[Pagina precedente]... fabricaverunt peccatores;" e poichè al primitivo disegno della fabbrica fu aggiunto un altro braccio, rieccoti il padre Tebro a proseguire collo stesso versetto: "et prolongaverunt iniquitatem suam."
Talvolta la satira si fa lecito di penetrare nel santuario delle pareti domestiche. Ciò non è bene; ma tuttavia non possiamo astenerci dal recarne un curioso esempio.
Un buon diavolo di avvocato condusse in moglie una giovane un po' cervellina. Per un capriccio del caso, egli si chiamava Cesare, ed ella Roma. Il giorno delle nozze, l'avvocato trovò sulla porta di casa questo avvertimento:
CAVE, CÆSAR, NE ROMA TUA RESPUBLICA FIAT.
Ei non era uomo da perdersi per così poco: staccò il cartellino, e ce ne mise un altro con questa risposta:
STULTE! CÆSAR IMPERAT.
Il satirico, che in furberia poteva dar dei punti al diavolo, vedendo quella risposta, vi scrisse sotto:
IMPERAT?... ERGO CORONATUS EST!
L'avvocato non fiatò più.
Allorchè, nel 1853, il celebre areonauta bolognese Piana morì per aria assiderato, il luttuoso caso fornì argomento a una satira, della quale non ricordo che pochi versi. Il Piana era andato personalmente dal Santo Padre a chiedergli il permesso di volar nel pallone, e Pio IX, concedendoglielo, aveva voluto per soprammercato impartirgli la benedizione apostolica. È noto che Pio IX ha fama di jettatore per eccellenza: ebbene, la satira diceva così:
Morì per l'aere l'infelice Piana,
Lottando con libeccio e tramontana.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ma già si prevedea un destin fatale.
Per l'alzata di Pio, che ha sempre male!
Il Papa fu dolente della morte del Piana, e certo dovette risaper della satira; perocchè pochi anni dopo, una signora chiese il permesso di fare un'ascensione, e le fu ricisamente niegato. Allora essa domandò che almeno le si desse facoltà di metter nel pallone una bestia qualunque - ben inteso che non portasse chierica; - e questo le fu concesso. La scelta cadde sopra una povera pecora, che fece la sua ascensione tra gli schiamazzi di una pazza moltitudine. Il pallone ricadde presso gli orti farnesiani, e il giorno vegnente, sui muri di quella contrada si trovò scritto a lettere cubitali:
Quest'anno è volata la pecora; st'altr'anno volerà il pastore.
Predizione che non si è, pur troppo, avverata!
Quando nel 1857 Pio IX andò a fare il famoso viaggio per gli Stati felicissimi, all'atto della partenza, mentre saliva in carrozza, il grande elemosiniere di Corte - vecchio monsignore, secentista per la pelle - gli diresse queste parole:- "Beatissimo padre! Voi partite bello e splendido come il sole che risplende in questa bella giornata, ed io vi auguro che torniate vegeto e grasso come la luna." - "Che aritorna a quarti a quarti!" soggiunse nell'orecchio a' compagni un trasteverino che per curiosità si trovava lì presso.
Arrivato a Sinigaglia o a Bologna, il Papa ricevette colla posta di Roma una lettera, nella quale era scritto: "Santo Padre!" e poi seguiva, senz'altro, il numero 610, che letto cifra per cifra, significa: "Sei uno zero." Dicono che Pio IX; solito a ridere delle pasquinate, indovinando quel complimento, facesse un po' la brutta cera.
Nella Piazza di sant'Eustacchio, sopra un casotto dove la sera dell'Epifania si vendevano pupazzi pei bimbi, si videro scritte queste parole: "La ville de Paris."
Anche l'anagramma vanta a Roma i suoi cultori. La parola cardinali, per esempio, fu da tempo immemorabile voltata a significare ladri cani.
Le iniziali R. C. A., poste sulla insegna di una prenditoria del lotto, e che significano Reverenda Camera Apostolica, vennero interpretate: Rubate, canaglia, allegramente.
Durante la effimera Repubblica del '49, nella farmacia di un tal Peretti stava un bel pappagallo, ammaestrato a dir villanie ai preti, quando li vedeva passare. Dopo la restaurazione del Governo pontificio, il povero animale fu catturato, e non se ne seppe più nuova. È probabile che finisse anche lui vittima delle feroci repressioni del Triumvirato rosso.(15) Circolò allora una satira intitolata: Il Pappagallo di Peretti mandato in esilio dalla Commissione governativa; satira che fu letta avidamente, e che, non ostante la soverchia prolissità e la trascuratezza della forma, è bella per molti passi in cui è toccata la vera corda del ridicolo, e per un affetto vivo e direi quasi disperato sulle sventure d'Italia. Leggendola, ti accorgi subito che non fu scritta da un poeta laureato; e perciò la riferisco quasi per intero, a comprovare sempre più quel che ho detto in principio, che cioè a Roma si nasce coll'epigramma sulle labbra.
La satira comincia così:
O dei volatili
Pinto drappello,
Odi la storia
D'un tuo fratello.
Nella romulea
Città beata,
Dal suo Pontefice
Infranciosata,
Era bellissimo
Un pappagallo,
Bianco, porpureo
E verde e giallo.
Presso d'un chimico
Laboratorio,
Cantava i scandali
Del fu Gregorio.
Era satirico
Motteggiatore,
E de' retrogradi
Persecutore.
Vedea canonici,
Frati e piovani?...
Gridava subito
"Razza di cani!"
Un dì battendosi
Vita per vita,
Beccò la chierica
D'un gesuita.
Siccome indigeno
Americano,
Era fierissimo
Repubblicano;
Quindi in sua stridula
Lingua nativa,
Alla Repubblica
Cantava evviva.
Ma ecco, un bacchettone va e riferisce al Triumvirato rosso che il pappagallo ha dato dell'apostata a papa Mastai. Le eminenze, sorprese del novissimo caso e dell'audacia della bestia,
Cospetto! (esclamano)
Anche gli augelli
In questo secolo
Sono rubelli?
È un sacrilegio
Con malefizio:
Bisogna chiuderlo
Al sant'Uffizio.
è bestia eretica,
Indemoniata,
In cÂœna Domini,
Scomunicata. -
Ma cessato questo primo bollore di collera, le eminenze si accorgono d'aver detto spropositi:
Ah! no, alle bestie
Non istà bene
Dar la scomunica
In bulla cÂœna. -
- Ebben (ripiglia
Il Della Genga),
Ad un rimedio
Dunque si venga:
Vada in esilio
Fuor degli stati,
A far combriccole
Cogli emigrati -
- In Christo Domino
Cari fratelli,
(Rispose il bambolo
Di Vannicelli),
Io per l'ergastolo
Ho più passione;
Questo volatile
È un demagogo;
Senza giudizio,
Si danni al rogo. -
- Non è più l'epoca
D'esser severi
(Disse il patrizio
Mistico Altieri
Questa è politica
Punizione! -
E qui la trïade
Dissenziente
Ai voti appellasi
Inimantinente.
Fu per l'esilio
La maggioranza,
D'appello o grazia
Senza speranza.
E a questo punto il poeta compiange la sorte del povero pappagallo, il quale non troverà un lembo di terra che lo accolga nella sventura. "Se tu vai in Austria, gli dice, ti rinchiudono nello Spielbergo. In Inghilterra, son tutti mercanti e ti venderebbero per pochi soldi. In Ispagna, c'è donna Isabella, che ama gli uccelli, è vero, ma senza favella. Se torni in America, i tuoi compagni ti fischiano. Dunque, dove si va? Ah! ecco, è trovata! In Francia. Ma che! tu ridi? Orsù, ascoltami:
Di': per qual crimine
Ti dan lo sfratto?
Per le tue chiacchiere,
Per nessun fatto.
Ebben, tal genere
Di crimenlese
É proprio il genio
Di quel paese.
Colà , di chiacchiere
E cicalate
Si fa commercio,
E son pagate.
Thiers, il celebre,
Con che s'aiuta?
Colla linguaccia
Che s'è venduta!
. . . . . . . . .
E i capocomici
Dell'Assemblea
Non fanno vendita
Di panacèa?
Là v'è commedia
Ogni momento,
Sotto il bel titolo
Di parlamento.
Chi più sofistica
Ha più ragione,
E chi più strepita
È un Cicerone.
LÃ le bestie fanno fortuna, e ve n'ha di tutte le razze:
Bestie che rodono
Tozzo plebeo;
Bestie che vestono
Da generali;
Bestie che gracchiano
Da curiali;
Bestie che nacquero
Presso del soglio;
Bestie che rubano
Il portafoglio.
. . . . . . . . . .
E non è l'ultimo
In tal corteggio
L'eminentissimo
Duca di Reggio.
Di Roma il lauro
Porta sul fronte,
Generalissimo
Rinoceronte.
E de' suoi militi
Alla presenza
Legge il chirografo
Dell'indulgenza
Che il gran Pontefice
Scrisse a que' bravi
Che combatterono
Per le sue chiavi.
Bestie che ingrassano
Nell'Eliseo;
Oh! dolce premio
Di sacre mani,
Per un esercito
Di sagrestani!
Ma la grossissima
Bestia potente,
Della Repubblica
È il Presidente.
Bestia cattolica,
Belligerante,
Nella politica
È un elefante.
Ei scrive lettere,
Détta messaggi;
Ma ci si nettano
Ministri e paggi.
Vorrebbe l'aquila
Di quel divino...
Ma un teschio d'asino
Gli sta vicino.
Cerca la celebre
Spada fatale,
Ma stringe il manico
Dell'orinale!
Va dunque, mio pappagallo; chè là , fra tante bestie, farai fortuna tu pure:
Vanne, e salutami
La grande armata,
Che già s'esercita
Alla parata.
Saluta i poveri
Nostri emigrati
E i democratici
Perseguitati.
E, se d'Italia
Parlar ti lice,
Narra lo strazio
Dell'infelice!
Di'... ma deh! lascia,
Per carità !
Neppur un'anima
T'ascolterà .
Narra l'infamia
Di Rostolano,(16)
Che a feccia d'uomini
Diede la mano:
E de' suoi militi
Narra lo scempio,
Ridotti ad essere
Sgherri del tempio.
Di' ch'essi baciano
I delatori,
E il pan dividono
Coi monsignori;
Là v'è politica
Senza ragione,
E babilonica Confusione.(17)
. . . . . . . . . . . . .
Nel luglio 1860, fece chiasso una satira contro il generale Lamoricière buon'anima. Tutti ne sapevano a memoria qualche brano, e l'andavano ripetendo nei luoghi degli amichevoli convegni. Oggi parrà una freddura a chi non si riporti coll'animo a que' giorni d'ira, di speranza e di trepidazione.
Eccola:
A LAMORICIÈRE.
Secura all'egida
Del grande intrigo,
Pescato al Mincio,
Fritto a Zurigo,
L'Italia in fieri,
Dall'Arno al Po,
Mandava a rotoli
Lo statu quo.
Tolti al benefico
Protettorato
Dell'illustrissimo
Signor Croato,
I nuovi popoli,
Ormai padroni
Di dire al pubblico
Le lor ragioni;
Stracciando il codice
Del gius divino
Ad un sacrilego
Re giacobino
S'immaginarono
D'offrire in dono
Di tre legittimi
Sovrani il trono.
Se incompatibili
Fra lor pur sono,
Come pretendesi,
L'altare e il trono;
Nel bivio orribile
Dovean, mi pare,
Anzi che il soglio
Minar l'altare;
E il buon Pontefice,
Serbando illesa
La parte solida
Della sua Chiesa,
Non sconcertavasi
L'umor sereno
Per un eretico
Di più o di meno
Ma perchè l'avido
Re subalpino,
In barba a' lasciti
Di san Pipino,
S'è messo in animo,
Povero allocco,
Di far l'Italia
Tutta d'un tocco;
Il Re-Pontefice,
A fin che il santo
Dogma del quindici
Non vada infranto,
Nella sua collera
Diede di mano
All'armi emerite
Del Vaticano.
Fu tutta polvere
Bruciata al vento!
Il sacro fulmine,
Scoppiato a stento,
Fe' come un razzo
Artificiale:
Molto fracasso
E verun male.
Visto che l'empia
Sïon non crolla
Sotto le scariche
Della sua Bolla;
Visto che i reprobi
Farsi un esercito
Tutto terreno,
E l'economica
Del ciel caterva
Serbòlla in pectore
Come riserva.
Tedeschi, Svizzeri
Belgi e Spagnuoli
S'urtan, s'affollano
Ne'sacri ruoli;
Commosso a' gemiti
Del Papa-re,
Tira la sciabola
Perfin Noè.(20)
Ma in mezzo al balsamo
Che versa Iddio
Sul beatissimo
Cuore di Pio,
Un pensier torbido
Ahi! lo molesta
A tante braccia
Manca la testa.
Via, non affliggerti,
O santo Padre,
S'ancora acefale
Son le tue squadre:
Fede e coraggio,
Coraggio e fede,
Dio le tue angustie
Vede e provvede.
De' campi d'Affrica
Noto campione,
Disceso al règime
Della pensione,
Sotto le tegole
D'un quinto piano
Marciva un pseudo-
Repubblicano.
O fondi pubblici,
Crescete a Vienna.
Rotta dal turbine,
Ritorna in squero
La venerabile
Barca di Piero;
Più non pericola
Il roman soglio
L'oca già vigila
In Campidoglio.
Vieni, spes unica
Del Padre santo:
Calma il suo spirito,
Tergi il suo pianto;
Vieni, coordina,
Addestra all'armi
L'orda babelica
De' suoi gendarmi.
Un dì per opera
Dell'uom divino,
L'acqua, oh miracolo!,
Cangiòssi in vino
Ma tu, corbezzoli!,
Quanto più bravo,
Muti un austriaco
In un zuavo.
Va, dunque, visita
Pesaro e Ancona
Col fiero vescovo
Di Carcassona;(22)
Fa campi, edifica
Ridotti e forti,
E alfin sguinzaglia
Le tue coorti.
Se l'empia a sperdere
Oste d'Ammone
Un pezzo d'asino
"Su dunque, impavidi!
Dai chiusi valli
Si scaraventino
Fanti e cavalli,
E il sacro intuonino
Inno guerriero:
Morte all'Italia,
Viva san Piero.
Viva il collegio
Cardinalizio,
Viva la fiaccola
Del Sant'Uffizio;
Viva la chierica,
Viva la tiara,
Viva il battesimo
Dato a Mortara!
Che val se irrompono
Da tutt'i lati
Quanti ha...
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