[Pagina precedente]...ello stomaco, e non voglio aver dei nemici a credenza, come mastro-don Gesualdo!...
Marito e moglie si guardarono negli occhi.
- Son padre di famiglia! - tornò a dire il barone. - Devo difendere i miei interessi... Scusate... Se giochiamo a darci il gambetto fra di noi!...
Donna Giuseppina prese la parola lei, scandolezzata:
- Ma che discorsi son questi?... Scusatemi piuttosto se metto bocca nei vostri affari. Ma infine siamo parenti...
- Questo dico io. Siamo parenti! Ed è meglio stare uniti fra di noi... di questi tempi!...
Don Ninì gli stese la mano: - Che diavolo!... che sciocchezze!... - Quindi si sbottonò completamente, guardando ogni tanto sua moglie: - Venite in teatro questa sera, per la cantata dell'inno. Fatevi vedere insieme a noialtri. Ci sarà anche il canonico. Dice che non fa peccato, perché è l'inno del papa... Discorreremo poi... Bisogna metter mano alla tasca, amico mio. Bisogna spendere e regalare. Vedete io?
E agitava in aria le chiavi della cantina. La vecchia, che non aveva perduto una parola di tutto il discorso, sebbene nessuno badasse a lei, si mise a grugnire in una collera ostinata di bambina, gonfiando apposta le vene del collo per diventar pavonazza in viso. Ricominciò il baccano: nuora e figliuolo la sgridavano a un tempo; lei cercava di urlar più forte, agitando la testa furibonda. Accorse anche Rosaria, col ventre enorme, le mani sudice nella criniera arruffata e grigiastra, minacciando la paralitica lei pure:
- Guardate un po'! E' diventata cattiva come un asino rosso! Cosa gli manca, eh? Mangia come un lupo!
Rosaria non la finiva più su quel tono. Il barone Zacco pensò bene di accomiatarsi in quel frangente.
- Dunque, stasera, alla cantata.
IV
C'era un teatrone, poiché s'entrava gratis. Lumi, cantate, applausi che salivano alle stelle. La signora Aglae era venuta apposta da Modica, a spese del comune, per declamare l'inno di Pio Nono ed altre poesie d'occasione. Al vederla vestita alla greca, con tutta quella grazia di Dio addosso, prosit a lei, don Ninì Rubiera, nella commozione generale, si sentiva venire le lagrime agli occhi, e smanacciava più forte degli altri, borbottando fra di sé:
- Corpo di!... E' ancora un bel pezzo di donna!... Fortuna che non ci sia mia moglie qui!...
Ma i rimasti fuori, che spingevano senza poter entrare, partirono finalmente a strillare viva e morte per conto proprio; e quanti erano in teatro, al baccano, uscirono in piazza, lasciando la prima donna e il signor Pallante a sbracciarsi da soli, colle bandiere in mano. In un momento si riunì una gran folla, che andava ingrossando sempre al par di un fiume.
Udivasi un gridìo immenso, degli urli che nel buio e nella confusione suonavano minacciosi. Don Niccolino Margarone, Zacco, Mommino Neri, tutti i bene intenzionati, si sgolavano a chiamare "fuori i lumi!" per vederci chiaro, e che non nascessero dei guai.
La folla durò un pezzo a vociare di qua e di là . Indi si rovesciò come un torrente giù per la via di San Giovanni. Dinanzi all'osteria di Pecu-Pecu c'era un panchettino con dei tegami di roba fritta che andò a catafascio - petronciani e pomidoro sotto i piedi. Santo Motta, che stava lì di casa e bottega, strillava come un ossesso, vedendo andare a male tutta quella roba.
- Bestie! animali! Che non ne mangiate grazia di Dio? - Quasi pestavano anche lui, nella furia. Giacalone e i più infervorati proposero di sfondar l'uscio della chiesa e portare il santo in processione, per far più colpo. Sì e no. - Bestemmie e sorgozzoni, lì all'oscuro, sul sagrato. Mastro Cosimo intanto s'era arrampicato sul campanile e suonava a distesa. Le grida e lo scampanìo giungevano sino all'Alìa, sino a Monte Lauro, come delle folate di uragano. Dei lumi si vedevano correre nel paese alto, - un finimondo. A un tratto, quasi fosse corsa una parola d'ordine, la folla s'avviò tumultuando verso il Fosso, dietro coloro che sembravano i caporioni. Mèndola, don Nicolino, lo stesso canonico Lupi che s'era cacciato nella baraonda a fin di bene, strillavano inutilmente: - Ferma! ferma! - Il barone Zacco, non avendo più le gambe di prima, faceva piovere delle legnate, a chi piglia piglia, per far intender ragione agli orbi.
- Ehi? Che facciamo?... Adagio, signori miei!.. Non cominciamo a far porcherie! In queste cose si sa dove si comincia e non si sa...
Come molti avevano messo orecchio al discorso di sfondar usci e far la festa a tutti i santi, la marmaglia ora pigiavasi dinanzi ai magazzini di mastro-don Gesualdo. Dicevasi ch'erano pieni sino al tetto. - Uno ch'era nato povero come Giobbe, e adesso aveva messo superbia, ed era nemico giurato dei poveretti e dei liberali! - Coi sassi, coi randelli - due o tre s'erano armati di un pietrone e davano sulla porta che parevano cannonate. Si udiva la vocetta stridula di Brasi Camauro il quale piagnucolava come un ragazzo:
- Signori miei! Non c'è più religione! Non vogliono più sapere né di cristi né di santi! Vogliono lasciarci crepare di fame tutti!
All'improvviso dal frastuono scapparono degli urli da far accapponare la pelle. Santo Motta malconcio e insanguinato, rotolandosi per terra, riescì a far fare un po' di largo dinanzi all'uscio del magazzino. Allora i galantuomini, vociando anche loro, spingendo, tempestando, cacciarono indietro i più riottosi. Il canonico Lupi, aggrappato alla inferriata della finestra, tentava di farsi udire:
-... maniera?... religione!... la roba altrui!... il Santo Padre!... se cominciamo... - Altre grida rispondevano dalla moltitudine: -... eguali... poveri... tirare pei piedi!... bue grasso!... - Giacalone, onde aizzar la folla, spinse avanti i due bastardi di Diodata ch'erano nella calca, schiamazzando: -... don Gesualdo!... se c'è giustizia!... abbandonati in mezzo a una strada!... se ne lagna anche Domeneddio!... andare a fare i conti con lui!...
Dalla piazza di Santa Maria di Gesù, dalle prime case di San Sebastiano, i vicini, spaventati, videro passare una fiumana di gente, una baraonda, delle armi che luccicavano, delle braccia che si agitavano in aria, delle facce accese e stravolte che apparivano confusamente al lume delle torce a vento. Usci e finestre si chiudevano con fracasso. Si udivano da lontano strilli e pianti di donne, voci che chiamavano: - Maria Santissima! Santi cristiani!...
Don Gesualdo era in letto malato, quando udì bussare alla porticina del vicoletto che pareva volessero buttarla giù. Poi il rombo della tempesta che sopravveniva. La sera stessa un'anima caritatevole era corsa a prevenirlo: - Badate, don Gesualdo! Ce l'hanno con voi perché siete borbonico. Chiudetevi in casa! - Lui, che aveva tanti altri guai, s'era stretto nelle spalle. Ma al vedere adesso che facevano sul serio, balzò dal letto così come si trovava, col fazzoletto in testa e il cataplasma sullo stomaco, infilandosi i calzoni a casaccio, mettendo da parte i suoi malanni, a quella voce che gli gridava:
- Don Gesualdo!... presto!... scappate!...
Una voce che non l'avrebbe dimenticata in mille anni! Arruffato, scamiciato, cogli occhi che luccicavano, simili a quelli di un gatto inferocito, nella faccia verde di bile, andava e veniva per la stanza, cercando pistole e coltellacci, risoluto a vender cara la pelle almeno. Mastro Nardo e quei pochi di casa che gli erano rimasti affezionati pel bisogno si raccomandavano l'anima a Dio. Finalmente il barone Mèndola riescì a farsi aprire l'uscio del vicoletto. Don Gesualdo, appostato alla finestra col fucile, stava per fare un subisso.
- Eh! - gridò Mèndola entrando trafelato. - Tirate ad ammazzarmi, per giunta? Questa è la ricompensa?
L'altro non voleva sentir ragione. Tremava tutto dalla collera.
- Ah! così? A questo punto siamo arrivati, che un galantuomo non è sicuro neppure in casa? che la roba sua non è più sua? Eccomi! Cadrà Sansone con tutti i Filistei, però! Lo stesso lupo, quando lo mettono colle spalle al muro!... - Zacco, e due o tre altri benintenzionati ch'erano sopravvenuti intanto, sudavano a persuaderlo, vociando tutti insieme:
- Che volete fare? Contro un paese intero? Siete impazzito? Bruceranno ogni cosa! Cominciano di qua la Strage degli Innocenti! Ci farete ammazzare tutti quanti!
Lui s'ostinava, furibondo, coi capelli irti:
- Quand'è così!... Giacché pretendono metterci le mani in tasca per forza!... Giacchè mi pagano a questo modo!... Ho fatto del bene... Ho dato da campare a tutto il paese... Ora gli fo mangiar la polvere, al primo che mi capita!...
Proprio! Era risoluto di fare uno sterminio. Per fortuna irruppe nella stanza il canonico Lupi, e gli si buttò addosso senza badare al rischio, spingendolo e sbatacchiandolo di qua e di là , finché arrivò a strappargli di mano lo schioppo. - Che diavolo! Colle armi da fuoco non si scherza! - Aveva il fiato ai denti, il cranio rosso e pelato che gli fumava come quando era giovane, e balbettava colla voce rotta:
- Santo diavolone!... Domeneddio, perdonatemi! Mi fate parlare come un porco, don asino! Siamo qui per salvarvi la vita, e non ve lo meritate! Volete far mettere il paese intero a sacco e fuoco? Non m'importa di voi, bestia che siete! Ma certe cose non bisogna lasciarle incominciare neppure per ischerzo, capite? Neppure a un nemico mortale! Se coloro che sinora si sfogano a gridare, pigliano gusto anche a metter mano nella roba altrui, siamo fritti!
Il canonico era addirittura fuori della grazia di Dio. Gli altri davano addosso ancor essi su quella bestia testarda di mastro-don Gesualdo che risicava di comprometterli tutti quanti; lo mettevano in mezzo; lo spingevano verso il muro; gli rinfacciavano l'ingratitudine; lo stordivano. Il barone Zacco arrivò a passargli un braccio al collo, in confidenza, confessandogli all'orecchio ch'era con lui, contro la canaglia; ma pel momento ci voleva prudenza, lasciar correre, chinare il capo. - Dite di sì... tutto quello che vogliono, adesso... Non c'è lì il notaio per mettere in carta le vostre promesse... Un po' di maniera, un po' di denaro... Meglio dolor di borsa che dolor di pancia...
Don Gesualdo, seduto su di una seggiola, asciugandosi il sudore colla manica della camicia, non diceva più nulla, stralunato. Giù al portone intanto il barone Rubiera, don Nicolino, il figlio di Neri, si sbracciavano a calmare i più riottosi.
- Signori miei... Avete ragione... Si farà tutto quello che volete... Abbiamo la bocca per mangiare tutti quanti... Viva! viva!... Tutti fratelli!... Una mano lava l'altra... Domani... alla luce del sole. Chi ha bisogno venga qui da noi... Ora è tardi, e siamo tutti d'un colore... birbanti e galantuomini... Ehi! ehi, dico!...
Don Nicolino dovette afferrare pel collo un tale che stava per cacciarsi dentro il portone socchiuso, approfittando della confusione e della ressa che facevasi attorno a una donna la quale strillava e supplicava:
- Nunzio! Gesualdo! Figliuoli miei!... Che vi fanno fare?... Nunzio... Ah Madonna santa!...
Era Diodata, la quale aveva sentito dire che i suoi ragazzi erano nella baraonda, a gridare viva e morte contro don Gesualdo anche loro, ed era corsa colle mani nei capelli. - Madonna santa! che vi fanno fare!... - Zacco e mastro Nardo portarono giù intanto dei barili pieni, e aiutavano a metter pace mescendo da bere a chi ne voleva, mentre il canonico di lassù predicava:
- Domani! Tornate domani, chi ha bisogno... Adesso non c'è nessuno in casa... Don Gesualdo è fuori, in campagna... ma col cuore è anch'esso qui, con noialtri... per aiutarvi... Sicuro... Ciascuno ha da avere il suo pezzo di pane e il suo pezzo di terra... Ci aggiusteremo... Tornate domani...
- Domani, un corno! - brontolò di dentro don Gesualdo. - Mi pare che vossignoria aggiustate ogni cosa a spese mie, canonico!
- Volete star zitto! Volete farmi fare la figura di bugiardo?... Se ho detto che non ci siete, per salvarvi la pelle...
Don Gesualdo tornò a ribellarsi:
- Perchè? Che ho fatto? Io sono in casa mia!...
- Avete fatto che siete ricco come un maiale! - gli urlò infine all'orecchio il canonico che perse la pazienza. Gli altri allora l'assaltaro...
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