[Pagina precedente]...pare, un complice, come il nostro san Maurizio. Questo compare è Marforio, antica statua rappresentante l'Oceano, o come altri vogliono il fiume Nar, o il Reno, posta oggi nel cortile del Museo Capitolino o di Augusto. - Fu dissotterrata nell'antico Foro di Marte, Martis Forum, donde la corruzione popolare di Mar-forio.
Perché Pasquino potesse rispondere argutamente aveva bisogno d'essere interrogato; e il popolo affidò quest'ufficio a Marforio. Non bastando lui, entrano in iscena i pertichini, come l'abate Luigi e madama Lucrezia, avanzi anch'essi di statue antiche. Ma il vero demone tentatore che sa solleticare a meraviglia lo spirito caustico di Pasquino, è Marforio. Egli interroga, Pasquino risponde.
Andrebbe tuttavia errato chi credesse che Marforio si trovi vicino al suo vecchio compare. Essi, è vero, sono amici da quattro secoli, ma neppure si videro mai. Infatti Marforio, dopo che fu disseppellito, giacque lungo tempo dietro il Campidoglio, sul principio della via che da lui prese nome, e ne fa testimonianza la seguente iscrizione, che si legge sulla facciata di una casetta:
HIC ALIQUANDO INSIGNE
MARMOREUM SIMULACRUM FUIT,
QUOD VULGUS OB MARTIS FORUM
MARFORIUM
NUNCUPAVIT;
IN CAPITOLIUM UBI NUNC EST
TRANSLATUM.
La casetta, e il Museo dove Marforio fu trasportato, sono vicinissimi fra di loro; ma distano entrambi un buon miglio dalla residenza di Pasquino. Gli è quindi fuori di dubbio che i due amici non si conoscono di persona; epperò non si può supporre che ne' loro dialoghi le domande venissero affisse su Marforio e le risposte su Pasquino: sembra invece che domande e risposte si affiggessero un tempo sopra quest'ultimo; poichè, sin da quando ci fu collocato all'angolo del palazzo Orsini (oggi Braschi), essendo il luogo centrale e frequentato, i capi-rione vi appiccicavano su i manifesti municipali, gli avvisi sacri, le bolle, le indulgenze e simili: e quindi è ben naturale che anche il popolo vi affiggesse le sue proteste contro il Municipio e contro i preti. È così che il povero Pasquino, sparuto e allampanato, porta per tutto il corpo i segni onorati delle durate battaglie; mentre Marforio si mantiene allegroccio e pastricciano, che è un piacere a vederlo.
Coll'andar del tempo, quando l'esser colto nell'atto di affiggere una pasquinata, poteva costare una mano, si cominciò a tenere un modo più comodo e meno pericoloso. - L'autore della satira esce di buon mattino, e fingendo di averla trovata affissa qua o colà , la dice al primo sfaccendato che incontra per via: di tal modo, in capo a ventiquattr'ore, la satira è volata di bocca in bocca per tutta Roma.
Ecco alcuni saggi delle conversazioni de' due vecchi compari.
Ne' primordi dell'invasione de' Francesi rivoluzionari capitanati dal Berthier; quando il vincitore d'Arcole e di Rivoli bruttava la bella fama di guerriero, facendo spogliare questa Italia sua patria de' codici più preziosi e de' capilavori dell'arte, unica gloria, unico bene che omai le fosse rimasto in tante fortunose vicende; quando insomma il giovane Bonaparte provava coi fatti che la parola repubblica nel vocabolario francese è sinonimo di ladronaia, e che la libertà di tanto è pregevole a casa propria, in quanto può servire a portar la schiavitù e la desolazione a casa altrui; il compare Marforio domandava sonnecchiando a Pasquino: "Pasquino! che tempo fa?" E quello rispondeva: "Uh! fa un tempo da ladri!" E pochi giorni dopo, domandava ancora: "Pasquino! è vero che i Francesi so' tutti ladri?" - "Tutti, no; ma bona-parte."
Quando papa Clemente XI spediva ad Urbino sua patria delle grosse somme di danaro, Marforio domandava:
"Che fai, Pasquino?"
"Eh! guardo Roma, chè non vada a Urbino."
Circa il 1656, papa Alessandro VII doveva consacrare la nuova chiesa della Pace, e dinanzi alla porta gli fu eretto un arco trionfale, su cui leggevasi la seguente iscrizione:
ORIETUR IN DIEBUS NOSTRIS JUSTITIA ET ABUNDANTIA PACIS.
Nella notte precedente il giorno della consacrazione, Pasquino aggiunse un M in capo a quelle parole. Nessuno si avvide dello scherzo, e al mattino venne il papa, e lesse con poca sua compiacenza:
MORIETUR IN DIEBUS NOSTRIS JUSTITIA ET ABUNDANTIA PACIS.
Quando questo papa Alessandro passò a migliore o peggior vita, Marforio domandò a Pasquino: "Che ha detto er papa prima de morì?"
E Pasquino quella volta rispose latinamente, che il papa aveva detto:
MAXIMA DE SE IPSO;
PLURIMA DE PARENTIBUS;
PRAVA DE PRINCIPIBUS;
TURPIA DE CARDINALIBUS;
PAUCA DE ECCLESIA;
DE DEO NIHIL.
Nel 1862, il giorno di san Pietro, corse voce che alcune pareti della Basilica vaticana, per difetto di arazzi, fossero state coperte alla meglio con carta colorata. In quell'anno s'era parlato molto della probabile partenza del papa da Roma, se questa città si fosse rivendicata all'Italia. Marforio ingenuamente domandava a Pasquino: "È vero ch'er papa fa fagotto?" - "E certo (rispondeva Pasquino), nun vedi che ha incartato San Pietro?"
Qualche volta Marforio fa lo spiritoso anche lui; e non è meraviglia che da tanti anni, bazzicando con Pasquino, gli si sia appiccato un po' del suo spirito satirico. Un bel giorno domanda al compare:
"Amico! indóve vai così de fuga?"
"Lasceme annà , che ho da fa' un viaggio lungo, gnente de meno che ho d'arrivà a Babilonia!"
"E allora férmete, chè se' arrivato!"
Si vede che Marforio non riesce ad essere originale. Egli aveva letto e fatto suo quel verso di Petrarca: "Già Roma, or Babilonia falsa e ria," e l'altro: "L'avara Babilonia ha colmo il sacco," ecc. Versi che dovrebbero ammonire i nostri neoguelfi, perocchè se a' tempi del canonico don Francesco Petrarca, vale a dire cinque secoli addietro, il Papato era una Babilonia avara, falsa e ria, e tale si mantiene anche oggi, è vano omai lo sperare che la gran bestia muti pelo.
Durante l'assedio di Roma del 1849, era Marforio che voleva andarsene a fare un viaggio; ma Pasquino lo sconsigliava: "Fijjo bello, e indóve passi? Pe' terra ce so' li Francesi; pe' mare ce so' li Tedeschi; per aria ce so' li preti!"
Abbiamo anche parecchi evangelii secundum Pasquillum, colla loro vulgata, fatta da nuovi san Girolami; non approvata, è vero, dal Concilio di Trento, ma approvata dal comune consentimento del popolo. Eccone uno:
EVANGELIUM
SECUNDUM PASQUILLUM.
LIBER GENERATIONIS ANTI-CHRISTI FILII DIABOLI.
(Evangelio secondo Fasquino.
La genealogia dell'Anticristo figlio del diavolo.)
"Il diavolo concepì il papa, il papa la bolla, la bolla la cera, la cera il piombo, il piombo l'indulgenza.
"L'indulgenza concepì la carena,(10) questa la quadragena,(11) che fu madre della simonia ed avola della superstizione:
"La simonia partorì il cardinale e fratelli, durante e dopo la prigionia di Babilonia.
"Il cardinale ingenerò il cortigiano, il cortigiano il vescovo papista, il vescovo papista il suffragrante ed il prebendario, che ebbero la pensione per figlia.
"Questa diede luce alla decima, che partorì l'oppressione del villano.
"L'oppressione del villano ingenerò l'ira, e l'ira l'insurrezione, nella quale si rivelò il figlio dell'iniquità , che si chiama l'Anticristo.(12)"
Spesso Pasquino e Marforio sono lasciati da banda, e la satira vien fuori in forma libera, senza dialogo.
Sopra il predetto Alessandro VII, cardinal Ghigi da Siena, fu scritto il seguente epitaffio:
Quel che sen giace in questa tomba oscura,
Già nacque in Siena povero compagno;
Gli diè nome di Fabio il sacro bagno,
E d'empio e scellerato la natura.
Entrò con pochi soldi in prelatura,
E vita fe' da monsignor sparagno;
Fu fatto papa, e d'Alessandro magno
Si pose il nome, sì, non la bravura.
Che non fe', che non disse, al trono alzato?...
Parlò sempre da santo, oprò da tristo;
Entrò da Pietro, ed uscì da Pilato.
Fe' di tant'alme al negro regno acquisto,
Che saper non si può s'egli sia stato
Del diavolo Vicario, oppur di Cristo.(13)
Quando non so qual papa mise o aggravò l'imposta sul tabacco, un bel mattino fu trovato scritto sul muro del palazzo pontificio il versetto 25 del cap. XIII del libro di Giobbe: "Contra folium, quod vento rapitur, obstendis potentiam tuam, et stipulam siccam persequeris?" - Il papa, informato della satira, ordinò che non si cancellassero quelle parole, e disse che sarebbe stato lietissimo di conoscerne l'autore, che certo doveva esser uomo di buon ingegno. Codesto desiderio del papa fu soddisfatto, perché, poco dopo, si trovò che il versetto era stato firmato dal vero autore: Job. - Allora il papa fece spargere voce che avrebbe concesso un grosso premio al satirico, se si fosse rivelato; ma quello, ricordandosi forse del brutto giuoco fatto all'autore della pasquinata contro la sorella di Sisto V, andò di notte, e accanto alla firma di Job, scrisse: gratis. E così il buon papa dovette crepare colla voglia in corpo.
La Censura romana, come tutti sanno, ha fatto sempre uno strazio, tanto crudele quanto ridicolo, delle opere destinate alla scena. Il conte Giovanni Giraud, poeta satirico e commediografo di non poco valore, vedendo i suoi drammi fatti segno costantemente agli scrupoli ipocriti di un abate revisore pedante e cocciuto, si vendicò indirizzandogli il seguente sonetto, che divenne molto popolare:
ALL'ABATE PIETRO SOMAI
REVISORE TEATRALE.
[1825?]
Del sommo Pietro, Adamo del Papato,
Puoi dirti, Abate mio, fratel cugino
Abbietto nacque Pietro, e tal sei nato;
Pietro pescò nell'acqua, e tu nel vino.
Peccò colla fantesca di Pilato
E ne pianse col gallo mattutino;
Tu, colla serva tua quand'hai peccato,
N'hai pianto col cerusico vicino.
Pietro irato fe'strazio agli aggressori
D'un solo orecchio; ma tu sempre, il credi,
Ambo gli orecchi strazi agli uditori.
Giunto alfin Pietro ove tu presto arrivi,
Pose nel luogo della testa i piedi:
E com'egli mori, così tu vivi.
Allorquando morì Pio VIII, che aveva pontificato soli venti mesi, una satira lo proponeva a modello al nuovo papa, e finiva così:
Se imitar nol saprete in tutto il resto,
Imitatelo almeno in morir presto!
Un anno, per la festa di sant'Ignazio di Lojola, i padri gesuiti eressero nella loro chiesa un altare veramente splendido. Sopra la statua d'argento rappresentante il Santo, si vedeva il solito Padreterno di stucco. Un pasticcetto co' li guanti, uscendo di chiesa, disse ad una signora: "Vada, vada al Gesù: c'è la statua di sant'Ignazio d'argento e un altare tanto bello, che lo stesso Padreterno n'è rimasto di stucco."
Un tal padre Lorini, in una sua predica aveva spiegato agli uditori come il fuoco del Purgatorio non sia vero, ma simbolico. Pare che questo modo di pascere le pecorelle non andasse a genio a' guardiani superiori del gregge, e che perciò toccasse al frate una bella lavata di capo. Fatto sta, che sulla porta della chiesa dove predicava il Lorini, venne affisso un sonetto, che noi raccogliemmo mutilato com'è dalla bocca di un sartore. A' versi che mancano supplisca la immaginazione de' lettori: ex ungue, leonem!
Senza neppur di fuoco una scintilla
Ci pingesti, o Lorini, il Purgatorio
Dicesti, quasi in cella o romitorio
Starsi colà ogn'anima tranquilla.
Perdio! se fai cosi, come si strilla!
Addio messe, addio esequie, addio mortorio!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
E non sai tu che il fuoco de' purganti,
Sorgente di dovizie al sacerdozio,
Fa bollir la marmitta a tutti quanti?
Deh, per pietà ! dismetti un tal negozio,
E lascia come pria che gl'ignoranti
Ci mantengano i vizi in grembo all'ozio.
Sotto il pontificato di Gregorio XVI, mentre era tesoriere il Tosti, e si facevano i prestiti con Rotschild al 65 per cento,(14) il Governo sciupò una grossa somma di danaro per costruire una enorme fabbrica presso il porto di Ripetta, sulla sinistra del Tevere. Non piacque il disegno, e le male lingue dissero che l'architetto Camporesi ci aveva messo da parte un buon gruzzolo di pecunia. Checchè ne sia di questo, comparve una incisione rappresentante il Tevere che portava su le spalle il nuovo edifizio, e sotto v'erano scritte le parole del Salmo 128: "Supra dorsum meum...
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