[Pagina precedente]..., e per la sua patria. E questa è una delle principali e più manifeste ragioni per cui i popoli più amanti della patria loro, e fra questi i liberi, sono stati sempre i più forti, i più formidabili al di fuori, i più bellicosi, i più intrepidi, i più atti alle conquiste, ed effettivamente, per così dire, i più conquistatori.
Dall'esser le guerre, nazionali, dovea risultare quest'altro effetto, che avea luogo realmente fra gli antichi, ed ha luogo in tutte le nazioni selvagge, e proporzionatamente in quelle che conservano maggiore spirito di nazione, e maggior primitivo, come gli Spagnuoli. Cioè le guerre dovevano essere, a morte, e senza perdono (giacchè tutti e ciascuno erano nimici fra loro), senza distinzione ec. E l'effetto della vittoria doveva essere il cattivare intieramente non solo il governo, ma la nazione intiera; (come si vide principalmente in Asia a tempo de' monarchi Assiri nelle lor guerre co' Giudei ec. e al tempo di Tito Vespasiano) [887]o certo spogliarla de' costumi, leggi, governatori propri, dei tempii, de' sepolcri, della roba, del danaio, delle proprietà , delle mogli, dei figli ec. e ridurla se non in ischiavitù, come si costumò antichissimamente, spogliando il vinto anche del suo paese; certo però in servitù: e considerarla come nazione dipendente, soggiogata, non partecipe di nessun vantaggio della nazion dominante, e non appartenente a lei, se non come suddita, nè avente con lei altro di comune, nè diritti, nè ec. come se fosse di altra razza d'uomini. E conseguentemente e congruentemente: perchè insomma tutta quanta la nazione essendo stata ed essendo nemica del vincitore, tutta si trattava come nemica vinta e domata, e tutta era preda del nemico trionfante. Quindi la disperazione delle guerre l'ostinazione delle resistenze le più inutili, lo scannarsi scambievolmente le popolazioni intiere, piuttosto che aprir le porte al nemico, perchè in fatti il vinto andava nelle mani e nell'assoluta balìa di un nemico mortale, com'egli lo era del vincitore. Quindi anche il combattere le nazioni intere, e l'essere tutti soldati, quanti potevano portar armi, e ciò sempre: cioè tanto in guerra quanto (se non in atto certo in potenza e disposizione) nel tempo di pace. Perchè le nazioni, massime vicine, erano sempre in istato di guerra, odiandosi tutte scambievolmente, e cercando l'una di sorpassar l'altra in [888]qualunque modo per conseguenza necessaria del vero amor patrio. (V. in questo proposito, se però vuoi, l'Essai sur l'indifférence en matière de Religion ch.10. dove discorre di proposito in questa materia, sebbene in senso opposto al mio, durante 9. pagg. della traduz. di Bigoni cioè dalla p.160. alla 169. ossia dal periodo che comincia: Ma questo non è tutto ancora. Quando i rapporti sociali ec. sino a quello che incomincia: INCEDO PER IGNES. Egli trova anche una conformità di quest'ultimo costume nella moltitudine delle armate odierne, che fa derivare dalla nazionalità delle guerre di questi ultimi anni. Osservo però che questo derivò in principio dalla sola ambizione e dispotismo di Luigi 14.)
Conchiudo che l'indipendenza, la libertà , l'uguaglianza di un popolo antico, non solo non importava l'indipendenza, la libertà , l'uguaglianza degli altri popoli, rispetto a lui, e per quanto era in lui; ma per lo contrario importava la soggezione e servitù degli altri popoli, massime vicini, e l'obbedienza de' più deboli. E un popolo libero al di dentro era sempre tiranno al di fuori, se aveva forze per esserlo, e questa forza nasceva sovente dalla sua libertà . Nel modo stesso che un principe, per esser egli indipendente e libero, e non aver legami nè ostacoli alla sua volontà , non perciò lascia di tiranneggiare il suo popolo. Anzi quanto più è geloso della sua libertà , tanto più ne toglie a' sudditi, o a' più deboli di lui. Così quanto [889]più una nazione sentiva ed amava se stessa, che avviene massimamente ai popoli liberi, tanto più era nemica delle straniere, e desiderosa di elevarsi sopra loro, di farsene ubbidire, e conquistate, opprimerle; tanto più invidiosa de' loro beni, ingorda del loro ec. effetto naturale dell'amor nazionale, come lo è dell'amor proprio rispetto agl'individui: essendo insomma l'amor patrio, non altro che egoismo nazionale, e rispetto alla nazione intera, egoismo della nazione. E così dite di qualunque amore o spirito di corpo, di parte ec. Quella nazione dove regna fortemente e vivacemente ed efficacemente l'amor nazionale, è come un grande individuo: e alla maniera dell'individuo, amando se stessa, si ama di preferenza, e desidera, e cerca di superare le altre in qualunque modo. E quanto all'essere un popolo tanto più tiranno di fuori, quanto più geloso della libertà propria, e nemico della tirannia di dentro, v. l'esempio moderno, che pare all'autore dell'Essai ec. di vedere nell'Inghilterra rispetto a' suoi stabilimenti fuor d'Europa. Vedilo, dico, al luogo citato nella pagina precedente.
Questi quadri paiono non solamente disgustosi, anzi terribili, ma tali che nessun male, nessun cattivo stato si possa paragonare col detto stato delle nazioni antiche. E ciò avverrà massimamente a quelli che considerano la vita come un bene per se stessa, qualunque ella sia. Ma passiamo ora ai moderni, e consideriamo il rovescio della medaglia.
1. L'uomo non si potrà mai (come nessun vivente) spogliare dell'amor di se stesso, nè questo dell'odio verso [890]altrui. Riconcentrato il potere, tolto agl'individui quasi del tutto il far parte della nazione, di più, spente le illusioni, l'individuo ha trovato e veduto il ben comune come diviso e differente dal ben proprio. Dovendo scegliere, non ha esitato a lasciar quello per questo. E non poteva altrimenti, essendo uomo, e vivendo. Sparite effettivamente le nazioni, e l'amor nazionale, s'è spento anche l'odio nazionale, e l'essere straniero non è più colpa agli occhi dell'uomo. S'è perciò spento l'odio verso altrui, l'amor proprio? allora si spegnerà quando la natura farà un altro ordine di cose e di viventi. La fola dell'amore universale, del bene universale, col qual bene ed interesse, non può mai congiungersi il bene e l'interesse dell'individuo, che travagliando per tutti non travaglierebbe per se, nè per superar nessuno, come la natura vuol ch'ei travagli; ha prodotto l'egoismo universale. Non si odia più lo straniero? ma si odia il compagno, il concittadino, l'amico, il padre, il figlio; ma l'amore è sparito affatto dal mondo, sparita la fede, la giustizia, l'amicizia, l'eroismo, ogni virtù, fuorchè l'amor di se stesso. Non si hanno più nemici nazionali? ma si hanno nemici privati, e tanti quanti son gli uomini; ma non si hanno più amici di sorta alcuna, nè doveri se non verso se stesso. Le nazioni sono in pace al di fuori? [891]ma in guerra al di dentro, e in guerra senza tregua, e in guerra d'ogni giorno, ora, momento, e in guerra di ciascuno contro ciascuno, e senza neppur l'apparenza della giustizia, e senz'ombra di magnanimità , o almeno di valore, insomma senz'una goccia di virtù qualunque, e senz'altro che vizio e viltà ; in guerra senza quartiere; in guerra tanto più atroce e terribile, quanto è più sorda, muta, nascosta; in guerra perpetua e senza speranza di pace. Non si odiano, non si opprimono i lontani e gli alieni? ma si odiano, si perseguitano, si sterminano a tutto potere i vicini, gli amici, i parenti; si calpestano i vincoli più sacri; e la guerra essendo fra persone che convivono, non c'è un istante di calma, nè di sicurezza per nessuno. Qual nemicizia dunque è più terribile? Quella che si ha co' lontani, e che si esercita solo nelle occasioni, certo non giornaliere; o quella ch'essendo co' vicini si esercita sempre e del continuo, perchè continue sono le occasioni? Quale è più contraria alla natura, alla morale, alla società ? Gl'interessi de' lontani non sono in tanta opposizione coi nostri (e per quanto lo sono, si odia adesso il lontano, come e più che anticamente, bensì meno apertamente e più vilmente). Ma gl'interessi de' vicini essendo co' nostri in continuo urto, la guerra più terribile è quella che deriva dall'egoismo, e dall'odio naturale verso altrui, rivolto non più verso lo straniero, [892]ma verso il concittadino, il compagno ec.
2. Per qual cagione l'amore universale sia un sogno, non mai realizzabile, risulta dalle cose dette in questo discorso, e l'ho esposto già in altri pensieri. Ora non potendo il vivente senza cessar di vivere, spogliarsi nè dell'amor proprio, nè dell'odio verso altrui, resta che queste passioni prendano un aspetto, quanto si può migliore; resta che l'amor proprio dilati quanto più può il suo oggetto (ma non può troppo dilatarlo senza perdersi il se stesso ch'è indivisibile dall'uomo, e quindi ricadere inevitabilmente nell'amor di se solo); e che l'odio verso altrui si allontani quanto più si può, cioè scelga uno scopo lontano. Questo avviene per la prima parte, quando l'individuo trova una comunione e medesimezza d'interesse con quelli che lo circondano; e per la seconda, quando egli non trova la principale opposizione a questo interesse se non ne' lontani. Ecco dunque l'amor patrio, e l'odio degli stranieri. E per tutte queste ragioni, io dico, che stante l'amor proprio, e l'odio naturale dell'uomo verso altrui, passioni che lo rendono per natura indisposto alla società , una società non può sussistere veramente, cioè essere effettivamente ordinata al suo scopo ch'è il ben comune di tutta lei, se le dette passioni non prendono il detto aspetto; cioè: la società non può sussistere senz'amor patrio, ed odio degli stranieri. Ed essendo l'uomo essenzialmente ed [893]eternamente egoista, la società per conseguenza, non può essere ordinata al ben comune, cioè sussistere con verità , se l'uomo non diventa egoista di essa società , cioè della sua nazione o patria, e quindi naturalmente nemico delle altre. E per tutte queste ragioni, ed altre che ho spiegato altrove, dico, e segue evidentemente, che la società ed esisteva fra gli antichi, ed oggi non esiste.
3. Come senz'amor patrio non c'è società , dico ancora che senz'amor patrio non c'è virtù, se non altro, grande, e di grande utilità . La virtù non è altro in somma, che l'applicazione e ordinazione dell'amor proprio (solo mobile possibile delle azioni e desiderii dell'uomo e del vivente) al bene altrui, considerato quanto più si possa come altrui, perchè in ultima analisi, l'uomo non lo cerca o desidera, nè lo può cercare o desiderare se non come bene proprio. Ora se questo bene altrui, è il bene assolutamente di tutti, non confondendosi questo mai col ben proprio, l'uomo non lo può cercare. Se è il bene di pochi, l'uomo può cercarlo, ma allora la virtù ha poca estensione, poca influenza, poca utilità , poco splendore, poca grandezza. Di più, e per queste stesse ragioni, poco eccitamento e premio, così che è rara e difficile; giacchè siamo da capo, mancando allora o essendo poco efficace lo sprone che muove l'uomo ad abbracciar la virtù, cioè il ben proprio. Talchè anche per questo capo [894]è dannosa la soverchia ristrettezza e piccolezza, o poca importanza e pregio delle società , dei corpi, dei partiti ec. E riguardo all'altro capo, cioè la poca utilità delle virtù che si rapportano al bene o agl'interessi qualunque di pochi, o poco importanti ec. questa è la ragione per cui non sono lodevoli, anzi spesso dannosi i piccoli corpi, società , ordini, partiti, corporazioni, e l'amore e spirito di questi negl'individui. Giacchè le virtù e i sacrifizi a cui questi amori conducono l'individuo, sono piccoli, ristretti, bassi, umili, e di poca importanza, vantaggio, ed entità . In oltre nuocono alla società maggiore, perchè siccome l'amor di patria produce il desiderio e la cura di soverchiare lo straniero, così l'amore de' piccoli corpi, essendo parimente di preferenza, produce la cattiva disposizione degl'individui verso quelli che non appartengono a quella tal corporazione, e il desiderio di superarli in qualunque modo. Così che nasce la solita disunione d'interessi, e quindi di scopo, ...
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