[Pagina precedente]... antiche circostanze giovando sommamente e promovendo l'immaginazione, sfavorissero la profonda riflessione, l'ho già spiegato molte volte. Laonde io dico che un uomo di genio il quale venti o più secoli fa si fosse trovato nelle circostanze in cui si trova oggi il particolare, non ostante la differenza dei lumi, e il minor numero delle cognizioni, avrebbe [1353]potuto arrivare da se stesso appresso a poco a quel punto a cui sono arrivati i moderni filosofi e metafisici sommi, o se non altro accostarsi moltissimo a quelle verità che gli antichi o non hanno pur travedute, o per difetto della lingua ec. non hanno potuto determinare, nè comunicare altrui, nè fissare nella stessa lor mente. Ma un tal uomo in tali circostanze, si sarebbe probabilmente formata anche una lingua sufficiente. ec. Questo è confermato dal vedere 1. che tra gli antichi, in piccole differenze di tempi e di lumi, si trovano grandissime differenze di pensare e di filosofia, secondo le diverse circostanze. Quanto è distante Tacito da Livio? Appena un secolo. Morì Livio l'anno 17. nacque Tacito secondo il Lipsio (Vit. Taciti) verso il 54. di Cristo, cioè 37 anni dopo. Quanto progresso potevano aver fatto le cognizioni universali ec. e lo spirito umano generalmente, in sì poco tempo? Eppure qual differenza di profondità. Anzi si può dire che Livio è il tipo del genere storico antico, Tacito del moderno. 2. che tra i moderni si trovano pure le stesse differenze in un medesimo tempo ec. per diverse circostanze di vita. Chi non sa che l'uomo, e l'ingegno, e i parti e i frutti dell'ingegno, tutto è opera delle circostanze?
[1354]Da queste osservazioni deducete che siccome le circostanze presenti sì favorevoli alla riflessione, e alla investigazione degli astratti, non sono naturali, così la natura aveva ben provveduto anche allo stato sociale dell'uomo, anche a quelle verità che dovevano giovare a questo stato, e servirgli di base; verità ben note agli antichi, tanto meno profondi di noi. Che giovano finalmente le verità astratte, quando anche in un eccesso di metafisica, la mente umana non si smarrisse? Quanto erano più utili quelle verità che io stabiliva circa la politica ec. di queste più metafisiche, alle quali ora mi porta l'avanzamento, e il naturale andamento e assottigliamento successivo del mio intelletto! Così che si può dire che la filosofia (intendendo la morale ch'è la più, e forse la sola utile) era, quanto all'utilità, già perfetta al tempo di Socrate che fu il primo filosofo delle nazioni ben conosciute; o vogliamo dire al tempo di Salomone. Ed ora benchè tanto avanzata, non è più perfetta, anzi meno, perchè soverchia, e quindi corrotta anch'essa, corrotta anche la ragione, come la civiltà e la natura. [1355]Corrotta, dico, per eccesso, come queste ec. Giacchè la perfezione o imperfezione e corruzione, si deve misurare dal fine di ciascheduna cosa, e non già assolutamente.
(20. Luglio 1821.)
Una cosa è tanto più perfetta quanto le sue qualità sono meglio ordinate al suo fine. Questa perfezione evidentemente relativa, si può misurare, e paragonare anche con perfezioni d'altri generi. Ma la maggiore o minor perfezione dei diversi fini come si può misurare? come si possono comparare i diversi fini? Che ragione assoluta, che norma comparativa esiste indipendentemente da checchessia, per giudicare questo fine più perfetto o migliore di quello, fuori di un medesimo sistema di fini? (Giacchè dentro un medesimo sistema, i fini subalterni si possono paragonare: non sono però veramente fini, ma mezzi, e parti, e qualità anch'essi del sistema.) Come dunque si può assolutamente giudicare della maggiore o minor perfezione astratta delle cose? E come può sussistere un bene o un male assoluto, una bontà o bellezza assoluta, o i loro contrari?
(20. Luglio 1821.)
[1356]Un viso bellissimo, il quale abbia qualche somiglianza con una fisonomia di nostro controgenio, o che abbia l'idea, l'aria di un'altra fisonomia brutta ec. ec. non ci par bello.
(20. Luglio 1821.)
È cosa già nota che la letteratura e poesia vanno a ritroso delle scienze. Quelle ridotte ad arte isteriliscono, queste prosperano; quelle giunte a un certo segno, decadono, queste più s'avanzano, più crescono; quelle sono sempre più grandi più belle più maravigliose presso gli antichi, queste presso i moderni; quelle più s'allontanano dai loro principii, più deteriorano, finchè si corrompono, queste più son vicine ai loro principii più sono imperfette, deboli, povere, e spesso stolte. La cagione è che il principal fondamento di quelle è la natura, la quale non si perfeziona (fuorchè ad un certo punto) ma si corrompe; di queste la ragione la quale ha bisogno del tempo per crescere, ed avanza in proporzione de' secoli, e dell'esperienza. La qual esperienza è maestra della ragione, nutrice, educatrice della ragione, e omicida della natura. Così dunque accade rispetto alle lingue. [1357]Quelle qualità loro che giovano per l'una parte alla ragione, e per l'altra da lei dipendono, si accrescono e perfezionano col tempo; quelle che dipendono dalla natura, decadono, si corrompono, e si perdono. Quindi le lingue guadagnano in precisione, allontanandosi dal primitivo, guadagnano in chiarezza, ordine, regola ec. Ma in efficacia, varietà ec. e in tutto ciò ch'è bellezza, perdono sempre quanto più s'allontanano, da quello stato che costituisce la loro primitiva forma. La combinazione della ragione colla natura accade quando elle sono applicate alla letteratura. Allora l'arte corregge la rozzezza della natura, e la natura la secchezza dell'arte. Allora le lingue sono in uno stato di perfezione relativa. Ma qui non si fermano. La ragione avanza, e avanzando la ragione, la natura retrocede. L'arte non è più contrabbilanciata. La precisione predomina, la bellezza soccombe. Ecco la lingua che avendo perduto il suo primitivo stato di natura, e l'altro più perfetto di natura regolata, o vogliamo dire formata, cade [1358]nello stato geometrico, nello stato di secchezza, e di bruttezza. (La lingua francese nella sua formazione, si accostò fin d'allora, per le circostanze del tempo, a quest'ultimo stato, perchè prevalse in essa la ragione, e l'equilibrio fra l'arte e la natura, nella lingua francese non vi fu mai, o non mai perfetto.) I filosofi chiamano questo stato, stato di perfezione, i letterati, stato di corruzione.
Nessuno ha torto. Quelli che hanno a cuore la bellezza di una lingua, hanno ragione di essere malcontenti del suo stato moderno, e saviamente la richiamano a' suoi principii; voglio dire al tempo della sua formazione, e non più là, che questo pazzamente si pretende, e volendo rigenerare la lingua, anche quanto alla bellezza, si fa l'opposto, perchè si caccia da un estremo ad un altro: e negli estremi la bellezza non può stare, bensì nel mezzo, e in quel punto in cui ella è formata e perfezionata. Quelli a' quali preme che la lingua serva agl'incrementi della ragione, raccomandano la precisione, promuovono la ricchezza de' termini, fuggono e scartano le voci e frasi ec. che sono belle ed eleganti con danno della sicurezza [1359]e chiarezza e facilità ec. della espressione; ed odiano l'antica forma, insufficiente e dannosa allo stabilimento e comunicazione delle profonde e sottili verità.
Come dunque faremo? L'andamento delle cose umane, è questo; questo l'andamento delle lingue. La perfezione filosofica di una lingua può sempre crescere; la perfezione letterata, dopo il punto che ho detto, non può crescere (eccetto ne' particolari) anzi non può se non guastarsi e perdersi. Tutti due hanno ragione, e grandissima. Converrebbe accordarli insieme. La cosa è difficile, ma non impossibile. Una lingua, massime come la nostra (non così la francese), può conservare o ripigliare le antiche qualità, ed assumere le moderne. Se gli scrittori saranno savi, ed avranno vero giudizio, il mezzo di concordia è questo.
Dividersi perpetuamente i letterati e i poeti, da' filosofi. L'odierna filosofia che riduce la metafisica, la morale ec. a forma e condizione quasi matematica, non è più compatibile con la letteratura e la poesia, com'era compatibile quella de' tempi ne' quali fu formata la lingua nostra, la latina, la greca. (Ho già detto che la francese non ha vera letteratura nè poesia, eccetto quella letteratura epigrammatica e di conversazione, ch'è loro propria, e dove riescono assai bene; che il resto è piuttosto filosofia che letteratura.) La filosofia di Socrate poteva e potrà sempre [1360]non solo comparire, ma infinitamente servire alla letteratura e poesia, e gioverà pur sempre agli uomini più dell'odierna (v. p.1354.), dalla quale non negherò che non possa ricevere qualche miglioramento, quasi accessorio, o quasi rifiorimento. Ma la filosofia di Locke, di Leibnizio ec. non potrà mai stare colla letteratura nè colla vera poesia. La filosofia di Socrate partecipava assai della natura, ma questa nulla ne partecipa, ed è tutta ragione. Perciò nè essa nè la sua lingua è compatibile colla letteratura, a differenza della filosofia di Socrate, e della di lei lingua. La qual filosofia è tale che tutti gli uomini un poco savi ne hanno sempre partecipato più o meno in tutti i tempi e nazioni, anche avanti Socrate. È una filosofia poco lontana da quello che la natura stessa insegna all'uomo sociale. Si dividano dunque le lingue, e la nostra che tante ne contiene, e così diverse anche dentro uno stesso genere, potrà ben contenere allo stesso tempo una lingua bella, e una lingua filosofica. Ed allora avrà una filosofia, e seguirà ad avere quella poesia, e quella letteratura nella quale ha sempre superato tutte le moderne.
Conosco bene che l'età del vero non è quella del bello: e che un secolo o un terreno fecondo di grandi intelletti, difficilmente sarà fecondo di grandi immaginazioni e sensibilità, perchè gl'ingegni degli uomini si modificano secondo le circostanze. In tal caso sarà sempre costante che siccome questa è l'età del vero, bisogna che la lingua nostra assuma le qualità che servono al vero, e ch'ella non ebbe mai. Quando però l'Italia, terra del bello e del grande, possa pur continuare [1361]a produrre ingegni atti alla letteratura e alla poesia, l'unico mezzo di fare che anche questi abbiano o seguano ad avere una lingua, e non pregiudicata dalla natura del secolo, è quello che ho detto.
(20. Luglio 1821.)
Tutto ciò si deve applicare non solo alle lingue, ma alle letterature ancora, la cui perfezione parimente consiste in quel punto che ho detto delle lingue, ec. ed alle quali parimente conviene separarsi dalla moderna filosofia, ed ai letterati non esser filosofi alla moderna, non solo nelle scritture, ma, se è possibile, neppur nell'animo ec.
(21. Luglio 1821.)
????? ??? ????, rien du tout, pas (che val propriamente nulla) du tout.
(21 Luglio 1821.)
Chi vuol vedere la differenza fra l'amor patrio antico e moderno, e fra lo stato antico e moderno delle nazioni, e fra l'idea che s'aveva anticamente, e che si ha presentemente del proprio paese ec. consideri la pena dell'esilio, usitatissima e somma presso gli antichi, ed ultima pena de' cittadini romani; ed oggi quasi disusata, e sempre minima, e [1362]spesso ridicola. Nè vale addurre la piccolezza degli stati. Presso gli antichi l'essere esiliato da una sola città, fosse pur piccola, povera, infelice quanto si voglia, era formidabile, se quella era patria dell'esiliato. Così forse anche oggi nelle parti meno civili; o più naturali, come la Svizzera ec. ec. il cui straordinario amor patrio è ben noto ec. Oggi l'esilio non si suol dare veramente per pena, ma come misura di convenienza, di utilità ec. per liberarsi della presenza di una persona, per impedirla da quel tal luogo ec. Non così anticamente dove il fine principale dell'esiliare, era il gastigo dell'esiliato. ec. ec. (21. Luglio 1821.). La gravità della pena d'esilio consisteva nel trovarsi l'esiliato privo de' diritti e vantaggi di cittadino (giacchè altrove non poteva essere cittadino), i quali anticamente eran...
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