[Pagina precedente]...ato, c'è anche quello di farla da paciere nelle dissensioni domestiche delle famiglie della sua cura. - (7) Facciano.
CXXX.
LI FIJJI A PPOSTICCIO.(1)
(14 maggio 1843)
-
- E ffarai bbene: l'accattà , ssorella,
È er piú mmejjo mistiere che sse dii.(2) -
Nun ciò(3) fijji però, ssora Sabbella. -
Bbè, tte n'affitto un paro de li mii. -
E ccosa protennete(4) che vve dii? -
Un gross'a ttest'er giorno.(5) - Cacarella!(6)
Me pare de trattà cco' li ggiudii! -
Maa, cco' cquelli nun zei piú ppoverella!
C'è er maschio poi che ttanto curre e incoccia,
E ppiaggne, e ffiotta, e pivola cor naso,(7)
Che jje li strappa fôr de la saccoccia. -
E a cche ora li lasso? - A un'or' de notte. -
E ssi ppoi nun lavoreno? - In sto caso,
Te l'imbriaco tutt'e ddua de bbôtte.(8) -
(1) Quel che si discorre in questo sonetto, accade, pur troppo, in Roma e in altri luoghi. - (2) È il miglior mestiere che si dia. - (3) Non ci ho: non ho. - (4) Pretendete. - (5) Un grosso a testa al giorno: "cinque soldi per cadauno." - (6) Volgare esclamazione di maraviglia. - (7) "Pivolare (annota il Belli in altro luogo) è quel continuo insistere chiedendo, che non dà altrui riposo." - (8) Di busse. Cara questa mamma!
SONETTI
IN LINGUA ITALIANA
I.
IL CAVALIERE ENCICLOPEDICO.(1)
-
Avviluppato nella sua guarnacca
Stavasi il cavalier sulla poltrona
A ricercar nel Calepin se Ancona
Si scrivesse coll'acca, o senza l'acca;
Ciò fatto, prende in man la ceralacca,
Stampa il suggel con l'arma e la corona,
Manda il servo alla posta, e s'abbandona,
Sbuffando, a riposar la mente stracca.
Prende poscia a parlar di pipe e d'armi,
Del modo di ben cuocer la frittata,
Del Turco e della cassa di risparmî;
Poi guarda la finestra spalancata,
E conclude: "Non faccio per vantarmi,
Ma oggi è una bellissima giornata."
(1) Questo sonetto benchè innocentissimo, non è compreso nell'edizione Salviucci; ma corre per le bocche sotto il nome del Belli.
II.
PARAGRAFO DI VECCHIA LETTERA D'UFFICIO.
-
Ed avendo il medemo barigello
Conforme dal Marchese sullodato
Gli era stato ordinato, diramato
Detta squadra alle fosse del castello,
Per cui, qualora il ladro precitato
Non era già sortito dal cancello,
Non poteva più evadere da quello,
Mediante ch'era chiuso e ben guardato;
Potè poi come sopra aver la sorte
Far sì che il ripetuto malfattore
Venisse a rimaner dentro le porte;
E perciò lo trovò, gli levò il quadro,
Lo legò, lo portò dal superiore,
E andò in galera (vale a dire il ladro).
III.
DICIOTTO INSCRIZIONI.
(20 dicembre 1842)
-
Ventaliaro, è si acommoda l'ombrelli.
Calsoni scudi tre colla casacca.
Gniochi famosi. Polvere da cacca.
Rete, speccietti, è gabbie per l'ucielli.
Oglio di Luca. Uino de chastelli.
Latte a tutt'ora di somara, è vacca.
Cholla, che la terraglia non si staccha.
Fabrica, è spacco di solami, è pelli.
Calcia smorsata. Ostaria di cocìna.
Letti con stalla. Schola per fanculli.
Sguaglio di coccolata soprafina.
Negozzio di miniatte, e granci teneri.
Si fa ualigge inglese, è li bavulli.
Caffè della Speranza ed altri generi.
IV.
BIGLIETTO DI GENTIL DONNA.
(5 luglio 1845)
-
Carro Signior Guseppe Goacino
Cassa adì 26. Mi facco arrdita
Man dargli la mia dona Margerita
La trice dell'presente bigletino.
Per dirgli che mio sociero linvita
Sè per domani all'gorno all'suo gardino
Che s'apre il gocolissco(1) onde un pocino
Dì vertirsi hà gocare una parrtita.
Doppo si gofierano due paloni
Eppoi si ciuderà con un fiasceto
Quatro fici é un arosto di picconi.
Voglo sperare dì vederla. Intato
Cuesta sera hà Argientina(2) non laspeto
Perche so che devesere impiccato.
(1) Gioco-liscio: il gioco delle bocce o palle di legno. - (2) Argentina: teatro di Roma.
V.
IL SAGGIO DEL MARCHESINO EUFEMIO.(1)
(22 luglio 1843)
-
A dì trenta settembre il marchesino,
D'alto ingegno perché d'alto lignaggio,
Diè nel castello avito il suo gran saggio
Di toscan, di francese e di latino.
Ritto all'ombra feudal d'un baldacchino,
Con ferma voce e signoril coraggio,
Senza libri provò che paggio e maggio
Scrivonsi con due g come cugino.
Quinci, passando al gallico idïoma,
Fe' noto che jambon vuol dir prosciutto,
E Rome è una città simile a Roma.
E finalmente il marchesino Eufemio,
Latinizzando esercito distrutto,
Disse exercitus lardi, ed ebbe il premio.
(1) Questo sonetto si ricorda comunemente col titolo: Il saggio del baroncino G....; ma nell'edizione romana è stampato in questo modo. Forse il Poeta lo mutò, per non offendere la persona contro la quale fu scritto.
FINE
(1) Sommario della storia d'Italia, lib. III, 16
(2) Vedi Amari, Solvvan el Mota'; Introduzione, X
(3) Nunc fabularum cur sit inventum genus / Brevi docebo. Servitus obnoxia, / Quia, quæ volebat, non audebat dicere, / Affectus proprios in fabellas transtulit, / Calumniamque fictis elusit jocis, etc.
(Fedro, lib. III, Prologo.)
(4) Giulio Cesare, primo tra' primi liberticidi, sperimentò assai per tempo il flagello della satira. Quando, dopo aver soggiogate le Gallie, entrò trionfalmente a Roma; siccome era ne' dì del trionfo concesse al popolo libertà di parola; molti, ricordando le sue turpitudini col re Nicomede, andavano gridando:
Gallias Cæsar subegit, Nicodemes Cæsarem;
Ecce Cæsar nunc triumphat qui subegit Gallias:
Nicodemes nun triumphat, qui subegit Cæsarem!
Vedi SVETONIO, Vita di Giulio Cesare, XLIX.)
Quale effetto avranno prodotto sull'animo del dittatore trionfante quelle sanguinose parole? C'era di che morirne dalla vergogna! Pasquino non era ancor nato, ma la satira sarebbe stata degna di lui.
(5) Il Castelvetro dice che, vivente Pasquino, la statua era ancora mezzo sotterrata nella via pubblica, e col dosso serviva ai caminatori per trapasso, acciocché non si bruttassero i piedi nelle stagioni fangose. (Mi permetto di ricordare al lettore che quella povera statua era uno de' più belli avanzi dell'Arte greca.) Poi aggiunge che, morto il sartore, fu dirizzata in piedi presso la sua bottega; perciocché giacendo, come faceva prima, rendeva il lastricamento et il mattonamento meno uguale et meno bello. - Il Fioravanti Martinelli (Roma ricercata) ed altri vogliono che la si ritrovasse sul principio del secolo XVI, sotto una torre, che l'antico palazzo degli Orsini (rifatto dal Sangallo e divenuto poi proprietà de' Braschi) aveva dal lato che risponde in Piazza Navona. - Secondo Andrea Fulvio (Antichità di Roma) parrebbe invece che al tempo di Tibaldeo e di Pasquino fosse di già eretta sur un piedistallo, presso il palazzo degli Orsini, e però poco lontano dalla bottega di Pasquino, che era nella via in Parione. Questa ci è sembrata l'opinione più ragionevole: del resto, si ritenga pure che la statua venisse scoperta qualche anno dopo la morte del sartore, certo si è che le fu imposto il nome di lui nel modo da noi narrato.
(6) Il distico fu affisso sulle latrine del Vaticano e diceva così:
Papa Pius quintus, ventres miseratus onustos,
Hocce cacatoium nobile fecit opus.
(Vedi Pasquino e Marforio, Istoria satirica de' Papi; Italia 1861, pag 152.)
(7) Avendo papa Sisto nominato duchessa la propria sorella, già lavandaia, Marforio domandava a Pasquino perché portasse la camicia tanto sudicia, e Pasquino rispondeva: "Come ho da fare? La mia lavandaia è diventata principessa!" - Il Papa montò sulle furie per questo insulto; ma dissimulando lo sdegno, fece bandire che avrebbe data salva la vita e un premio di diecimila scudi all'autore della satira, se si fosse spontaneamente rivelato. Il merlotto cascò nella pania; e Sisto V tenne bensì la promessa; ma gli fece mozzare la mano destra, affinché non iscrivesse più mai parole così scandalose. - (Vedi Frantone, Uomini illustri esteri.)
(8) Vita di Torquato Tasso; cap. VI, Cento pensieri, motti e sentenze di Torquato in varie occasioni espressi.
(9) Pasquino e Marforio, lib. cit., pag. 156.
(10) Remissione pe' Vescovi del digiuno di quaranta giorni.
(11) Quaranta giorni d'indulgenza.
(12) Pasquino e Marforio, lib. cit., pag 129.
(13) Pasquino e Marforio, lib. cit., pag 173.
(14) Vedi la nota 5 al sonetto Er zervitore de Monziggnor tesoriere.
(15) Così chiamarono i romani la Commisione governativa, incaricata di mettere la testa a partito ai liberali del 48 e 49, e composta de' cardinali Altieri, Della Genga e Vannicelli.
(16) Rostolan, generale succeduto all'Oudinot nel comando dell'esercito francese in Roma.
(17) Molte belle varianti di questa satira, le devo alla cortesia dell'egregio professore Francesco Mancini di Terni.
(18) Homel.:85, C.v. Matt. §54.
(19) Il 16 aprile 1849 il generale Lamoricière alla Tribuna dell'Assemblea nazionale deplorava di non poter salvare la Repubblica di Mazzini, e non accettava la spedizione di Roma, che allo scopo di salvare almeno la libertà di quel paese.
(20) Il visconte di Noé, pensionato tenente colonnello di cavalleria francese, nel mese d'aprile pigliò servizio nell'esercito papale.
(21) "La rivoluzione, come altra volta l'Islamismo, minaccia oggi l'Europa. La causa del Papato è quella dell'incivilimento e della libertà del mondo." - (Proclama dell'8 aprile 1860.)
(22) Monsignor Bonillerie, che accompagnava sempre il Lamoricière.
(23) Nel linguaggio birresco, la parola putti corrisponde al soldatesco mes enfants.
(24) Celebre poliglotto.
(25) Non mi è ignoto che parecchi Romani onorano le lettere italiane; ma pochi fiori non fan primavera, e resta sempe vero che coll'Indice, colla Censura, e col Sillabo, la sola satira può prosperare.
(26) Una ricca raccolta di satire romane, nel mentre sarebbe un prezioso documento storico, rileverebbe una faccia quasi nuova del genio del popolo, e messa di costa alle fiabe, a' canti e a' proverbi, completerebbe la collana della letteratura popolare. - Quella intitolata Pasquino e Marforio, che ho citato più volte, è troppo incompleta e non risponde al bisogno.
(27) Si veda il sonetto La corda ar Corzo.
(28) Versi inediti di Giuseppe Gioachino Belli romano. Lucca, dalla tipogafia Giusti. 1843, pag. 83
(29) Due raccolte si pubbilcarono de' versi italiani del Belli: una pei tipi del Salviucci in Roma, nel 1839; l'altra dal Giusti a Lucca, che ho già citata. Ambedue meritarono gli elogi di Felice Romani. - A me, che considero il Belli come scrittore di dialetto, basta di aver riferito quel brano della epistola al Masini, per dare un'idea del modo con cui scriveva la lingua comune. - Negli ultimi anni della sua vita pubblicò anche una bella traduzione degl'Inni del Breviario romano. Dopo la sua morte, furono pubblicati in Roma, per cura del figlio Ciro, quattro volumi di sue poesie inedite, cioè: ottocentocinque sonetti in dialetto romanesco e moltissimi versi italiani. Vedremo in seguito perché due terzi de' sonetti sieno rimasti inediti.
(30) È un testimonio non sospetto che fa salire i sonetti a Duemila e forse trecento. - (Vedi Elogio storico di G. G. Belli, scritto dall'avvocato Paolo Tarnassi; Roma,1864, pag. 24.)
(31) Li tolgo dai sonetti del Belli, il quale, come avverte in più luoghi, non usava mai parole che non avesse udito dalla bocca del popolo.
(32) Questa fase di cui si serve il popolano, per distinguersi dai non romani dimoranti in Roma, potrebbe dirsi una traduzione libera dell'antico Civis romanus sum.
(33) Non pochi sonetti del Belli hanno per soggetto curiose superstizioni della plebe romana, o vi fanno allusione. - Un libro sugli Errori popolari de' moderni, sarebbe non meno pregevole di quello di Leopardi sugli Errori popolari degli antichi.
(34) Si veda il sonetto 'Na bbôna educazzione.
(35) Codeste parole fanno parte d'una prefazione scritta dal Belli pe' suoi sonetti, e le ho tolte dall'Elogio storico del Tarnassi, già citato. Ignoro perché questa prefazione non sia stata premessa a' sonetti editi dal Salviucci.
(36) Poesie inedite di G. G. Belli romano. Roma, tipografia Salviucci, vol. 2, pag. 165.
(37) In una strenna livornese del 1863, si leggevano queste gravi parole: "Gius. Belli, giace ora disteso nella tomba d'un ufficio papale... Il sacro Collegio gli gettò nelle fauci l'offa di un impiego lucroso, e il poeta uccise co...
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