[Pagina precedente]...e così queste piccole società , distruggono le grandi, e dividono i cittadini dai cittadini, e i nazionali dai nazionali, restando tra loro la società sola di nome. Dal che potete intendere il danno delle sette, sì di qualunque genere, come particolarmente di queste famose moderne e presenti, le quali ancorchè studiose o in apparenza, o, poniamo anche, in sostanza del bene di tutta la patria, si vede per esperienza, che non hanno mai fatto alcun bene, e sempre gran male, e maggiore ne farebbero, se arrivassero a prevalere, e conseguire i loro intenti; e ciò per le dette ragioni, e perchè l'amor della setta (fosse pur questa purissima) nuoce all'amore della nazione ec. V. p.1092. principio. Resta dunque che l'egoismo sociale, abbia per oggetto una società di tal grandezza ed estensione, che senza cadere negl'inconvenienti delle piccole, non sia tanto grande, che l'uomo per cercare il di lei bene, sia costretto a perdere di vista se stesso; [895]il che egli non potendo fare mentre vive, ricadrebbe nell'egoismo individuale. L'egoismo universale (giacchè anche questo non potrebb'essere altro che egoismo, come tutte le passioni e tutti gli amori dei viventi) è contraddittorio nella sua stessa nozione, giacchè l'egoismo è un amore di preferenza, che si applica a se stesso, o a chi si considera come se stesso: e l'universale esclude l'idea della preferenza. Molto più poi è stravagante l'amore sognato da molti filosofi, non solo di tutti gli uomini, ma di tutti i viventi, e quanto si possa, di tutto l'esistente: cosa contraddittoria alla natura, che ha congiunto indissolubilmente all'amor proprio una qualità esclusiva, per cui l'individuo si antepone agli altri, e desidera esser più felice degli altri, e da cui nasce l'odio, passione così naturale e indistruggibile in tutti i viventi, come l'amor proprio. Ma tornando al proposito, la detta società di mezzana grandezza, non è altro che una nazione. Perchè l'amore delle particolari città native è dannoso oggi, come l'amore de' piccoli corpi, non producendo niente di grande, come non dà eccitamento nè premio a virtù grandi; e d'altra parte, staccando l'individuo dalla società nazionale, e dividendo le nazioni in tante parti, tutte intente a superarsi l'una coll'altra, e quindi nemiche scambievoli. Del che non si può dare maggior pregiudizio. Le città antiche, se anche erano piccole come le moderne, e tuttavia servivano [896]di patria, erano però più importanti assai, per la somma forza d'illusioni che vi regnava, e che somministrando grandi eccitamenti, e premi grandi ancorchè illusorii, bastava alle grandi virtù. Ma questa forza d'illusioni non è propria se non degli antichi, che come il fanciullo, sapevano trar vita vera da tutto, ancorchè menomo. La patria moderna dev'essere abbastanza grande, ma non tanto che la comunione d'interessi non vi si possa trovare, come chi ci volesse dare per patria l'Europa. La propria nazione, coi suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci conviene. E conchiudo che senza amor nazionale non si dà virtù grande. Da tutto ciò deducete il gran vantaggio del moderno stato, che ha tolto assolutamente il fondamento, anzi la possibilità della virtù, certo della virtù grande, e grandemente utile; della virtù stabile e solida, e che abbia una base e una fonte durevole e ricca.
4. Lascio la gran vita che nasce dall'amor patrio, e in proporzione della sua forza, ch'è massima ne' popoli liberi, e che gli antichi godevano mediante questo; e la morte del mondo, sparito che sia l'amor patrio, morte che noi sperimentiamo da gran tempo.
5. Le guerre moderne sono certo meno accanite delle antiche, e la vittoria meno terribile e dannosa al vinto. Questo è naturalissimo. Non esistendo più nazioni, [897]e quindi nemicizie nazionali, nessun popolo è vinto, nessuno vincitore. Chi vince non vince quel tal popolo, ma quel tal governo. I soli governi sono nemici fra loro. Dunque la vittoria non si esercita sopra la nazione (la quale come l'asino di Fedro cambia solamente la soma, o l'asinaio); ma sopra il solo governo. Una nazione conquistata perde il suo governo, e ne riceve un altro che presso a poco è il medesimo. Non essendo nemica della conquistatrice, non avendo avuto guerra con essa, nè questa con lei, partecipa ai di lei vantaggi, alle cariche pubbliche ec. Non perde le proprietà , nè la libertà civile, nè i costumi ec. (Alle volte non perderà neppure le sue leggi). Ma come tutto il suo, non era suo, ma del suo padrone, così tutto questo, senza nuovo danno de' suoi individui, come presso gli antichi, passa di peso e senza scomporsi ad essere di un altro padrone.
Anticamente il privato perdeva individualmente le sue proprietà perchè individualmente ne aveva. Ora non egli che non le ha individualmente, e non le può perdere, ma il suo principe vinto perde tutte insieme le proprietà de' suoi sudditi, ch'erano generalmente ed unitamente sue; e questo per conseguenza accade senza cangiamenti nello stato de' particolari, e senza nuove violazioni de' diritti privati e individuali. S'ella diviene dipendente al di fuori, lo era già al di dentro. La sua dipendenza non è nuova se non di nome, perchè la sua indipendenza era pur tale. E se ora dipende dallo straniero, lo straniero è per lei tutt'uno che il nazionale; perchè la nazione non esisteva neppur prima della conquista; ed ella non amando se stessa, non avendo amor patrio, non odia dunque lo straniero, se non come il nazionale, e come l'uomo odia l'altro uomo. Il diritto delle nazioni [898]è nato dopo che non vi sono state più nazioni. Ella dunque gode gli stessi diritti, che godeva prima della conquista, e gli gode ora come la conquistatrice. Quanto alle guerre, elle non sono già nè meno frequenti, nè meno ingiuste delle antiche. Perchè la sorgente delle guerre, che una volta era l'egoismo nazionale, ora è l'egoismo individuale di chi comanda alle nazioni, anzi costituisce le nazioni. E questo egoismo, non è nè meno cupido, nè meno ingiusto di quello. Dunque, come quello, misura i suoi desiderii dalle sue forze; (spesso anche oltre le forze) e la forza è l'arbitra del mondo oggidì, come anticamente, non già la giustizia, perchè la natura degli uomini non si cambia, ma solo gli accidenti. Questi che esagerano l'ingiustizia e frequenza delle guerre antiche prima del Cristianesimo, del diritto delle genti, e del preteso amore universale; mostra che abbiano bensì letto la storia antica, ma non quella de' secoli Cristiani fino a noi. Quella storia e questa presentano appuntino le stesse ingiustizie, le stesse guerre, lo stesso trionfo della forza ec. nè il Cristianesimo ha migliorato in ciò il mondo di un punto; colla differenza che allora le esercitavano, allora combattevano le nazioni, ora gl'individui, o vogliamo dire i governi; allora per conseguenza i combattenti o gl'ingiusti, erano giusti e virtuosi verso qualcuno, cioè verso i proprii, adesso verso nessuno; allora le nimicizie [899]partorivano le grandi virtù, e l'eroismo in ciascuna nazione, adesso i grandi vizi e la viltà ; allora una nazione opprimeva l'altra, adesso tutte sono oppresse, la vinta come la vincitrice; allora serviva il vinto, adesso la servitù è comune a lui col vincitore; allora i vinti erano miseri e schiavi, cosa naturalissima in tutte le specie di viventi, oggi lo sono nè più nè meno anche i vincitori e fortunati, cosa barbara e assurda; allora chi moveva la guerra, era spesso ingiusto colla nazione a cui la moveva, adesso chi la muove è ingiusto, appresso a poco, tanto con quella a cui la move, quanto con quella per cui mezzo e forza la muove: e ciò tanto nel muoverla, quanto in tutto il resto delle sue azioni pubbliche. E i governi oggi tra loro, sono in istato di guerra (o aperta o no) tanto continua, quanto le nazioni anticamente.
Lascio le atrocità commesse anche ne' primi e più fervorosi tempi Cristiani sopra i Capi delle nazioni vinte: cosa conseguente, perch'essi erano i vinti, e non le nazioni. E così costumavasi, per naturale effetto, anche anticamente, nella vittoria di nazioni serve al di dentro e monarchiche. Nè mancano esempi più recenti nelle storie, di questa naturale conseguenza dello stato presente dei popoli, cioè dell'odio privato o pubblico fra' loro capi, e delle sevizie usate sopra i principi vinti o prigioni ec.
Vengo all'atto della guerra. Anticamente, dicono, combattevano le nazioni intere: le guerre de' tempi [900]Cristiani fatte con piccoli eserciti, hanno meno sangue, e meno danni. Ma anticamente combatteva il nemico contro il nemico, oggi l'indifferente coll'indifferente, forse anche coll'amico, il compagno, il parente; anticamente nessuno era che non combattesse per la causa propria, oggi nessuno che non combatta per causa altrui; anticamente il vantaggio della vittoria era di chi avea combattuto, oggi di chi ha ordinato che si combatta. È in natura che il nemico combatta il suo nemico, e per li suoi vantaggi; e ciò si vede anche nei bruti, certo non corrotti, anche dentro la loro propria specie, e co' loro simili. Ma non è cosa tanto opposta alla natura, quanto che un individuo senza nè odio abituale, nè ira attuale, con nessuno o quasi nessuno vantaggio ed interesse suo, per comando di persona che certo non ama gran fatto, e probabilmente non conosce, uccide un suo simile che non l'ha offeso in nessuna maniera, e che, per dir poco, non conosce neppure e non è conosciuto dall'uccisore. Anzi di più, un individuo ch'egli odia per lo più molto meno di quello che gli comanda di ucciderlo, e certo molto meno di gran parte fra' suoi stessi compagni d'arme, e fra' suoi concittadini. Perchè oggi gli odi, le invidie, le nimicizie, si esercitano coi vicini, e nulla ordinariamente coi lontani: l'egoismo individuale ci [901]fa nemici di quelli che ci circondano, o che noi conosciamo, ed hanno attenenza con noi; e massime di quelli che battono la nostra stessa carriera, e aspirano allo stesso scopo che noi cerchiamo, e dove vorremmo esser preferiti; di quelli che essendo più elevati di noi, destano per conseguenza l'invidia nostra, e pungono il nostro amor proprio. Lo straniero al contrario ci è per lo meno indifferente, e spesso più stimato dei conoscenti, perchè la stima ec. è fomentata dalla lontananza, e dalla ignoranza della realtà , e dallo immaginario che ne deriva: ed infatti in un paese dove non regni amor patrio, il forestiero è sempre gradito, e i costumi, i modi ec. ec. tanto suoi, come di qualunque nazione straniera, sono sempre preferiti ai nazionali, ed egli lo è parimente. Così che il soldato oggidì è molto più nemico sì di quelli in cui compagnia combatte, sì di quelli in cui vantaggio, per cui volere, sotto di cui combatte, che di coloro ch'egli combatte ed uccide. E tutto ciò per natura delle cose, e non per capriccio. Talchè, se vorremo una volta considerar bene le cose, non le apparenze, troveremo molta più barbarie oggidì nella uccisione di un nemico solo, che anticamente nel guasto di un popolo: perchè questo era del tutto secondo natura; quello è per tutti i versi contrario alla natura.
[902]Voglio andare anche più avanti, e mostrare che questo preteso vantaggio del poco numero de' combattenti, ha sussistito finora non per altro se non perchè le nazioni hanno conservato qualche cosa di antico, e continuato ad essere in qualche modo nazioni; e che ora che hanno cessato affatto di esserlo, il detto vantaggio non può più sussistere.
Certo che le nazioni non essendo più nemiche l'una dell'altra, e gli eserciti essendo come truppe di operai pagati perchè lavorino il campo del padrone, e il numero di un esercito non richiedendosi che sia se non quanto è quello dell'altro, le guerre si potrebbero sbrigare con pochissimo numero di combattenti, e anche con un compromesso, dove due sole persone pagate combattessero insieme per decider la causa. Ma l'egoismo dell'uomo porta ch'egli impieghi ad ottenere il suo fine tutte quante le forze ch'egli può impiegare a tale effetto.
Un grand'esercito, sì per se stesso, sì per le imposte che bisognano a ...
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