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E le tromme che ssòneno a scorregge?(9)
Ce vô deppiù pp'addimostrà l'affetto!?
Ma pperò, ffa er dolore meno amaro
Er penzà che pp'er papa che s'elegge
Sce so' ttanti Grigorii ar piantinaro!(10)
(1) A meglio intendere questo sonetto, giova ricordare che il Governo pontificio, quando muore il papa, impone un lutto ufficiale non solamente a' suoi impiegati, ma anche a' fedelissimi sudditi. Ordina la chiusura di tutti i teatri (senza credersi obbligato per questo a compensar dei danni gl'impresari): sospende per parecchi giorni ogni altro pubblico divertimento, e fa suonare a morto tutte le campane dello Stato. - S'immagini ognuno il parapiglia che succede, se un papa si fa lecito di morire durante il carnevale! Allora sì che i sudditi, e particolarmente le sudditesse, lo piangono di cuore. - Leone XII morì appunto sul più bello del carnevale, e i Romani, non potendo divertirsi altrimenti, sfogarono la stizza con questo epigramma:
"Tre dispetti ci hai fatto, o Padre santo:
Accettare il papato, viver tanto,
Morir di carneval per esser pianto."
- (2) Nota la vivacità e l'efficacia di codesta frase. - (3) Suarfa, detto anche Sualfa dalle persone meno idiote, è il nome con cui per ispregio si designano tutte le autorità abborrite, e sta in luogo di Sua Maestà, Sua Altezza, Sua Eccellenza, e simili. Qui significa il Papa. Può darsi che questo vocabolo abbia una qualche parentela coll'Alfa, prima lettera dell'alfabeto, presa nel senso di anteriore a tutti, soprastante, principale. - (4) Il lutto: e più spesso dicono sciamanno a uno straccio grande o piccolo, a uno scialle malandato, e simili. Donde le voci: sciamannato (sconcio negli abiti e nella persona), sciamannone e sciamannarsi, proprie anche della lingua comune. - (5) Fin dal 1716, si chiamò comunemente Cràcas, e dai popolani Cracàsse il Diario ordinario d'Ungheria, dal nome di Luca Antonio Cracas, o Chracas, che ne fu il fondatore, e che lo pubblicava coi tipi del fratello Giovanni Francesco Cracas, il quale teneva stamperia presso san Marco al Corso. - Scopo di cotesto giornaletto era allora di ripubblicare le notizie che ufficialmente riceveva da Vienna intorno alla guerra di Ungheria, che si combatteva dal principe Eugenio di Savoia per l'imperatore Carlo VI, contro Acmet III. Il primo numero, in piccolissima forma, uscì il 5 agosto 1716. Finita la guerra, continuò le sue pubblicazioni col titolo di Diario di Avvisi, e pare che sin d'allora diventasse giornale ufficiale del Governo. Nel 1808 prese il nome di Diario di Roma. Col primo numero del 1837 comparì in foglio grande. Nel 1849, il Governo repubblicano lo intitolò Monitore Romano, per far la scimmia ai Francesi. Pio IX, dopo il ritorno da Gaeta, lo ribattezzò col nome di Giornale di Roma, che serba tuttavia. Pare anche che per un certo tempo si chiamasse Gazzetta di Roma. Ma il popoletto non tenne conto di tutti questi battesimi, e lo chiamò sempre, e lo chiama anche oggi Cràcas o Cracàsse. Di tal guisa, quel buon uomo di Luca Antonio passa alla posterità collo scappellotto; e sempre bisognerà sciorinare tutti questi cenci d'erudizione, per far capire come il verso di Belli: "E in der Cracàsse la striscetta nera?" significhi: "E la striscia nera messa per la morte del Papa nel giornale ufficiale?" Non sarà inopportuno lo avvertire che il popolo chiamò, e chiama tuttora, Cràcas, anche una specie d'Almanacco statistico-amministrativo, che sotto il titolo di Notizie annuali di Roma, si cominciò a pubblicare dalla Tipografia Cracas. - (6) Il Teatro Metastasio, che, come tutti gli altri, si chiuse per lutto legale; quindi il popolo diceva: ha fatto moschiera, ha fatto mosca, ossia: "ha fatto silenzio, ha taciuto." Fate mosca, per fate silenzio, lo dicono anche i meno idioti. Moschiera per mosca si dice però solo in senso traslato come qui, non sempre. - (7) Al giuoco del pallone all'Anfiteatro di Corèa; ora più spesso a Campovaccino. - (8) Coperti di gramaglia. Farajoletto è il mantellino lungo nero, che portano i preti sopra il soprabito. - (9) Anche i trombettieri della soldatesca pontificia avevano, per la morte del papa, una suonata funebre, a lenti e lunghi squilli, come per imitare voci gementi e lamentevoli. A tale suonata il popolo trovò per similitudine (Ahi! parlo, o taccio?) il suono dei peti, che diconsi comunemente scorregge quando son rumorose, e loffe quando escono a chetichella. - (10) Piantinaro, da piantine, piccole piante, equivale al latino viridarium, al toscano piantonaio, e all'umbro pàstine. Con ciò è chiarito il significato sarcastico dell'ultima terzina: "Ogni cardinale è una certa pianta, cui per diventare albero come fu Gregorio, non manca che di venir trapiantata sulla sedia papale. Laonde consoliamoci della morte di Gregorio, perchè il nuovo papa, chiunque esso sia, gli rassomiglierà perfettamente."
XXIX.
L'ANIMA DE PAPA GRIGORIO.(1)
(1846)
-
Stese appena le scianche(2) er zor Grigorio,
Che l'anima jj'uscì dar peparone,(3)
E senza toccà manco er Purgatorio,
Annò der Paradiso in der portone.
- Ah(4) Pietro! - Oh! M'arillegro e me ne grorio.(5)
Opri tu, ch'hai le chiave e ssei er padrone. -
Èccheme,(6) e ffàmme strada ar rifettorio.(7) -
Bè? opri! - Ah Pietro mio, nun jje la fône! -
Va là, riprova. - Gnente! - Ar buscio drento
C'è cquarche cosa? - Gnente! - Hai bbè sgrullato?(8) -
Sine: e nun z'opre! - Dàlle qua un momento. -
Tièlle. - Ruzze, e la mappa nun cunvina!...(9)
Che strumenti so' cquesti ch'hai portato? -
Oh bbuggiarà! le chiave de cantina. -
(1) Questo sonetto, divenuto popolarissimo in grazia della vivacità della chiusa, la quale gli copre parecchi difetti, non è del Belli. Ad intendere la satira che racchiude, gioverà ricordare che Gregorio XVI aveva fama di uomo cui piacesse mangiar bene e bever meglio. - (2) Gambe. - (3) Naso grosso. - (4) Esclamazione vocativa che tiene il luogo di o, e che si pronunzia molto aperta. - (5) Il romanesco vero avrebbe detto grolio. - (6) Eccomi; cioè: eccomi pronto ad aprire. - (7) Gregorio era stato frate. - (8) Sgrullare vale sbattere. Si sgrullano i panni impolverati, i tovaglioli, ecc., e così le chiavi femine, per farne uscire quel che potesse essersi introdotto nel buco. - (9) Combina.
XXX.
SÌCCHE ITURE ADDÀSTRA.(1)
-
Er chirichetto appena attonzurato,(2)
Penza a ordinàsse prete, si ha ccervello;
Er prete penza a ddiventà pprelato;
Er prelato, se sa,(3) penza ar cappello.
Er cardinale, si ttu vvôi sapéllo,(4)
Penza 'ggnisempre (5) d'arivà ar papato:
Er papa, dar zu' canto, poverello,
Penza a ggòde'(6) la pacchia(7) ch'ha ttrovato.
Su l'esempio de st'ottime perzone,(8)
'Ggni giudisce, impiegato, o militare
Penza a le su' mesate e a le penzione.
Chi pianta l'arbero, penza a li frutti.(9)
Qua inzomma, pe' rristriggnere l'affare,(10)
Oggnuno penza a ssè, Ddio penza a ttutti.
(1) Sic itur ad astra! - (2) Tonsurato. - (3) Si sa: è noto. - (4) Se tu vuoi saperlo. - (5) Ogni sempre. - (6) Godere. - (7) Pacchia, "lieto vivere, il mangiare e ber bene senza pensieri." Così il Fanfani, nel Vocabolario dell'uso toscano: e aggiunge che è voce di uso comune per molti luoghi di Toscana. - (8) Variante: Su l'esempio de tutte ste perzone. - (9) Questo verso è un modo proverbiale, e v'hanno testimonianze non dubbie che fu proprio messo così dall'autore. Dalla maniera di pronunziarlo dipende il far meno sensibile il difetto di accento. - (10) Ristriggnere l'affare vale: Restringere, far breve il discorso. A proposito di questa frase, l'egregio amico prof. F. Santini mi scriveva: "Il popolo romano non compie mai nel discorso l'infinito dei verbi, salvo quando vuol parlare con affettazione satirica, con un'aria di caricatura. Quindi a queste parole pe' rristriggnere l'affare, dobbiamo immaginarci di vedere il popolano, che sollevando meglio la persona, e aggrottando le ciglia, per conciliarsi meglio l'attenzione di chi lo ascolta, comincia a mentire un linguaggio dottorale per isputare una grande sentenza; della quale egli stesso si ride in segreto."
XXXI.
LI COLLARINI.
-
Quanno avevo da métte quer rigazzo
Pe' cchirico a Ssan Chirico e Ggiuditta,(1)
Fesci(2) ar barettinaro:- Padron Titta!
Ciavete(3) un collarino da strapazzo?(4) -
Lui opre la vetrina de man dritta,
E mme dà un collarino pavonazzo.
Dico:- Eh sto coso, nun me serv'a un ca..o:
Lo vojjo nero, sor faccia affritta.(5) -
Nero? Sapete mo quanto ve costa!?
Neri, a sti tempi, indóve li trovate?
Li neri, mo, bbisoggna fàlli apposta.
Mo nun ze(6) fanno ppiù de sto colore,
Perché adesso oggn'abbate, appena è abbate,
È abbate ippisi-fatto(7) e mmonziggnore. -
(1) San Quirico e Giuditta, chiesa di Roma. - (2) Dissi. - (3) Ci avete. - (4) Da portarsi ogni giorno, da non tenersi da conto. - (5) Afflitta. - (6) Si. - (7) Ipso facto.
XXXII.
ER CARDINALE VERO.
-
Naturarmente(1) è ccosa naturale,
E bbasta a ddajje 'na squadrata addosso,(2)
Pe' ppoi descìde'(3) da tutto cuer rosso,
Che ssu' Eminenza è ppropio un cardinale.
E ggnisuno sarà ttanto stivale
Da scannajjà 'na bbruggna inzin'all'osso,
Pe' ppoi sartà cco' ssicurezza er fosso,
E ddescìde': è er tar frutto o er frutto tale.(4)
Fin che ddunque ha er color de peparoni,
E scarrozza a ssan Pietro in Vaticano,
È un cardinal co' ttanti de(5) cojjoni.
Metteje(6) poi 'na mazzarella in mano,
Dàjje 'na camisciòla(7) e ddu' scarponi,
E allora te dirò: "quest'è un villano".
(1) Naturalmente. - (2) Basta dargli un'occhiata. - (3) Decidere. - (4) Ecco il senso della seconda quartina: "Nessuno sarà tanto sciocco (stivale), da volere esaminar minutamente (scandagliare) una prugna sino al nòcciolo (osso), per poi giudicare con sicurezza (sartà co' sicurezza er fosso), e decidere: è il tale o tal altro frutto; potendo bene riconoscerlo a prima vista dalla forma esteriore." - (5) Con tanto di. - (6) Mettigli. - (7) Chiamano camisciòla una sorta di giacchettina, tanto corta, che arriva appena alla cintura. Un tempo la portavano non solo i villani, ma anche tutti i romaneschi veri: ora è andata in disuso insieme con que' brutti calzoni a campana, stretti al ginocchio e larghi a' piedi.
XXXIII.
ER RITRATTO DER CARDINALE.
-
Da cuer pittore (ggiù ppe' lo stradale
Fra ssant'Iggnazzio e 'r Culleggio romano),
Che pe' arme(1) e rritratti è 'n artiggiano,
Ch'in tutta Roma nun ze dà(2) ll'uguale;
Jeri sce stava in mostra un cardinale,
E sse scopriva un bôn mijjo lontano
Da la mozzetta de scarlatto, e in mano
Er zolito spappié(3) der mormoriale.(4)
Io m'accosto ar pittore e lo saluto;
Dico:- Perché sto coso senza testa? -
Disce:- Je ll'ho rraschiata e jje la muto. -
Allora un pasticcetto(5) co' li guanti
Disce: Lo lassi sta senza di questa,
Perché accusì si rassomijja a ttanti!
(1) Armi: stemmi gentilizi. - (2) Si trova. - (3) Dal francese papier. - Su questa parola, l'ottimo amico mio prof. F. Santini, mi mandava le seguenti avvertenze: "Non faccia meraviglia di trovare dove scritto papié o pappié, e dove spappié. Il popolo romano aggiunge e toglie lettere a modo suo, secondo che voglia dar più o meno aria di caricatura alle cose. Qui alla caricatura, in quell's, v'è aggiunto anche il dispregio, che per essere gustato nella sua intierezza, bisognerebbe fosse veduto in bocca di uno di quel popolo, nell'atto che lo pronunzia; e sentito quell'empiere della bocca, e ripercotere dell'aria fra gli organi gutturali e nasali, e l'allungare d'una vocale, secondo che più o meno si voglia schernire o gli uomini o le cose. Così nessuno potrà mai significare con avvertimenti o annotazioni la pronunzia di quel moecco per baiocco; nè lo strisciare del ce segnato dal Belli; col sce, il quale sce porta nella pronunzia usata da noi italiani, un suono duro, che è ben altro da quello strisciare piano e corrente, senza appoggiatura, de' romaneschi." - (4) È vero che cardinali e papi si fanno per lo più ritrattare con un memoriale in mano: ridicola usanza, che mostra in costoro la boria di far pompa della propria grandezza. Certo non la pensava così, Chi disse che quando si benefica, la mano sinistra non deve vedere...
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