio di chi, poi?... del comune! Vuol dire di nessuno! Mandiamo a monte l'asta... Il pretesto lo trovo io!... Fra otto giorni si riapre sul prezzo di prima; si fa un'offerta sola... Io no... e nemmeno loro!... Il canonico Lupi!... in nome vostro, don Gesualdo... Ci fidiamo... Siamo galantuomini! Un'offerta sola sul prezzo di prima; e vi rimangono aggiudicate le terre senza un baiocco d'aumento. Solamente una piccola senseria per me e il canonico... E il rimanente lo dividete fra voi tre, alla buona... d'amore e d'accordo. Vi piace? Siamo intesi?
- Nossignore, - rispose don Gesualdo, - le terre le piglio tutte io.
Mentre gli altri erano contenti e approvavano coi cenni del capo l'occhiata trionfante che il notaro tornava a volgere intorno, quella risposta cadde come una secchia d'acqua. Il notaro per primo rimase sbalordito; indi fece una giravolta e s'allontanò canterellando. Don Ninì scappò via senza dir nulla. Il barone stavolta finse di calcarsi il cappello in capo per davvero. Lo stesso canonico saltò su inviperito:
- Allora vi pianto anch'io!... Se volete rompervi le corna, il balcone è lì, bell'e aperto!... Vi offrono dei buoni patti!... vi stendono le mani!... Io vi lascio solo, com'è vero Dio!
Ma don Gesualdo si ostinava, col suo risolino sciocco, il solo che non perdesse la testa in quella baraonda.
- Siete una bestia! - gli disse sempre ridendo. Il canonico spalancò gli occhi e tornò docile a vedere quel che stava macchinando quel diavolo di mastro-don Gesualdo.
Il notaro, prudente, seppe dominarsi prima degli altri, e tornò indietro col sorriso sulle labbra e le tabacchiera in mano lui pure.
- Dunque?... le volete tutte?
- Eh... eh... Cosa stiamo a farci qui dunque! - rispose l'altro.
Neri gli offrì la tabacchiera aperta, e riprese a voce bassa, in tono di confidenza cordiale:
- Che diavolo volete farne?... circa cinquecento salme di terre!...
Don Gesualdo si strinse nelle spalle.
- Caro notaro, forse che voglio ficcare il naso nei vostri libracci, io?
- Quand'è così, don Gesualdo, state a sentire... discorriamola fra di noi... Il puntiglio non conta... e nemmeno l'amicizia... Badiamo agli interessi...
A ogni frase piegava il capo ora a destra e ora a sinistra, con un fare cadenzato che doveva essere molto persuasivo.
- Se le volete tutte, ve le faremo pagare il doppio, ed ecco sfumato subito metà del guadagno... senza conta...
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