[Pagina precedente]...li), così, mediante una medesima suddivisione uniforme del tempo, possiamo concepire che gli incrementi di velocità avvengano con [altrettanta] semplicità ; [lo possiamo] in quanto stabiliamo in astratto che risulti uniformemente e, nel medesimo modo, continuamente accelerato, quel moto che in tempi eguali, comunque presi, acquista eguali aumenti di velocità . Cosicché, considerando un numero qualsiasi di frazioni di tempo eguali a partire dal primo istante in cui il mobile abbandona la quiete e comincia a scendere, il grado di velocità acquistato nella prima e seconda frazione di tempo prese insieme, è doppio rispetto al grado di velocità acquistato dal mobile nella prima frazione; e il grado che si ottiene in tre frazioni di tempo, è triplo; quello acquistato in quattro, quadruplo del medesimo grado del primo tempo: sì che (per maggiore chiarezza), se il mobile continuasse il suo moto secondo il grado o momento di velocità acquistato nella prima frazione di tempo e lo proseguisse uniformemente con tale grado, questo moto sarebbe due volte più lento di quello che [il mobile] otterrebbe secondo il grado di velocità acquistato in due frazioni di tempo. E così ci sembra di non discordare affatto dalla retta ragione se ammettiamo che l'intensità della velocità cresca secondo l'estensione del tempo [la velocità sia proporzionale al tempo].
Possiamo quindi ammettere la seguente definizione del moto di cui tratteremo: Moto equabilmente, ossia uniformemente accelerato, dico quello che, a partire dalla quiete, in tempi eguali acquista eguali momenti di velocità .
SAGR. Io, sì come fuor di ragione mi opporrei a questa o ad altra definizione che da qualsivoglia autore fusse assegnata, essendo tutte arbitrarie, così ben posso senza offesa dubitare se tal definizione, concepita ed ammessa in astratto, si adatti, convenga e si verifichi in quella sorte di moto accelerato che i gravi naturalmente descendenti vanno esercitando. E perché pare che l'Autore ci prometta che tale, quale egli ha definito, sia il moto naturale de i gravi, volentieri mi sentirei rimuover certi scrupoli che mi perturbano la mente, acciò poi con maggior attenzione potessi applicarmi alle proposizioni, e lor dimostrazioni, che si attendono.
SALV. È bene che V. S. ed il Sig. Simplicio vadano proponendo le difficoltà ; le quali mi vo immaginando che siano per essere quelle stesse che a me ancora sovvennero, quando primieramente veddi questo trattato, e che o dall'Autor medesimo, ragionandone seco, mi furon sopite, o tal una ancora da me stesso, co 'l pensarvi, rimosse.
SAGR. Mentre io mi vo figurando, un mobile grave descendente partirsi dalla quiete, cioè dalla privazione di ogni velocità , ed entrare nel moto, ed in quello andarsi velocitando secondo la proporzione che cresce 'l tempo dal primo instante del moto, ad avere, v. g., in otto battute di polso acquistato otto gradi di velocità , della quale nella quarta battuta ne aveva guadagnati quattro, nella seconda due, nella prima uno, essendo il tempo subdivisibile in infinito, ne séguita che, diminuendosi sempre con tal ragione l'antecedente velocità , grado alcuno non sia di velocità così piccolo, o vogliamo dir di tardità così grande, nel quale non si sia trovato costituito l'istesso mobile dopo la partita dall'infinita tardità , cioè dalla quiete: tal che, se quel grado di velocità ch'egli ebbe alle quattro battute di tempo, era tale che, mantenendola equabile, arebbe corso due miglia in un'ora, e co 'l grado di velocità ch'ebbe nella seconda battuta arebbe fatto un miglio per ora, convien dire che ne gl'instanti del tempo più e più vicini al primo della sua mossa dalla quiete si trovasse così tardo, che non arebbe (seguitando di muoversi con tal tardità ) passato un miglio in un'ora, né in un giorno, né in un anno, né in mille, né passato anco un sol palmo in tempo maggiore; accidente al quale pare che assai mal agevolmente s'accomodi l'immaginazione, mentre che il senso ci mostra, un grave cadente venir subito con gran velocità .
SALV. Questa è una delle difficoltà che a me ancora su 'l principio dette che pensare, ma non molto dopo la rimossi; ed il rimuoverla fu effetto della medesima esperienza che di presente a voi la suscita. Voi dite, parervi che l'esperienza mostri, che a pena partitosi il grave dalla quiete, entri in una molto notabile velocità ; ed io dico che questa medesima esperienza ci chiarisce, i primi impeti del cadente, benché gravissimo, esser lentissimi e tardissimi. Posate un grave sopra una materia cedente, lasciandovelo sin che prema quanto egli può con la sua semplice gravità : è manifesto che, alzandolo un braccio o due, lasciandolo poi cadere sopra la medesima materia, farà con la percossa nuova pressione, e maggiore che la fatta prima co 'l solo peso; e l'effetto sarà cagionato dal mobile cadente congiunto con la velocità guadagnata nella caduta, il quale effetto sarà più e più grande, secondo che da maggior altezza verrà la percossa, cioè secondo che la velocità del percuziente sarà maggiore. Quanta dunque sia la velocità d'un grave cadente, lo potremo noi senza errore conietturare dalla qualità e quantità della percossa. Ma ditemi, Signori: quel mazzo che lasciato cadere sopra un palo dall'altezza di quattro braccia lo ficca in terra, v. g., quattro dita, venendo dall'altezza di duo braccia lo caccerà assai manco, e meno dall'altezza di uno, e manco da un palmo; e finalmente, sollevandolo un dito, che farà di più che se, senza percossa, vi fusse posto sopra? certo pochissimo: ed operazione del tutto impercettibile sarebbe, se si elevasse quanto è grosso un foglio. E perché l'effetto della percossa si regola dalla velocità del medesimo percuziente, chi vorrà dubitare che lentissimo sia 'l moto e più che minima la velocità , dove l'operazione sua sia impercettibile? Veggano ora quanta sia la forza della verità , mentre l'istessa esperienza che pareva nel primo aspetto mostrare una cosa, meglio considerata ci assicura del contrario. Ma senza ridursi a tale esperienza (che senza dubbio è concludentissima), mi pare che non sia difficile co 'l semplice discorso penetrare una tal verità . Noi abbiamo un sasso grave, sostenuto nell'aria in quiete; si libera dal sostegno e si pone in libertà , e, come più grave dell'aria, vien descendendo al basso, e non con moto equabile, ma lento nel principio, e continuamente dopo accelerato: ed essendo che la velocità è augumentabile e menomabile in infinito, qual ragione mi persuaderà che tal mobile, partendosi da una tardità infinita (ché tal è la quiete), entri immediatamente in dieci gradi di velocità più che in una di quattro, o in questa prima che in una di due, di uno, di un mezo, di un centesimo? ed in somma in tutte le minori in infinito? Sentite, in grazia. Io non credo che voi fuste renitenti a concedermi che l'acquisto de i gradi di velocità del sasso cadente dallo stato di quiete possa farsi co 'l medesimo ordine che la diminuzione e perdita de i medesimi gradi, mentre da virtù impellente fusse ricacciato in su alla medesima altezza; ma quando ciò sia, non veggo che si possa dubitare che nel diminuirsi la velocità del sasso ascendente, consumandola tutta, possa pervenire allo stato di quiete prima che passar per tutti i gradi di tardità .
SIMP. Ma se i gradi di tardità maggiore e maggiore sono infiniti, già mai non si consumeranno tutti; onde tal grave ascendente non si condurrà mai alla quiete, ma infinitamente si moverà , ritardandosi sempre: cosa che non si vede accadere.
SALV. Accaderebbe cotesto, Sig. Simplicio, quando il mobile andasse per qualche tempo trattenendosi in ciaschedun grado; ma egli vi passa solamente, senza dimorarvi oltre a un instante; e perché in ogni tempo quanto, ancor che piccolissimo, sono infiniti instanti, però son bastanti a rispondere a gl'infiniti gradi di velocità diminuita. Che poi tal grave ascendente non persista per verun tempo quanto in alcun medesimo grado di velocità , si fa manifesto così: perché se, assegnato qualche tempo quanto, nel primo instante di tal tempo ed anco nell'ultimo il mobile si trovasse aver il medesimo grado di velocità , potrebbe da questo secondo grado esser parimente sospinto in su per altrettanto spazio, sì come dal primo fu portato al secondo, e per l'istessa ragione passerebbe dal secondo al terzo, e finalmente continuerebbe il suo moto uniforme in infinito.
SAGR. Da questo discorso mi par che si potrebbe cavare una assai congrua ragione della quistione agitata tra i filosofi, qual sia la causa dell'accelerazione del moto naturale de i gravi. Imperò che, mentre io considero, nel grave cacciato in su andarsi continuamente diminuendo quella virtù impressagli dal proiciente; la quale, sin che fu superiore all'altra contraria della gravità , lo sospinse in alto; giunte che siano questa e quella all'equilibrio, resta il mobile di più salire e passa per lo stato della quiete, nel quale l'impeto impresso non è altramente annichilito, ma solo consumatosi quell'eccesso che pur dianzi aveva sopra la gravità del mobile, per lo quale, prevalendogli, lo spingeva in su; continuandosi poi la diminuzione di questo impeto straniero, ed in consequenza cominciando il vantaggio ad esser dalla parte della gravità , comincia altresì la scesa, ma lenta per il contrasto della virtù impressa, buona parte della quale rimane ancora nel mobile; ma perché ella pur va continuamente diminuendosi, venendo sempre con maggior proporzione superata dalla gravità , quindi nasce la continua accelerazione del moto.
SIMP. Il pensiero è arguto, ma più sottile che saldo: imperò che, quando pur sia concludente, non sodisfà se non a quei moti naturali a i quali sia preceduto un moto violento, nel quale resti ancora vivace parte della virtù esterna; ma dove non sia tal residuo, ma si parta il mobile da una antiquata quiete, cessa la forza di tutto il discorso.
SAGR. Credo che voi siate in errore, e che questa distinzione di casi, che fate, sia superflua, o, per dir meglio, nulla. Però ditemi, se nel proietto può esser tal volta impressa dal proiciente molta e tal ora poca virtù, sì che possa essere scagliato in alto cento braccia, ed anco venti, o quattro, o uno?
SIMP. Non è dubbio che sì.
SAGR. E non meno potrà cotal virtù impressa di così poco superar la resistenza della gravità , che non l'alzi più d'un dito; e finalmente può la virtù del proiciente esser solamente tanta, che pareggi per l'appunto la resistenza della gravità , sì che il mobile sia non cacciato in alto, ma solamente sostenuto. Quando dunque voi reggete in mano una pietra, che altro gli fate voi che l'imprimerli tanta virtù impellente all'in su, quanta è la facoltà della sua gravità , traente in giù? e questa vostra virtù non continuate voi di conservargliela impressa per tutto il tempo che voi la sostenete in mano? si diminuisce ella forse per la lunga dimora che voi la reggete? e questo sostentamento che vieta la scesa al sasso, che importa che sia fatto più dalla vostra mano, che da una tavola, o da una corda dalla quale ei sia sospeso? Certo niente. Concludete pertanto, Sig. Simplicio, che il precedere alla caduta del sasso una quiete lunga o breve o momentanea, non fa differenza alcuna, sì che il sasso non parta sempre affetto da tanta virtù contraria alla sua gravità , quanta appunto bastava a tenerlo in quiete.
SALV. Non mi par tempo opportuno d'entrare al presente nell'investigazione della causa dell'accelerazione del moto naturale, intorno alla quale da varii filosofi varie sentenzie sono state prodotte, riducendola alcuni all'avvicinamento al centro, altri al restar successivamente manco parti del mezo da fendersi, altri a certa estrusione del mezo ambiente, il quale, nel ricongiugnersi a tergo del mobile, lo va premendo e continuatamente scacciando; le quali fantasie, con altre appresso, converrebbe andare esaminando e con poco guadagno risolvendo. Per ora basta al nostro Autore che noi intendiamo che egli ci vuole investigare e dimostrare alcune passioni di un moto accelerato (qualunque si sia la c...
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