[Pagina precedente]...hiere fa guidando i cavalli per la china, che poco concede loro perchè troppo non gli rapiscano.
Padron, se con lamenti e con rammarichi
Si rimediasse a le nostre miserie,
Bisognerebbe comperar le lagrime
A peso d'or: ma queste tanto possono
Le disgrazie scemar, quanto le prefiche
Svegliare i morti con le loro istorie:
Ne' guai non ci vuol pianto ma consiglio.
[6]Messer tale domandato da alcuni che disputavano sopra una statua antica di Giove in terra cotta che ne sentisse, rispose: Maravigliomi come non vi siate accorti che questo è un Giove in Creta: volendo dire in terra cotta, ma in sembianza, nell'isola di Creta, dove Giove fu allevato.
Sistema di Belle Arti.
Fine - il diletto; secondario alle volte, l'utile. - Oggetto o mezzo di ottenere il fine - l'imitazione della natura, non del bello necessariamente. - Cagione primaria del fine prodotto da questo oggetto o sia con questo mezzo - la maraviglia: forza del mirabile e desiderio di esso innato nell'uomo: tendenza a credere il mirabile: la maraviglia così è prodotta dalla imitazione del bello come da quella di qualunque altra cosa reale o verisimile: quindi il diletto delle tragedie ec. prodotto non dalla cosa imitata ma dall'imitazione che fa maraviglia. - Cagioni secondarie e relative ai diversi oggetti imitati - la bellezza, la rimembranza, l'attenzione che si pone a cose che tuttogiorno si vedono senza badarci ec. - Cagione primitiva del diletto destato dalla maraviglia ec. e però conseguentemente del diletto destato dalle belle arti - l'orrore della noia naturale all'uomo, ricerche sopra le cagioni di quest'orrore ec. - Cagioni dei difetti nelle belle arti - Sproporzione, sconvenevolezza, cose poste fuor di luogo, al che solo (contro l'opinione di chi pensa che provenga dall'avere le arti per oggetto il bello) si riducono i difetti della bassezza della bruttezza deformità crudeltà sporchezza tristizia tutte cose che rappresentate o impiegate nei loro luoghi non sono difetti giacchè piacciono e per mezzo dell'imitazione producono la maraviglia, ma sono difetti fuor di luogo p.e. in un'anacreontica l'imagine di un ciclopo, (per lo più) in un'epopea per lo più la figura di un deforme ec. Altri difetti e vizi; affettazione ec. quasi tutti si riducono alla sconvenevolezza e inverisimiglianza che proviene dallo sconvenirsi tra loro in natura quegli attributi della cosa inverisimile, onde la mente che comprende la [7]sconvenienza degli attributi concepisce l'inverisimiglianza. - Diversi rami della imitazione che formano i diversi oggetti delle belle arti e i diversi generi p.e. di poesia, i quali tanto più son degni e nobili quanto più degni ec. sono gli oggetti, onde un genere che abbia per oggetto il deforme, sarà un genere poco stimabile e da non mettersi p.e. coll'epopea, benchè anch'esso sia un genere di poesia destando la maraviglia e quindi il diletto col mezzo dell'imitazione.
Del BelloDel SublimeDel terribileDel ridicolo e vizioso ec.Epopea Lirica ec.Lirica Epopea ec.Tragica ec.Commedia satira poesia Bernesca ec.
Vari rami del bello.
Bello delicato - grazioso - ameno - elegante. V. Martignoni ec. Annali di scienze e lettere n.8. p.252-54. Ci può essere il bello delicato e il non delicato. Ercole, Apollo. Bello sublime. Giove. [8]Provatevi a respirare artificialmente, e a fare pensatamente qualcuno di quei moltissimi atti che si fanno per natura; non potrete, se non a grande stento e men bene. Così la tropp'arte nuoce a noi: e quello che Omero diceva ottimamente per natura, noi pensatamente e con infinito artifizio non possiamo dirlo se non mediocremente, e in modo che lo stento più o meno quasi sempre si scopra. V. p.461.
Difficoltà d'imitare: più facile il far più che quel medesimo: quanto sia difficile l'essere uguale: quanto rara in natura l'uguaglianza perfetta: quindi la maraviglia nata dall'imitazione e il diletto nato dalla maraviglia. V. Quintiliano, l.10.c.11. quindi la maggior facilità di esprimere un bello ideale che il proprio bello naturale anche minore dell'ideale.
Due gran dubbi mi stanno in mente circa le belle arti. Uno se il popolo sia giudice ai tempi nostri dei lavori di belle arti. L'altro se il prototipo del bello sia veramente in natura, e non dipenda dalle opinioni e dall'abito che è una seconda natura. Della prima quistione se mi verrà in mente qualche pensiero lo scriverò poi: della seconda, osservo che a noi par conveniente a un soggetto (e la bellezza sta tutta si può dire nella convenienza) quello che siamo assueffatti a vederci, e viceversa sconveniente ec. e però ci par bello quello che ha queste tali cose e brutto o difettoso quello che non le ha: benchè in natura non debba averle o viceversa. P.e. ci par deforme una certa razza di cani quando ha l'orecchie non tagliate ec. potenza della moda specialmente intorno alla bellezza delle donne ec. Mi pare che in natura non ci siano quasi altro che i lineamenti del bello, come sono l'armonia la proporzione e cose tali che secondo il solo lume naturale debbono trovarsi in ogni cosa bella: e che l'ombreggiare gli oggetti belli dipenda tutto dalle nostre opinioni. Per questo si possono addurre infiniti esempi. E li distinguo in due classi: l'una di quelli che provano la diversità di opinioni intorno agli oggetti in natura; l'altra ec. intorno agli oggetti nell'imitazione ossia nelle belle arti.
Natura
Occhi azzurri belli tra' greci: neri tra noi. Capelli biondi belli in Italia nel cinquecento: neri al presente. Diversissime opinioni de' barbari intorno alla bellezza che pur mostrano che in natura non ce n'è idea fissa. V. Camper Diss. sur le beau physique. Cavalli scodati. Cani colle orecchie tagliate. Opinione e senso de' nostri contadini circa la bellezza, e vedi quelle descritte nella Beca e nella Nencia non già da scherzo, ma perchè di quella sorta piacciono ai villani. Bello ideale ch'esprimerebbe p.e. un pittore moro di qualunque genio ed entusiasmo si fosse. Il bello ideale non è [9]altro che l'idea della convenienza che un artista si forma secondo le opinioni e gli usi del suo tempo, e della sua nazione. Barba, e capelli tagliati o no.
Belle Arti
Pittura ec. de' cinesi. Musica de' turchi. V. Martignoni Annal. di Scienze e lett. n.8. p.245. nota, ove anche della musica francese e italiana. Presso noi non disdicono le fabbriche a mattoni nudi, anzi son ridicole imbiancate e colorite. Il contrario de' Cinesi ai quali le nostre facciate parrebbero cosa affatto greggia e rozza.
I francesi hanno certe esagerazioni familiari così usitate che sono vere frasi proprie della lingua e non di questo o di quello scrittore o parlatore; le quali danno un'idea della sempiterna affettazione e del tuono esaltato quando in uno quando in altro modo, con cui sono scritti si può dir tutti i loro libri. Giammai persona non fu più fedele al suo re. Nessun altro fu sì ricordevole del benefizio. (Aucun ne fut ec.) Non si vide mai tanto amore nè tanta costanza. E nota che questo medesimo lo diranno a un bisogno di due o tre persone o più in uno stesso libro. Troverai spessissimo che parlando di qualche scrittore dozzinale ti diranno per esempio: egli ha tutta la tenerezza di Racine e tutto lo spirito di Voltaire, egli è sublime come Corneille e semplice come la Fontaine, egli stringe come Bourdaloue, commuove come Massillon, trasporta come Bossuet: e ti maraviglierai come uno scrittore in cui si trovano unite le qualità principali di più altri (secondo loro) grandi, che ne hanno ciascheduno, una sola, non sia più grande di questi, nè celebre presso tutta la nazione, e forse tu ne legga il nome per la prima volta.
In molte opere di mano dove c'è qualche pericolo (o di fallare o di rompere ec.) una delle cose più necessarie perchè riescano bene è non pensare al pericolo e portarsi con franchezza. Così i poeti antichi non solamente non pensavano al pericolo in cui erano di [10]errare, ma (specialmente Omero) appena sapevano che ci fosse, e però franchissimamente si diportavano, con quella bellissima negligenza che accusa l'opera della natura e non della fatica. Ma noi timidissimi, non solamente sapendo che si può errare, ma avendo sempre avanti gli occhi l'esempio di chi ha errato e di chi erra, e però pensando sempre al pericolo (e con ragione perchè 1. vediamo il gusto corrotto del secolo che facilissimamente ci trasporterebbe in sommi errori, 2. osserviamo le cadute di molti che per certa libertà di pensare e di comporre partoriscono mostri, come sono al presente p.e. i romantici) non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall'esempio degli antichi e dei Classici, che molti pur sapranno abbandonare, ma da quelle regole (ottime e Classiche ma sempre regole) che ci siamo formate in mente, e diamo in voli bassi, nè mai osiamo di alzarci con quella negligente e sicura e non curante e dirò pure ignorante franchezza, che è necessaria nelle somme opere dell'arte, onde pel timore di non fare cose pessime, non ci attentiamo di farne delle ottime, e ne facciamo delle mediocri, non dico già mediocri di quella mediocrità che riprende Orazio, e che in poesia è insopportabile, ma mediocri nel genere delle buone cioè lavorate, studiate, pulitissime, armonia espressiva, bel verso, bella lingua, Classici ottimamente imitati, belle imagini, belle similitudini, somma proprietà di parole, (la quale soprattutto tradisce l'arte) insomma tutto, ma che non son quelle, non sono quelle cose secolari e mondiali, insomma non c'è più Omero Dante l'Ariosto, insomma il Parini il Monti sono bellissimi ma non hanno nessun difetto. V. p.461.
In Plauto il sommo pregio è quello della forza comica che non è altro se non quella certa vivacità dei personaggi ottenuta col mezzo del ridicolo, che nel mentre che vivifica l'azione (a differenza delle Commedie di Terenzio dove c'è gran serietà e però dice Cesare ch'egli manca di forza comica, a ragione, perchè l'azione importando poco per se e non avendo la importanza della tragedia, se non è continuamente rallegrata e rinforzata dal ridicolo, resta debole, e come morta) ottiene il fine della Commedia che è di distogliere [11]dal vizio il che principalmente è operato dal ridicolo. Ma i costumi ??? presso Plauto sono poco insigni. Ciascuno opera, è vero come dee (almeno per l'ordinario) ma 1. tutte le fisonomie si rassomigliano: sempre appresso a poco è lo stesso parassito, lo stesso padre, lo stesso servo traditore, lo stesso figlio scapestrato, la stessa meretrice, ec.; 2. i tratti che qualche volta distinguono un volto dall'altro sono grossolani: per esempio questa innamorata sarà leale, quest'altra perfida; questo padre pieghevole, questo duro; questo figlio temperante quest'altro lussurioso, ed ecco tutto; ec.; 3. c'è qualche volta molta naturalezza ora in qualche scena bellissima che innamora, ora in qualche Commedia intera, ma quivi le persone dicono quello che ogni uomo in quella situazione direbbe, e benchè le parlate siano naturalissime, cavate dal vero, e ritratte con grandissima finezza dalla natura, pure non sono modificate secondo il carattere e il costume particolare della persona: insomma non si vede in Plauto una figura tutta perfettamente delineata e ombreggiata, e i costumi che egli dipinge sono del genere, p.e., del padre, o della specie, p.e., del padre buono o del padre iracondo, e non dell'individuo, la qual cosa osservo anche in Terenzio, il quale per altro è molto superiore a Plauto per li costumi e la naturalezza, essendo penetrato più addentro nel cuore umano ec. Qualche volta anche non è conservata in Plauto la naturalezza e la verisimiglianza, specialmente nel fine delle Commedie, dove talvolta i personaggi si risolvono troppo d'improvviso e a grado del poeta, essendo stati fin allora di animo diversissimo e anche contrarissimo a quella tale risoluzione. Ma egli pare che Plauto talora non volendo altro che far ridere e satireggiare, della verisimiglianza non si curasse, anzi a bello studio cercasse l'inaspettato, non già l'inaspettato verisimile che si raccom...
[Pagina successiva]