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- E' un'artistona... una prima donna di cartello... Allora si capisce...
- Sicuro, - si lasciò scappare incautamente don Ninì per dire qualche cosa.
- Ah!... Piace anche a voi?...
- Certamente... cioè... voglio dire...
- Dite, dite pure!... Già lo sappiamo!...
Mèndola fiutò la burrasca e si alzò per svignarsela: - Il resto lo so. Buona sera. Con permesso, don Filippo. Sentite, Canali...
Per disgrazia la prima donna che doveva tenere gli occhi rivolti al cielo nel declamare: "S'è scritto lassù... dal Fato..." si trovò a guardare nel palco dei Margarone. Donna Fifì allora non seppe più frenarsi:
- Già , lo sappiamo! Le agglomerate cerimonie!... le melenzose riga!...
- Io?... le melenzose?...
Ma lei scattò inferocita, quasi volesse piantargli i denti in volto:
- Ci vuole una faccia tosta!... Sissignore! la lettera con le melenzose!... eccola qua!... - e gliela fregò sotto il naso, scoppiando a piangere di rabbia. Don Ninì da prima rimase sbalordito. Indi scattò su come una furia, cercando il cappello. Sull'uscio s'imbatté in don Filippo, che accorreva al rumore.
- Siete uno stupido!... un imbecille!... La bella educazione che avete saputo dare a vostra figlia!... Grazie a Dio, non ci metterò più i piedi a casa vostra!
E partì infuriato sbatacchiando l'uscio. Don Filippo che era rimasto a bocca aperta, appena il baronello se ne fu andato, si cacciò nel palchetto, sbraitando contro la moglie alla sua volta:
- Siete una stupida!... Non avete saputo educare le figliuole!... Vedete cosa mi tocca sentirmi dire!... Non dovevate portarmelo in casa quel facchino!...
La rottura fece chiasso. Dopo cinque minuti non si parlava d'altro in tutto il teatro. Poco mancò che la produzione non terminasse a fischi. Il capocomico se la prese colla prima donna, che lo guastava con le prime famiglie del paese. Ma lei giurava e spergiurava di non conoscerlo neanche di vista, quel barone, e gliene importava assai di lui. L'udirono mastro Cosimo il falegname e quanti erano sul palcoscenico. Don Ninì furibondo andò subito il giorno dopo a cercare Ciolla, il quale se ne stava pei fatti suoi, dopo quelle ventiquattr'ore passate in Castello sottochiave.
- Bella figura m'avete fatto fare colle vostre melenzose!... La sa a memoria tutto il paese la vostra lettera!...
- Ebbene? cosa vuol dire? Segno ch'è piaciuta, se la sanno tutti a memoria!
- E' piaciuta un corno! Lei dice che gliene importa assai di me!
- Oh! oh!... E' impossibile!... La lettera avrebbe sfondato un muro! Vuol dire che la colpa è vostra, don Ninì... Non parlo del vostro fisico... Bisognava accompagnarla con qualche regaluccio, caro barone! La polvere spinge la palla! Credevate di far colpo per la vostra bella faccia?... con due baiocchi di carta rasata?... Giacché a me non mi avete dato nulla, veh!...
Invano gli amici e i parenti tentarono d'intromettersi onde rappattumare i fidanzati. La mamma ripeteva: - Che vuoi farci?... Gli uomini!... Anche tuo padre!... - Don Filippo la pigliava su un altro tono: - Sciocchezze... scappatelle di gioventù!... Fu l'occasione... la novità ... Le prime donne non vengono mica ogni anno... Sei una Margarone alla fin fine! Lui non cambia certo una Margarone con una comica! Poi, se perdono io che sono offeso maggiormente!...
Ma donna Fifì non si placava. Diceva che non voleva saperne più di colui, uno sciocco, un avaraccio, il barone Melenzose!... Se mai, non le sarebbe mancato un pretendente cento volte meglio di lui... Andava scorbacchiandolo con tutti, amiche e parenti. Don Ninì dalla rabbia avrebbe fatto non so che cosa. Giurava che voleva spuntarla ad ogni costo, ed avere la prima donna, non fosse altro per dispetto.
- Ah! gliela farò vedere a quella strega! La polvere spinge la palla!...
E mandò a regalare salsicciotti, caciocavallo, un bottiglione di vino. Empirono la tavola della locanda. Non si parlava d'altro in tutto il paese. Il barone Mèndola narrava che ogni sera si vedevano le Nozze di Cana dal suo buco. Regali sopra regali, tanto che la baronessa dovette nascondere la chiave della dispensa. Mastro Titta venne a dire infine a don Ninì:
- Non resiste più, vossignoria! Ha perso la testa, la prima donna. Ogni sera, mentre sto a pettinarla, non mi parla d'altro.
- Se mi fa avere la soddisfazione che dico io!... Sotto gli occhi medesimi di donna Fifì voglio avere la soddisfazione! Voglio farla morir tisica!
Fu una delusione il primo incontro. La signora Aglae faceva una parte di povera cieca, e aveva il viso dipinto al pari di una maschera. Nondimeno lo accolse come una regina nel bugigattolo dove c'era un gran puzzo di moccolaia e lo presentò a un omaccione, il quale stava frugando dentro il cassone, in maniche di camicia, e non si voltò neppure.
- Il barone Rubiera, distinto cultore... Il signor Pallante celebre artista.
Poi volse un'occhiata alla schiena del celebre artista che continuava a rovistare brontolando, un'altra più lunga a don Ninì, e soggiunse a mezza voce:
- Lo conoscevo di già !... Lo vedo ogni sera... in platea!
Egli invece stava per scusarsi che in teatro non era venuto a causa del lutto; ma in quella si voltò il signor Pallante colle mani sporche di polvere, il viso impiastricciato anche lui, e una vescica in testa dalla quale pendevano dei capelli sudici.
- Non c'è, - disse con un vocione che sembrava venire di sotterra. - Te l'avevo detto!... accidenti! - E se ne andò brontolando.
Ella guardò intorno in aria di mistero, colle pupille stralunate in mezzo alle occhiaie nere; andò a chiudere l'uscio in punta di piedi, e poscia si voltò verso il giovane, con una mano sul petto, un sorriso pallido all'angolo della bocca.
- E' strano come mi batte il cuore!... No... non è nulla... sedete.
Don Ninì cercò una sedia, colla testa in fiamme, il cuore che gli batteva davvero. Infine si appollaiò sul baule, cercando qualche frase appropriata, che facesse effetto, mentre lei bruciava un pezzettino di sughero alla fiamma del lume a olio che fumava.
Sopraggiunse un'altra visita, Mommino Neri, il quale trovando lì Rubiera diventò subito di cattivo umore, e non aprì bocca, appoggiato allo stipite, succhiando il pomo del bastoncino. La signora Aglae teneva sola la conversazione: un bel paese... un pubblico colto e intelligente... bella gioventù anche...
- Buona sera, - disse Mommino.
- Ve ne andate, di già ?...
- Sì... Non potrete muovervi qui dentro... Siamo in troppi...
Don Ninì lo accompagnò con un sogghigno, continuando a suonare la gran cassa sul baule colle calcagna. Ella se ne avvide e alzò le spalle, con un sorriso affascinante, sospirando quasi si fosse levato un peso dallo stomaco.
Il baronello gongolante incominciò. - Se sono d'incomodo anch'io... - E cercò il cappello che aveva in mano.
- Oh no!... voi, no! - rispose lei con premura, chinando il capo.
- Si può? - chiese la vocetta fessa del tirascene dietro l'uscio.
- No! no! - ripeté la signora Aglae con tal vivacità quasi fosse stata sorpresa in fallo.
- Si va in scena! - aggiunse il vocione del signor Pallante. - Spicciati!
Allora essa, levando verso don Ninì il viso rassegnato, con un sorriso triste:
- Lo vedete!... Non ho un minuto di libertà !... Sono schiava dell'arte!...
Don Ninì colse la palla al balzo: L'arte... una bella cosa!... Era il suo regno... il suo altare!... Tutti l'ammiravano!... dei cuori che faceva battere!...
- Ah! sì!... Le ho data tutta me stessa... Me le son data tutta!...
E aprì le braccia, voltandosi verso di lui, con tale abbandono, come offrendosi all'arte, lì su due piedi, che don Ninì balzò giù dal cassone.
- Badate! - esclamò lei a bassa voce, rapidamente. - Badate!...
Aveva le mani tremanti, che stese istintivamente verso di lui, quasi a farsene schermo. Poi si fregò gli occhi, reprimendo un sospiro, e balbettò come svegliandosi:
- Scusate... Un momento... Devo vestirmi...
E un sorriso malizioso le balenò negli occhi.
Quel seccatore di Mommino Neri era ancor lì, appoggiato a una quinta, che discorreva col signor Pallante, già vestito da re, colla zimarra di pelliccia e la corona di carta in testa. Stavolta toccò a don Ninì di farsi scuro in viso. Ella, come lo sapesse, socchiuse di nuovo l'uscio, sporgendo il braccio e l'omero nudi:
- Barone, se aspettate alla fine dell'atto... quei versi che desiderate leggere li ho lì, in fondo al baule.
No! nessuna donna gli aveva data una gioia simile, una vampata così calda al cuore e alla testa: né la prima volta che Bianca gli s'era abbandonata fra le braccia, trepidante; né quando una Margarone aveva chinato il capo superbo, mostrandosi insieme a lui, in mezzo al mormorìo che suscitavano nella folla. Fu un vero accesso di pazzia. Buccinavasi persino che onde farle dei regali si fosse fatto prestare dei denari da questo e da quello. La baronessa, disperata, fece avvertire gli inquilini di non anticipare un baiocco al suo figliuolo se no l'avevano a far con lei. - Ah!... ah!... vedranno! Mio figlio non ha nulla. Io non pago di certo!...
C'erano state scene violente fra madre e figlio. Lui ostinato peggio d'un mulo, tanto più che la signora Aglae non gli aveva lasciato neppur salire la scala della locanda. Infine gli aveva detto il perché, una sera, al buio lì sulla soglia mentre Pallante era salito avanti ad accendere il lume:
- E' geloso!... Son sua!... sono stata sua!...
Ed aveva confessato tutto, a capo chino, con la bella voce sonora soffocata dall'emozione. Egli, un gran signore diseredato dal genitore a causa di quella passione sventurata, aveva amata a lungo, pazzamente, disperatamente: uno di quegli amori che si leggono nei romanzi; si era dato all'arte per seguirla; aveva sofferto in silenzio; aveva implorato, aveva pianto... Infine una sera... come allora... ancora tutta fremente e palpitante delle emozioni che dà l'arte... la pietà ... il sacrificio... non sapeva ella stessa come... mentre il cuore volava lontano... sognando altri orizzonti... altro ideale... Ma dopo, mai più!... mai più!... S'era ripresa!... vergognosa... pentita... implacabile... Egli che l'amava sempre, come prima... più di prima... alla follia... era geloso: geloso di tutto e di tutti, dell'aria, del sogno, del pensiero... di lui pure, don Ninì!...
- Ohè! - si udì il vocione di su la scala. - Li vuoi fritti o al pomodoro?
Sul viso di lei, dolcemente velato dalla semi-oscurità , errò un sorriso angelico.
- Vedete?... Sempre così!... Sempre la stessa devozione!...
Ciolla che era il confidente di don Ninì gli disse poi:
- Come siete sciocco! Quello lì è un... pentolaccia! Si pappano insieme la roba che mandate voi e il figlio di Neri.
Infatti aveva incontrato spesso Mommino sul palcoscenico, ed anche dinanzi all'uscio della locanda, su e giù come una sentinella. Mommino adesso era tutto gentilezze e sorrisi per lui. Quando gli parve proprio di farci una figura sciocca, montò in collera.
- Ah!... tu lo vuoi? - gli diss'ella infine con accento febbrile. - Ebbene... ebbene... Se non c'è altro mezzo di provarti quanto io t'amo... Giacché bisogna perdermi ad ogni costo... stasera... dopo la mezzanotte!...
Un odore di stalla, in quella scaletta buia, cogli scalini unti e rotti da tutti gli scarponi ferrati del contado. Lassù in cima, un fil di luce, e una figura bianca, che gli si offrì intera, bruscamente, con le chiome sparse.
- Tu mi vuoi... baiadera... odalisca?...
C'erano dei piatti sudici sulla tavola, un manto di damasco rabescato sul letto, dei garofani e un lume da notte acceso sul canterano, dinanzi a un quadrettino della Vergine, e un profumo d'incenso che svolgevasi da un vasetto di pomata il quale fumava per terra. All'uscio che metteva nell'altra stanza era inchiodato un bellissimo sciallo turco, macchiato d'olio; e dietro lo sciallo turco udivasi il signor Pallante che russava sulla sua gelosia.
Essa, spalancando quegli occhi neri che illuminavano la stanza, mise un dito sulle labbra, e fece segno a Rubiera d'accostarsi.
"Insomma l'ha stregato!" scriveva il canonico Lupi a mastro-don Gesualdo proponendogli di fare un grosso mutuo al baronello Rubiera. "Don Ninì è pi...
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