[Pagina precedente]...oni di questo genere si dà sodisfazione alla parte con dirgli, che non solamente due indivisibili, ma né dieci, né cento, né mille non compongono una grandezza divisibile e quanta, ma sì bene infiniti.
SIMP. Qui nasce subito il dubbio, che mi pare insolubile: ed è, che sendo noi sicuri trovarsi linee una maggior dell'altra, tutta volta che amendue contenghino punti infiniti, bisogna confessare trovarsi nel medesimo genere una cosa maggior dell'infinito, perché la infinità de i punti della linea maggiore eccederà l'infinità de i punti della minore. Ora questo darsi un infinito maggior dell'infinito mi par concetto da non poter esser capito in verun modo.
SALV. Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl'infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia inconveniente, perché stimo che questi attributi di maggioranza, minorità ed egualità non convenghino a gl'infiniti, de i quali non si può dire, uno esser maggiore o minore o eguale all'altro. Per prova di che già mi sovvenne un sì fatto discorso, il quale per più chiara esplicazione proporrò per interrogazioni al Sig. Simplicio, che ha mossa la difficoltà .
Io suppongo che voi benissimo sappiate quali sono i numeri quadrati, e quali i non quadrati.
SIMP. So benissimo che il numero quadrato è quello che nasce dalla moltiplicazione d'un altro numero in se medesimo: e così il quattro, il nove, etc., son numeri quadrati, nascendo quello dal dua, e questo dal tre, in se medesimi moltiplicati.
SALV. Benissimo: e sapete ancora, che sì come i prodotti si dimandano quadrati, i producenti, cioè quelli che si multiplicano, si chiamano lati o radici; gli altri poi, che non nascono da numeri multiplicati in se stessi, non sono altrimenti quadrati. Onde se io dirò, i numeri tutti, comprendendo i quadrati e i non quadrati, esser più che i quadrati soli, dirò proposizione verissima: non è così?
SIMP. Non si può dir altrimenti.
SALV. Interrogando io di poi, quanti siano i numeri quadrati, si può con verità rispondere, loro esser tanti quante sono le proprie radici, avvenga che ogni quadrato ha la sua radice, ogni radice il suo quadrato, né quadrato alcuno ha più d'una sola radice, né radice alcuna più d'un quadrato solo.
SIMP. Così sta.
SALV. Ma se io domanderò, quante siano le radici, non si può negare che elle non siano quante tutti i numeri, poiché non vi è numero alcuno che non sia radice di qualche quadrato; e stante questo, converrà dire che i numeri quadrati siano quanti tutti i numeri, poiché tanti sono quante le lor radici, e radici son tutti i numeri: e pur da principio dicemmo, tutti i numeri esser assai più che tutti i quadrati, essendo la maggior parte non quadrati. E pur tuttavia si va la moltitudine de i quadrati sempre con maggior proporzione diminuendo, quanto a maggior numeri si trapassa; perché sino a cento vi sono dieci quadrati, che è quanto dire la decima parte esser quadrati; in dieci mila solo la centesima parte sono quadrati, in un millione solo la millesima: e pur nel numero infinito, se concepir lo potessimo, bisognerebbe dire, tanti essere i quadrati quanti tutti i numeri insieme.
SAGR. Che dunque si ha da determinare in questa occasione?
SALV. Io non veggo che ad altra decisione si possa venire, che a dire, infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, infinite le loro radici, né la moltitudine de' quadrati esser minore di quella di tutti i numeri, né questa maggior di quella, ed in ultima conclusione, gli attributi di eguale maggiore e minore non aver luogo ne gl'infiniti, ma solo nelle quantità terminate. E però quando il Sig. Simplicio mi propone più linee diseguali, e mi domanda come possa essere che nelle maggiori non siano più punti che nelle minori, io gli rispondo che non ve ne sono né più né manco né altrettanti, ma in ciascheduna infiniti: o veramente se io gli rispondessi, i punti nell'una esser quanti sono i numeri quadrati, in un'altra maggiore quanti tutti i numeri, in quella piccolina quanti sono i numeri cubi, non potrei io avergli dato sodisfazione col porne più in una che nell'altra, e pure in ciascheduna infiniti? E questo è quanto alla prima difficoltà .
SAGR. Fermate in grazia, e concedetemi che io aggiunga al detto sin qui un pensiero, che pur ora mi giugne: e questo è, che, stanti le cose dette sin qui, parmi che non solamente non si possa dire, un infinito esser maggiore d'un altro infinito, ma né anco che e' sia maggior d'un finito, perché se 'l numero infinito fusse maggiore, v. g., del millione, ne seguirebbe, che passando dal millione ad altri e ad altri continuamente maggiori, si camminasse verso l'infinito; il che non è: anzi, per l'opposito a quanto maggiori numeri facciamo passaggio, tanto più ci discostiamo dal numero infinito; perché ne i numeri, quanto più si pigliano grandi, sempre più e più rari sono i numeri quadrati in esso contenuti; ma nel numero infinito i quadrati non possono esser manco che tutti i numeri, come pur ora si è concluso; adunque l'andar verso numeri sempre maggiori e maggiori è un discostarsi dal numero infinito.
SALV. E così dal vostro ingegnoso discorso si conclude, gli attributi di maggiore minore o eguale non aver luogo non solamente tra gl'infiniti, ma né anco tra gl'infiniti e i finiti.
Passo ora ad un'altra considerazione, ed è, che stante che la linea ed ogni continuo sian divisibili in sempre divisibili, non veggo come si possa sfuggire, la composizione essere di infiniti indivisibili, perché una divisione e subdivisione che si possa proseguir perpetuamente, suppone che le parti siano infinite, perché altramente la subdivisione sarebbe terminabile; e l'esser le parti infinite si tira in consequenza l'esser non quante, perché quanti infiniti fanno un'estensione infinita: e così abbiamo il continuo composto d'infiniti indivisibili.
SIMP. Ma se noi possiamo proseguir sempre la divisione in parti quante, che necessità abbiamo noi di dover, per tal rispetto, introdur le non quante?
SALV. L'istesso poter proseguir perpetuamente la divisione in parti quante, induce la necessità della composizione di infiniti non quanti. Imperò che, venendo più alle strette, io vi domando che resolutamente mi diciate, se le parti quante nel continuo, per vostro credere, son finite o infinite?
SIMP. Io vi rispondo, essere infinite e finite: infinite, in potenza; e finite, in atto: infinite in potenza, cioè innanzi alla divisione; ma finite in atto, cioè dopo che son divise; perché le parti non s'intendono attualmente esser nel suo tutto, se non dopo esser divise o almeno segnate; altramente si dicono esservi in potenza.
SALV. Sì che una linea lunga, v. g., venti palmi non si dice contener venti linee di un palmo l'una attualmente, se non dopo la divisione in venti parti eguali; ma per avanti si dice contenerle solamente in potenza. Or sia come vi piace; e ditemi se, fatta l'attual divisione di tali parti, quel primo tutto cresce o diminuisce, o pur resta della medesima grandezza?
SIMP. Non cresce, né scema.
SALV. Così credo io ancora. Adunque le parti quante nel continuo, o vi siano in atto o vi siano in potenza, non fanno la sua quantità maggiore né minore: ma chiara cosa è, che parti quante attualmente contenute nel lor tutto, se sono infinite, lo fanno di grandezza infinita: adunque parti quante, benché in potenza solamente, infinite, non possono esser contenute se non in una grandezza infinita; adunque nella finita parti quante infinite, né in atto né in potenza possono esser contenute.
SAGR. Come dunque potrà esser vero che il continuo possa incessabilmente dividersi in parti capaci sempre di nuova divisione?
SALV. Par che quella distinzione d'atto e di potenza vi renda fattibile per un verso quel che per un altro sarebbe impossibile. Ma io vedrò d'aggiustar meglio queste partite con fare un altro computo; ed al quesito che domanda se le parti quante nel continuo terminato sian finite o infinite, risponderò tutto l'opposto di quel che rispose dianzi il Sig. Simplicio, cioè non esser né finite né infinite.
SIMP. Ciò non arei saputo mai risponder io, non pensando che si trovasse termine alcuno mezzano tra 'l finito e l'infinito, sì che la divisione o distinzione che pone, una cosa o esser finita o infinita, fusse manchevole e difettosa.
SALV. A me par ch'ella sia. E parlando delle quantità discrete, parmi che tra le finite e l'infinite ci sia un terzo medio termine, che è il rispondere ad ogni segnato numero; sì che, domandato, nel presente proposito, se le parti quante nel continuo siano finite o infinite, la più congrua risposta sia il dire, non esser né finite né infinite, ma tante che rispondono ad ogni segnato numero: per il che fare è necessario che elle non siano comprese dentro a un limitato numero, perché non risponderebbono ad un maggiore; ma né anco è necessario che elle siano infinite, perché niuno assegnato numero è infinito: e così ad arbitrio del domandante una proposta linea gliela potremo assegnare segata in cento parti quante, e in mille e in cento mila, conforme a qual numero più gli piacerà ; ma divisa in infinite, questo non già . Concedo dunque a i Signori filosofi che il continuo contiene quante parti quante piace loro, e gli ammetto che le contenga in atto o in potenza, a lor gusto e beneplacito; ma gli soggiungo poi, che nel modo che in una linea di dieci canne si contengono dieci linee d'una canna l'una, e quaranta d'un braccio l'una, e ottanta di mezzo braccio, etc., così contiene ella punti infiniti: chiamateli poi in atto o in potenza, come più vi piace, ché io, Sig. Simplicio, in questo particolare mi rimetto al vostro arbitrio e giudizio.
SIMP. Io non posso non laudare il vostro discorso: ma ho gran paura che questa parità dell'esser contenuti i punti come le parti quante non corra con intera puntualità , né che a voi sarà così agevole il dividere la proposta linea in infiniti punti, come a quei filosofi in dieci canne o in quaranta braccia: anzi ho per impossibile del tutto il ridurr'ad effetto tal divisione, sì che questa sarà una di quelle potenze che mai non si riducono in atto.
SALV. L'esser una cosa fattibile se non con fatica o diligenza, o in gran lunghezza di tempo, non la rende impossibile, perché penso che voi altresì non così agevolmente vi sbrighereste da una divisione da farsi d'una linea in mille parti, e molto meno dovendo dividerla in 937 o altro gran numero primo. Ma se questa, che voi per avventura stimate divisione impossibile, io ve la riducessi a così spedita come se altri la dovesse segare in quaranta, vi contentereste voi di ammetterla più placidamente nella nostra conversazione?
SIMP. Io gusto del vostro trattar, come fate talora con qualche piacevolezza; ed al quesito vi rispondo, che la facilità mi parrebbe grande più che a bastanza, quando il risolverla in punti non fusse più laborioso che il dividerla in mille parti.
SALV. Qui voglio dirvi cosa che forse vi farà maravigliare, in proposito del volere o poter risolver la linea ne' suoi infiniti tenendo quell'ordine che altri tiene nel dividerla in quaranta, sessanta o cento parti, cioè con l'andarla dividendo in due e poi in quattro etc.: col qual ordine chi credesse di trovare i suoi infiniti punti, s'ingannerebbe indigrosso, perché con tal progresso né men alla division di tutte le parti quante si perverrebbe in eterno; ma de gli indivisibili tanto è lontano il poter giugner per cotal strada al cercato termine, che più tosto altri se ne discosta, e mentre pensa, col continuar la divisione e col multiplicar la moltitudine delle parti, di avvicinarsi alla infinità , credo che sempre più se n'allontani: e la mia ragione è questa. Nel discorso auto poco fa concludemmo, che nel numero infinito bisognava che tanti fussero i quadrati o i cubi quanti tutti i numeri, poiché e questi e quelli tanti sono quante le radici loro, e radici son tutti i numeri. Vedemmo appresso, che quanto maggiori numeri si pigliavano, tan...
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