[Pagina precedente]...o. Sospendete palle di piombo, o altri simili gravi, da tre fili di lunghezze diverse, ma tali che nel tempo che il più lungo fa due vibrazioni, il più corto ne faccia quattro e 'l mezzano tre, il che accaderà quando il più lungo contenga sedici palmi o altre misure, delle quali il mezzano ne contenga nove ed il minore quattro; e rimossi tutti insieme dal perpendicolo e poi lasciatigli andare, si vedrà un intrecciamento vago di essi fili, con incontri varii, ma tali che ad ogni quarta vibrazione del più lungo tutti tre arriveranno al medesimo termine unitamente, e da quello poi si partiranno, reiterando di nuovo l'istesso periodo: la qual mistione di vibrazioni è quella che, fatta dalle corde, rende all'udito l'ottava con la quinta in mezzo. E se con simile disposizione si andranno temperando le lunghezze di altri fili, sì che le vibrazioni loro rispondano a quelle di altri intervalli musici, ma consonanti, si vedranno altri ed altri intrecciamenti, e sempre tali, che in determinati tempi e dopo determinati numeri di vibrazioni tutti i fili (siano tre o siano quattro) si accordano a giugner nell'istesso momento al termine di loro vibrazioni, e di lì a cominciare un altro simil periodo. Ma quando le vibrazioni di due o più fili siano o incommensurabili, sì che mai non ritornino a terminar concordemente determinati numeri di vibrazioni, o se pur, non essendo incommensurabili, vi ritornano dopo lungo tempo e dopo gran numero di vibrazioni, allora la vista si confonde nell'ordine disordinato di sregolata intrecciatura, e l'udito con noia riceve gli appulsi intemperati de i tremori dell'aria, che senza ordine o regola vanno a ferire su 'l timpano.
Ma dove, Signori miei, ci siamo lasciati trasportare per tante ore da i vani problemi ed inopinati discorsi? Siamo giunti a sera, e della proposta materia abbiamo trattato pochissimo o niente; anzi ce ne siamo in modo disviati, che a pena mi sovviene della prima introduzzione e di quel poco ingresso che facemmo come ipotesi e principio delle future dimostrazioni.
SAGR. Sarà dunque bene che ponghiamo per oggi fine a i nostri ragionamenti, dando commodo alla mente di andarsi nel riposo della notte tranquillando, per tornar poi domani (quando piaccia a V. S. di favorirci) a i discorsi desiderati e principalmente intesi.
SALV. Non mancherò d'esser qua all'istessa ora di oggi a servirle e goderle.
Finisce la prima Giornata
GIORNATA SECONDA
SAGR. Stavamo, il Sig. Simplicio ed io, aspettando la venuta di V. S., e nel medesimo tempo ci andavamo riducendo a memoria l'ultima considerazione, che, quasi come principio e supposizione delle conclusioni che V. S. intendeva di dimostrarci, fu circa quella resistenza che hanno tutti i corpi solidi all'esser rotti, dependente da quel glutine che tiene le parti attaccate e congiunte, sì che non senza una potente attrazzione cedono e si separano. Si andò poi cercando qual potesse esser la causa di tal coerenza, che in alcuni solidi è gagliardissima, proponendosi principalmente quella del vacuo, che fu poi cagione di tante digressioni che ci tennero tutta la giornata occupati e lontani dalla materia primieramente intesa, che era, come ho detto, la contemplazione delle resistenze de i solidi all'essere spezzati.
SALV. Ben mi sovviene del tutto. E ritornando su 'l filo incominciato, posta qualunque ella sia la resistenza de i corpi solidi all'essere spezzati per una violenta attrazzione, basta che indubitabilmente ella in loro si trova; la quale, ben che grandissima contro alla forza di chi per diritto gli tira, minore per lo più si osserva nel violentargli per traverso: e così vegghiamo una verga, per esempio, d'acciaio o di vetro reggere per lo lungo il peso di mille libbre, che fitta a squadra in un muro si spezzerà con l'attaccargliene cinquanta solamente: e di questa seconda resistenza deviamo noi parlare, ricercando secondo quali proporzioni ella si ritrovi ne i prismi e cilindri simili o dissimili in figura e grossezza, essendo però dell'istessa materia. Nella quale specolazione io piglio come principio noto quello che nelle mecaniche si dimostra tra le passioni del vette, che noi chiamiamo leva, cioè che nell'uso della leva la forza alla resistenza ha la proporzion contraria di quella che hanno le distanze tra 'l sostegno e le medesime forza e resistenza.
SIMP. Questo fu dimostrato da Aristotile, nelle sue Mecaniche, prima che da ogni altro.
SALV. Voglio che gli concediamo il primato nel tempo; ma nella fermezza della dimostrazione parmi che se gli deva per grand'intervallo anteporre Archimede, da una sola proposizione del quale, dimostrata da esso ne gli Equiponderanti, dependono le ragioni non solamente della leva, ma della maggior parte de gli altri strumenti mecanici.
SAGR. Ma già che questo principio è il fondamento di tutto quello che voi avete intenzione di volerci dimostrare, non sarebbe se non molto a proposito l'arrecarci anco la prova di tal supposizione, quando non sia materia molto prolissa, dandoci una intera e compita instruzzione.
SALV. Come questo si abbia a fare, sarà pur meglio che io per altro ingresso, alquanto diverso da quello d'Archimede, v'introduca nel campo di tutte le future specolazioni, e che non supponendo altro se non che pesi eguali posti in bilancia di braccia eguali facciano l'equilibrio (principio supposto parimente dal medesimo Archimede), io venga poi a dimostrarvi come non solamente altrettanto sia vero che pesi diseguali facciano l'equilibrio in stadera di braccia diseguali secondo la proporzione di essi pesi permutatamente sospesi, ma che l'istessa cosa fa colui che colloca pesi eguali in distanze eguali, che quello che colloca pesi diseguali in distanze che abbiano permutatamente la medesima proporzione che i pesi.
[v. figura 15]
Or per chiara dimostrazione di quanto dico, segno un prisma o cilindro solido AB, sospeso dall'estremità alla linea HI, e sostenuto da due fili HA, IB: è manifesto, che se io sospenderò il tutto dal filo C, posto nel mezzo della bilancia HI, il prisma AB resterà equilibrato, essendo la metà del suo peso da una banda, e l'altra dall'altra, del punto della sospensione C, per il principio da noi supposto. Intendasi ora il prisma esser diviso in parti diseguali dal piano per la linea D, e sia la parte DA maggiore, e la DB minore; ed acciò che, fatta tal divisione, le parti del prisma restino nel medesimo sito e costituzione rispetto alla linea HI, soccorriamo con un filo ED, il quale, fermato nel punto E, sostenga le parti del prisma AD, DB; non è da dubitarsi che, non si essendo fatta veruna local mutazione nel prisma rispetto alla bilancia HI, ella resterà nel medesimo stato dell'equilibrio. Ma nella medesima costituzione resterà ancora se la parte del prisma che ora è sospesa dalle due estremità con li fili AH, DE, si appenda ad un sol filo GL, posto nel mezzo; e parimente l'altra parte DB non muterà stato sospesa dal mezzo e sostenuta dal filo FM: sciolti dunque i fili HA, ED, IB, e lasciati solo li due GL, FM, resterà l'istesso equilibrio, fatta pur sempre la sospensione dal punto C. Or qui voltiamoci a considerare come noi abbiamo due gravi AD, DB, pendenti da i termini G, F di una libra GF, nella quale si fa l'equilibrio dal punto C, in modo che la distanza della sospensione del grave AD dal punto C è la linea CG, e l'altra parte CF è la distanza dalla qual pende l'altro grave DB: resta dunque solo da dimostrarsi, tali distanze aver la medesima proporzione tra di loro che hanno gli stessi pesi, ma permutatamente presi, cioè che la distanza GC alla CF sia come il prisma DB al prisma DA; il che proveremo così. Essendo la linea GE la metà della EH, e la EF metà della EI, sarà tutta la GF metà di tutta la HI, e però eguale alla CI; e trattane la parte comune CF, sarà la rimanente GC eguale alla rimanente FI, cioè alla FE; e presa comunemente la CE, saranno le due GE, CF eguali: e però, come GE ad EF, così FC a CG; ma come GE ad EF, così la doppia alla doppia, cioè HE ad EI, cioè il prisma AD al prisma DB; adunque, per l'egual proporzione e convertendo, come la distanza GC alla distanza CF, così il peso BD al peso DA: che è quello che io volevo provarvi.
Inteso sin qui, non credo che voi porrete difficoltà in ammettere che i due prismi AD, DB facciano l'equilibrio dal punto C, perché la metà di tutto 'l solido AB è alla destra della sospensione C, e l'altra metà dalla sinistra, e che così si vengono a rappresentar due pesi eguali disposti e distesi in due distanze eguali. Che poi li due prismi AD, DB ridotti in due dadi, o in due palle, o in due qual'altre si siano figure (purché si conservino le sospensioni medesime G, F), seguitino di far l'equilibrio dal punto C, non credo che sia alcuno che ne possa dubitare, perché troppo manifesta cosa è che le figure non mutano peso, dove si ritenga la medesima quantità di materia. Dal che possiamo raccor la general conclusione, che due pesi, qualunque si siano, fanno l'equilibrio da distanze permutatamente respondenti alle lor gravità .
Stabilito dunque tal principio, avanti che passiamo più oltre devo metter in considerazione come queste forze, resistenze, momenti, figure, etc., si posson considerar in astratto e separate dalla materia, ed anco in concreto e congiunte con la materia; ed in questo modo quelli accidenti che converranno alle figure considerate come immateriali, riceveranno alcune modificazioni mentre li aggiugneremo la materia, ed in consequenza la gravità . [v. figura 16] Come, per esempio, se noi intenderemo una leva, qual sarebbe questa BA, la quale, posando su 'l sostegno E, sia applicata per sollevare il grave sasso D, è manifesto, per il dimostrato principio, che la forza posta nell'estremità B basterà per adequare la resistenza del grave D, se il suo momento al momento di esso D abbia la medesima proporzione che ha la distanza AC alla distanza CB; e questo è vero, non mettendo in considerazione altri momenti che quelli della semplice forza in B e della resistenza in D, quasi che l'istessa leva fusse immateriale e senza gravità : ma se noi metteremo in conto la gravità ancora dello strumento stesso della leva, la quale sarà talor di legno e tal volta anco di ferro, è manifesto che, alla forza in B aggiunto il peso della leva, altererà la proporzione, la quale converrà pronunziare sotto altri termini. E però, prima che passar più oltre, è necessario che noi convenghiamo in por distinzione tra queste due maniere di considerare, chiamando un prendere assolutamente quello quando intenderemo lo strumento preso in astratto, cioè separato dalla gravità della propria materia; ma congiugnendo con le figure semplici ed assolute la materia, con la gravità ancora, nomineremo le figure congiunte con la materia momento o forza composta.
SAGR. È forza ch'io rompa il proposito che avevo di non dar occasione di digredire; ma non potrei con attenzione applicarmi al rimanente, se non mi fusse rimosso certo scrupolo che mi nasce; ed è questo: che mi pare che V. S. faccia comparazione della forza posta in B con la total gravità del sasso D, della qual gravità mi pare che una parte, e forse forse la maggiore, si appoggi sopra 'l piano dell'orizonte; sì che...
SALV. Ho inteso benissimo. V. S. non soggiunga altro ma solamente avverta che io non ho nominata la gravità totale del sasso, ma ho parlato del momento che egli tiene ed esercita sopra 'l punto A, estremo termine della leva BA; il quale è sempre minore dell'intero peso del sasso, ed è, variabile secondo la figura della pietra e secondo che ella vien più o meno sollevata.
SAGR. Resto appagato; ma mi nasce un altro desiderio, che è, che per intera cognizione mi fusse dimostrato il modo, se vi è, di poter investigare qual parte sia del peso totale quella che vien sostenuta dal soggetto piano, e quale quella che grava su 'l vette nell'estremità A.
SALV. Perché posso con poche parole dargli sodisfazzione, non voglio lasciar di servirla. Però, facendone un poco di figura [v. figura 17], intenda V. S. il peso il cui ce...
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