[Pagina precedente]...i: il maggior de i quali sarà il tiro de i proietti, e di questi quello solamente dell'artiglierie, il quale, per grande che sia, non passerà 4 miglia di quelle delle quali noi siamo lontani dal centro quasi altrettante migliara; ed andando questi a terminar nella superficie del globo terrestre, ben potranno solo insensibilmente alterar quella figura parabolica, la quale si concede che sommamente si trasformerebbe nell'andare a terminar nel centro.
Quanto poi al perturbamento procedente dall'impedimento del mezo, questo è più considerabile, e, per la sua tanto moltiplice varietà, incapace di poter sotto regole ferme esser compreso e datone scienza; atteso che, se noi metteremo in considerazione il solo impedimento che arreca l'aria a i moti considerati da noi, questo si troverà perturbargli tutti, e perturbargli in modi infiniti, secondo che in infiniti modi si variano le figure, le gravità e le velocità de i mobili. Imperò che, quanto alla velocità, secondo che questa sarà maggiore, maggiore sarà il contrasto fattogli dall'aria; la quale anco impedirà più i mobili secondo che saranno men gravi: talché, se bene il grave descendente dovrebbe andare accelerandosi in duplicata proporzione della durazion del suo moto, tuttavia, per gravissimo che fusse il mobile, nel venir da grandissime altezze sarà tale l'impedimento dell'aria, che gli torrà il poter crescere più la sua velocità, e lo ridurrà ad un moto uniforme ed equabile; e questa adequazione tanto più presto ed in minori altezze si otterrà, quanto il mobile sarà men grave. Quel moto anco che nel piano orizontale, rimossi tutti gli altri ostacoli, devrebbe essere equabile e perpetuo, verrà dall'impedimento dell'aria alterato, e finalmente fermato: e qui ancora tanto più presto, quanto il mobile sarà più leggiero. De i quali accidenti di gravità, di velocità, ed anco di figura, come variabili in modi infiniti, non si può dar ferma scienza: e però, per poter scientificamente trattar cotal materia, bisogna astrar da essi, e ritrovate e dimostrate le conclusioni astratte da gl'impedimenti, servircene, nel praticarle, con quelle limitazioni che l'esperienza ci verrà insegnando. E non però piccolo sarà l'utile, perché le materie e lor figure saranno elette le men soggette a gl'impedimenti del mezo, quali sono le gravissime e le rotonde, e gli spazii e le velocità per lo più non saranno sì grandi, che le loro esorbitanze non possano con facil tara esser ridotte a segno; anzi pure ne i proietti praticabili da noi, che siano di materie gravi e di figura rotonda, ed anco di materie men gravi e di figura cilindrica, come frecce, lanciati con frombe o archi, insensibile sarà del tutto lo svario del lor moto dall'esatta figura parabolica. Anzi (e voglio pigliarmi alquanto più di licenza) che ne gli artifizii da noi praticabili la piccolezza loro renda pochissimo notabili gli esterni ed accidentarii impedimenti, tra i quali quello del mezo è il più considerabile, vi posso io con due esperienze far manifesto. Io farò considerazione sopra i movimenti fatti per l'aria, ché tali son principalmente quelli de i quali noi parliamo; contro i quali essa aria in due maniere esercita la sua forza: l'una è coll'impedir più i mobili men gravi che i gravissimi; l'altra è nel contrastar più alla velocità maggiore che alla minore dell'istesso mobile. Quanto al primo, il mostrarci l'esperienza che due palle di grandezza eguali, ma di peso l'una 10 o 12 volte più grave dell'altra, quali sarebbero, per esempio, una di piombo e l'altra di rovere, scendendo dall'altezza di 150 o 200 braccia, con pochissimo differente velocità arrivano in terra, ci rende sicuri che l'impedimento e ritardamento dell'aria in amendue è poco: che se la palla di piombo, partendosi nell'istesso momento da alto con l'altra di legno, poco fusse ritardata, e questa molto, per assai notabile spazio devrebbe il piombo, nell'arrivare in terra, lasciarsi a dietro il legno, mentre è 10 volte più grave; il che tutta via non accade, anzi la sua anticipazione non sarà né anco la centesima parte di tutta l'altezza; e tra una palla di piombo ed una di pietra, che di quella pesasse la terza parte o la metà, appena sarebbe osservabile la differenza del tempo delle lor giunte in terra. Ora, perché l'impeto che acquista una palla di piombo nel cadere da un'altezza di 200 braccia (il quale è tanto, che continuandolo in moto equabile scorrerebbe braccia 400 in tanto tempo quanto fu quello della sua scesa) è assai considerabile rispetto alle velocità che noi con archi o altre machine conferiamo a i nostri proietti (trattone gl'impeti dependenti dal fuoco), possiamo senza errore notabile concludere e reputar come assolutamente vere le proposizioni che si dimostreranno senza il riguardo dell'alterazion del mezo. Circa poi all'altra parte, che è di mostrare, l'impedimento che l'istesso mobile riceve dall'aria, mentre egli con gran velocità si muove, non esser grandemente maggiore di quello che gli contrasta nel muoversi lentamente, ferma certezza ce ne porge la seguente esperienza. Sospendansi da due fili egualmente lunghi, e di lunghezza di 4 o 5 braccia, due palle di piombo eguali, e attaccati i detti fili in alto, si rimuovano amendue le palle dallo stato perpendicolare; ma l'una si allontani per 80 o più gradi, e l'altra non più che 4 o 5: sì che, lasciate in libertà, l'una scenda e, trapassando il perpendicolo, descrive archi grandissimi di 160, 150, 140 gradi, etc., diminuendogli a poco a poco; ma l'altra, scorrendo liberamente, passi archi piccoli di 10, 8, 6 etc., diminuendogli essa ancora a poco a poco: qui primieramente dico, che in tanto tempo passerà la prima li suoi gradi 180, 160 etc., in quanto l'altra li suoi 10, 8 etc. Dal che si fa manifesto, che la velocità della prima palla sarà 16 e 18 volte maggiore della velocità della seconda; sì che, quando la velocità maggiore più dovesse essere impedita dall'aria che la minore, più rade devriano esser le vibrazioni ne gli archi grandissimi di 180 e 160 gradi etc., che ne i piccolissimi di 10, 8, 4, ed anco di 2 e di 1: ma a questo repugna l'esperienza; imperò che se due compagni si metteranno a numerare le vibrazioni, l'uno le grandissime e l'altro le piccolissime, vedranno che ne numereranno non pur le decine, ma le centinaia ancora, senza discordar d'una sola, anzi d'un sol punto. E questa osservazione ci assicura congiuntamente delle 2 proposizioni, cioè che le massime e le minime vibrazioni si fanno tutte a una a una sotto tempi eguali, e che l'impedimento e ritardamento dell'aria non opera più ne i moti velocissimi che ne i tardissimi; contro a quello che pur dianzi pareva che noi ancora comunemente giudicassimo.
SAGR. Anzi, perché non si può negare che l'aria impedisca questi e quelli, poi che e questi e quelli vanno languendo e finalmente finiscono, convien dire che tali ritardamenti si facciano con la medesima proporzione nell'una e nell'altra operazione. Ma che? l'avere a far maggior resistenza una volta che un'altra, da che altro proced'egli fuor che dall'esser assalito una volta con impeto e velocità maggiore, ed un'altra con minore? E se questo è, la quantità medesima della velocità del mobile è cagione ed insieme misura della quantità della resistenza. Adunque tutti i moti, siano tardi o veloci, son ritardati e impediti con l'istessa proporzione: notizia, par a me, non disprezzabile.
SALV. Possiam per tanto anco in questo secondo caso concludere, che le fallacie nelle conclusioni le quali astraendo da gli accidenti esterni si dimostreranno, siano ne gli artifizii nostri di piccola considerazione, rispetto a i moti di gran velocità, de i quali per lo più si tratta, ed alle distanze, che non sono se non piccolissime in relazione alla grandezza del semidiametro e de i cerchi massimi del globo terrestre.
SIMP. Io volentieri sentirei la cagione per la quale V. S. sequestra i proietti dall'impeto del fuoco, cioè, come credo, dalla forza della polvere, da gli altri proietti con frombe archi o balestre, circa 'l non essere nell'istesso modo soggetti all'alterazione ed impedimento dell'aria.
SALV. Muovemi l'eccessiva e, per via di dire, furia soprannaturale con la quale tali proietti vengono cacciati; ché bene anco fuora d'iperbole mi par che la velocità con la quale vien cacciata la palla fuori d'un moschetto o d'una artiglieria, si possa chiamar sopranaturale. Imperò che, scendendo naturalmente per l'aria da qualche altezza immensa una tal palla, la velocità sua, mercé del contrasto dell'aria, non si andrà accrescendo perpetuamente: ma quello che ne i cadenti poco gravi si vede in non molto spazio accadere, dico di ridursi finalmente a un moto equabile, accaderà ancora, dopo la scesa di qualche migliara di braccia, in una palla di ferro o di piombo; e questa terminata ed ultima velocità si può dire esser la massima che naturalmente può ottener tal grave per aria: la qual velocità io reputo assai minor di quella che alla medesima palla viene impressa dalla polvere accesa. Del che una assai acconcia esperienza ci può render cauti. Sparisi da un'altezza di cento o più braccia un archibuso con palla di piombo all'in giù perpendicolarmente sopra un pavimento di pietra, e col medesimo si tiri contro una simil pietra in distanza d'un braccio o 2, e veggasi poi qual delle 2 palle si trovi esser più ammaccata: imperò che, se la venuta da alto si troverà meno schiacciata dell'altra, sarà segno che l'aria gli avrà impedita e diminuita la velocità conferitagli dal fuoco nel principio del moto, e che, per conseguenza, una tanta velocità non gli permetterebbe l'aria che ella guadagnasse già mai venendo da quanto si voglia subblime altezza; ché quando la velocità impressagli dal fuoco non eccedesse quella che per se stessa, naturalmente scendendo, potesse acquistare, la botta all'ingiù devrebbe più tosto esser più valida che meno. Io non ho fatto tale esperienza, ma inclino a credere che una palla d'archibuso o d'artiglieria, cadendo da un'altezza quanto si voglia grande, non farà quella percossa che ella fa in una muraglia in lontananza di poche braccia, cioè di così poche, che 'l breve sdrucito, o vogliam dire scissura, da farsi nell'aria non basti a levar l'eccesso della furia sopranaturale impressagli dal fuoco. Questo soverchio impeto di simili tiri sforzati può cagionar qualche deformità nella linea del proietto, facendo 'l principio della parabola meno inclinato e curvo del fine; ma questo, poco o niente può esser di progiudizio al nostro Autore nelle praticali operazioni: tra le quali principale è la composizione d'una tavola per i tiri che dicono di volata, la quale contenga le lontananze delle cadute delle palle tirate secondo tutte le diverse elevazioni; e perché tali proiezzioni si fanno con mortari, e con non molta carica, in questi non essendo sopranaturale l'impeto, i tiri segnano le lor linee assai esattamente.
Ma in tanto procediamo avanti nel trattato, dove l'Autore ci vuole introdurre alla contemplazione ed investigazione dell'impeto del mobile, mentre si muove con moto composto di due; e prima, del composto di due equabili, l'uno orizontale e l'altro perpendicolare.
TEOREMA 2. PROPOSIZIONE 2
Se un mobile si muove con moto composto di due equabili, l'uno orizzontale e l'altro perpendicolare, l'impeto o momento del movimento composto da ambedue sarà in potenza eguale ai due momenti dei primi moti.
[v. figura 73]
Un mobile, infatti, si muova equabilmente con un movimento duplice, e al movimento perpendicolare corrisponda lo spazio ab, mentre al movimento orizzontale compiuto in un egual tempo corrisponda lo spazio bc. Allora, poiché gli spazi ab e bc vengono percorsi nel medesimo tempo con moti equabili, i momenti di tali moti staranno tra di loro come le medesime ab e bc: ma il mobile, che si muove secondo questi due movimenti, descrive la diagonale ac; il momento della sua velocità sarà dunque [rappresentato da] ac. Ma ac è eguale in potenza alle medesime ab e bc; dunque, il momento composto dai due momenti ab e bc sa...
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