[Pagina precedente]...mantenerlo, non si mantiene senza incomodo e danno e spesa dei sudditi. Finchè i sudditi non sono stati affatto servi, finchè la moltitudine è stata qualche cosa, finchè la voce della nazione si è fatta sentire, finchè la carne umana, eccetto quella di un solo per nazione, non è stata ad intierissima disposizione di questo solo che comanda, e come la carne, così tutto il resto, e la nazione per tutti i versi; fino, dico, [903]ad un tal punto, il principe non potendo adoperare la nazione a' suoi propri fini, se non sino ad un certo segno, le armate non furono più che tanto numerose. La nazione, che era ancora in qualche modo nazione, non tollerava facilmente 1. di guerreggiare pel puro capriccio del suo capo, e in bene di lui solo, 2. le leve forzate, o almeno eccessive, 3. l'eccesso delle imposte per far la guerra. Non tollerava, dico, tutto questo, o poneva il principe in gravissimi pericoli e disturbi al di dentro. Così che era dell'interesse del principe di risparmiare la nazione, che ancora tanto o quanto esisteva, e risparmiarla, sì nelle altre cose, sì massimamente dove si trattava del suo sangue, e delle sue proprietà più care, che sono i figli, i congiunti ec. Dal tempo della distruzione della libertà , fino ai principii o alla metà del seicento, i sovrani se anche erano più tiranni d'oggidì, cioè più violenti e sanguinarii, appunto per l'urto in cui erano colla nazione, non sono stati però mai padroni così assoluti de' popoli, come in appresso. Basta legger le storie e vedere come fossero frequenti e facili e pericolose in quei tempi le sedizioni, i tumulti popolari ec. che per qualunque cagione nascessero, mostravano pur certo che la nazione era ancor viva, ed esisteva. E non era strano in quei tempi, come dopo, [904]il vedere scorrere il sangue de' principi per mano de' suoi soggetti. Di più il potere era assai più diviso, tanto colle baronie, signorie, feudi, ch'era il sistema monarchico d'allora, quanto colle particolari legislazioni, privilegii, governi in parte indipendenti delle città o provincie componenti le monarchie. Così che il re, non trovando tutto a sua sola disposizioine, e non potendo servirsi della nazione per le sue voglie, se non con molti ostacoli, le armate venivano ad esser necessariamente piccole: ed è cosa manifesta che quando la signoria di una nazione è divisa in molte signorie, il signore di tutte, non può prendere da ciascuna se non poco, e infinitamente meno di quello che prenderebbe s'egli fosse il signore immediato, e se tutto dipendesse intieramente dall'arbitrio suo. Cosa dimostrata dalla storia, ed osservata dai politici. Ed anche per questo si stima nella guerra come principalissimo vantaggio, l'assoluta padronanza di un solo, e la intera monarchia, come quella di Macedonia in mezzo alla Grecia divisa ne' suoi poteri. (Il che però ne' miei principii si deve intendere solamente nel caso che quelle nazioni combattute da una potenza dispotica non siano dominate da vero amor di patria, o meno, se è possibile, di quella nazione soggetta al dispotismo. E tale era la Grecia ai tempi Macedonici, laddove la sola Atene aveva una volta resistito alla potenza dispotica della Persia, e vintala. Perchè del resto è certo che un solo vero soldato della patria, val più di dieci soldati di un despota, se in quella nazione monarchica non esiste altrettanto o simile patriotismo. E appunto nella battaglia di Maratona, uno si trovò contro dieci, cioè 10.m contro 100.m e vinsero.) Sono anche note le costituzioni di quei tempi, le carte nazionali, l'uso degli stati generali, corti ec. come in Francia, in Ispagna ec. con che o la moltitudine faceva ancora sentir la sua voce, o certo il potere restava meno indipendente ed uno, e il monarca più legato.
[905]Ma da che il progresso dell'incivilimento o sia corruzione, e le altre cause che ho tante volte esposte, hanno estinto affatto il popolo e la moltitudine, fatto sparire le nazioni, tolta loro ogni voce, ogni forza, ogni senso di se stesse, e per conseguenza concentrato il potere intierissimamente nel monarca, e messo tutti i sudditi e ciascuno di essi, e tutto quello che loro in qualunque modo appartiene, in piena disposizione del principe; allora e le guerre son divenute più arbitrarie, e le armate immediatamente cresciute. Ed è cosa ben naturale, e non già casuale, ma conseguenza immancabile e diretta della natura delle cose e dell'uomo. Perchè quanto un uomo può adoperare in vantaggio suo, tanto adopera; ed ora che il principe può adoperare al suo qualunque scopo o desiderio, tutta quanta è, e tutto quanto può la nazione, segue ch'egli l'adopri effettivamente senz'altri limiti che quelli di lei stessa, e delle sue possibili forze. Il fatto lo prova. Luigi 14. o primo, o uno de' primi di quei regnanti che appartengono all'epoca della perfezione del dispotismo, diede subito l'esempio al mondo, della moltitudine delle armate. Dato che sia questo esempio il seguirlo è necessario. Perchè siccome oggi la grandezza di un'armata è arbitraria bensì, ma dipende, e deve corrispondere quanto si possa a quella del nemico, [906]così se quella del nemico è grande, bisogna che ancor voi, se potete, ancorchè non voleste, facciate che la vostra sia grande, e superi, potendo, in grandezza la nemica; nello stesso modo che la potreste far piccola, anzi menomissima per le stesse ragioni, nel caso opposto, come ho detto p.902. Infatti l'esempio di Luigi 14. fu seguito sì da' principi suoi nemici, sì da Federico secondo, il filosofo despota, e l'autore di molti nuovi progressi del despotismo, da lui felicemente coltivato e promosso. Ed egli parimente obbligò alla stessa cosa i suoi nemici. Finalmente la cosa è stata portata all'eccesso da Napoleone, per ciò appunto ch'egli è stato l'esemplare della forse ultima perfezione del despotismo. Non però quest'eccesso è l'ultimo a cui vedremo naturalmente e inevitabilmente arrivare la cosa.
Dico inevitabilmente, supposti i progressi o la durata del dispotismo, e del presente stato delle nazioni, le quali due cose, secondo l'andamento dei tempi, il sapere che regna ec. non pare che per ora, possano far altro che nuovi progressi, o pigliar nuove radici. E in questo caso, dico inevitabilmente, sì per l'egoismo naturale dell'uomo, e conseguentemente del principe, egoismo il cui effetto è sempre necessariamente proporzionato al potere dell'egoista; sì ancora perchè dato che sia l'esempio, e preso il costume questo andamento, la cosa si rende necessaria anche a chi non la volesse. E [907]che ciò sia vero, osservate. Come si potrebbe rimediare a questo costume, ancorchè egli sia in ultima analisi arbitrario e dipendente dalla volontà ? Con un accordo generale dei principi, di tutti coloro che possono mai guerreggiare? Non ignoro che questo accordo si tentò, o si suppose che si tentasse o proponesse al Congresso di Vienna. E certo l'occasione era l'ottima che potesse mai darsi, ed altra migliore non si darà mai. So però che nulla se n'è fatto. Forse avranno conosciuta l'impossibilità , che realmente vi si oppone. Primo, qual è oggi la guarentia de' trattati, se non la forza o l'interesse? Qual forza dunque o quale interesse vi può costringere a non cercare il vostro interesse con tutte le forze che potete? Secondo, (e questo prova più immediatamente che, anche volendo, non si può rimediare) chi si fida di un trattato precedente, in tempo di guerra? Chi non conosce quello che ho detto qui sopra nel primo luogo? e generalmente, chi non conosce la natura universale e immutabile dell'uomo? Se dunque il principe conosce tutto ciò, dunque sospetta del suo nemico; dunque anche non volendo, è obbligato a tenersi e provvedersi in modo ch'egli sappia resistere quanto più si può, a qualunque forza che il nemico voglia impiegare per attaccarlo. Chi è colui che possa levar mille uomini, e ne levi cento, non sapendo se il nemico l'assalterà [908]con cento o con mille, anzi avendo più da creder questo che quello? E quando si fosse fatto l'accordo generale, e osservatolo per lungo tempo, tanto maggiore sarebbe il vantaggio proposto a chi improvvisamente rompesse il patto: e quindi presto o tardi questo tale non mancherebbe. Ciò lo metterebbe in pieno possesso del suo nemico, e dopo un esempio solo di questa sorta, ognuno diffiderebbe, nessuno vorrebbe sull'incertezza arrischiare il tutto, e tutti ritornerebbero al primo costume. E ciò si deve intendere non meno in tempo di guerra che di pace, essendo sempre continuo il pericolo che i governi portano l'uno dall'altro. E ciò ancora è manifesto dal fatto, e dalle grandi forze che si tengono ora in tempo di pace, così che non c'è ora un tempo dove un paese resti disarmato, anzi non bene armato, a differenza sì de' tempi antichi, sì de' secoli cristiani anteriori a questi ultimi.
Da tutto ciò segue che le armate non solo non iscemeranno più, ma cresceranno sempre, cercando naturalmente ciascuno di superare l'altro con tutte le sue forze, e le sue forze stendendosi quanto quelle della nazione: che quindi le nazioni intiere, come fra gli antichi, si scanneranno scambievolmente, ma non, come fra gli antichi, spontaneamente, e di piena volonterosità , anzi vi saranno cacciate per marcia forza; non odiandosi scambievolmente, anzi essendo in piena indifferenza, e forse anche bramando di esser vinte (perchè, ed anche questo è notabile, perduto l'amor di patria, e l'indipendenza interna, la novità del padrone, e delle leggi, governo ec. non solo non è odiata nè temuta, ma spesso desiderata e preferita) non per il proprio bene, ma per l'altrui; non per il ben comune, ma di uno solo; anzi di quei soli che abborriranno più di qualunque altro, [909]e più assai di chi combatteranno; insomma non secondo natura, nè per effetto naturale, ma contro natura assolutamente. E lo stesso dite di tutte le altre conseguenze del dispotismo, sì rispetto alla guerra, come indipendentemente da essa. Cioè i popoli, sì per causa delle proprie e delle altrui armate, sì astraendo da ciò, saranno smunti, impoveriti, disanguati, privati delle loro comodità , impedita o illanguidita l'agricoltura, collo strapparle i coltivatori, e collo spogliarla del prodotto delle sue fatiche; inceppato e scoraggiato il commercio e l'industria, collo impadronirsi che farà del loro frutto, il sempre crescente dispotismo ec. ec. ec. In somma le nazioni, senza odiarsi come anticamente, saranno però come anticamente desolate, benchè senza tumulto, e senza violenza straordinaria; lo saranno dall'interno più che dall'estero, e da questo ancora, secondo le circostanze ec. ec. E tutto ciò non già verisimilmente, o senza una stabile e necessaria cagione, ma per conseguenza immancabile della natura umana, la quale non perchè sia diversa e peggiore ne' principi, ma semplicemente come natura umana, li porterà inevitabilmente a tutto questo; e il fatto già lo dimostra in moltissime e grandissime parti. E tutto ciò senza ricavarne quell'entusiasmo, quel movimento, quelle virtù, quel valore, quel coraggio, quella tolleranza dei mali e delle fatiche, quella costanza, quella forza, quella vita pubblica e individuale, che derivava agli antichi anche dalle stesse grandi calamità : anzi per lo contrario, crescendo in proporzione delle moderne calamità , [910]il torpore, la freddezza, l'inazione, la viltà , i vizi, la monotonia, il tedio, lo stato di morte individuale, e generale delle nazioni. Ecco i vantaggi dell'incivilimento, dello spirito filosofico e di umanità , del diritto delle genti creato, dell'amore universale immaginato, dell'odio scambievole delle nazioni distrutto, dell'antica barbarie abolita.
Queste mie osservazioni sono in senso tutto contrario a quello dell'Essai ec. loc. cit. da me p.888. il quale fa derivare la moltitudine delle armate moderne dallo spirito ed odio nazionale, ed egoismo delle nazioni, ed io (credo molto più giustamente) dalla totale ed ultima estinzione di questo spirito, e quindi di quest'odio, e di questo egoismo.
6. Non solamente le virtù pubbliche, come ho dimostrato, ma anche le priv...
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