[Pagina precedente]...paci di riunirsi insieme per intraprender nulla, di quello che se tutti fossero indifferenti, il che poi viene a dire tacitamente malcontenti. L'altro di avere un partito per se molto più energico e infervorato di quello che se non esistesse un partito contrario, perchè i principi non dovendo aspettarsi di essere amati nè favoriti dai sudditi per se stessi nè per ragione, debbono cercare di esserlo per odio degli altri, e per passione. Giacchè il contrasto eccita anche quei sentimenti che in altro caso appena si proverebbero, e quello che non si farebbe mai per affetto proprio, si fa per l'opposizione [114]altrui, come i migliori cattolici sono quelli che vivono in paese eretico, e così l'opposto, nè ci ebbe mai tanto ostinati e infocati partigiani del papa come a tempo dei Ghibellini. V. Montesquieu l. c. ch.6. p.68. (5 Giugno 1820.) E neanche dai benefizi i principi possono aspettar tanto quanto dallo spirito di parte e dal contrasto che rende l'affare come proprio di colui che lo sostiene, laddove la gratitudine è un debito verso altrui. E l'esperienza di tutti i secoli dimostra quanta gratitudine ispirino i benefizi de' regnanti e dei grandi. E se bene gli uomini hanno imparato a regolare i capricci e le passioni loro, queste però naturalmente possono in loro molto più dell'interesse.
(5. Giugno 1820.)
Tanto è vero che l'anarchia conduce dirittamente al dispotismo, e che la libertà dipende da un'armonia delle parti, e da una forza costante delle leggi e delle istituzioni della repubblica, che Roma non fu mai tanto libera nel senso comune di questa parola, quanto nei tempi immediatamente precedenti la tirannia. Vedete gli affari di Clodio, e Montesquieu l. c. p.115. lin. ult. e 116. lin.1. e 5. chapit.11.
(6. Giugno 1820.)
E lo stesso si può dir della Francia passata di salto da una libertà furiosa al dispotismo di Buonaparte.
La civiltà delle nazioni consiste in un temperamento della natura colla ragione, dove quella cioè la natura abbia la maggior parte. Consideriamo tutte le nazioni antiche, la persiana a tempo di Ciro, la greca, la romana. I romani non furono mai così filosofi come quando inclinarono alla barbarie, cioè a tempo della tirannia. E [115]parimente negli anni che la precedettero, i romani aveano fatti infiniti progressi nella filosofia e nella cognizione delle cose, ch'era nuova per loro. Dal che si deduce un altro corollario, che la salvaguardia della libertà delle nazioni non è la filosofia nè la ragione, come ora si pretende che queste debbano rigenerare le cose pubbliche, ma le virtù, le illusioni, l'entusiasmo, in somma la natura, dalla quale siamo lontanissimi. E un popolo di filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l'intiero e l'intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo dovrebb'essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo.
(7. Giugno 1820.)
La barbarie non consiste principalmente nel difetto della ragione ma della natura.
(7. Giugno 1820.)
Gli esercizi con cui gli antichi si procacciavano il vigore del corpo non erano solamente utili alla guerra, o ad eccitare l'amor della gloria ec. ma contribuivano, anzi erano necessari a mantenere il vigor dell'animo, il coraggio, le illusioni, l'entusiasmo che non saranno mai in un corpo debole (vedete gli altri miei pensieri) in somma quelle cose che cagionano la grandezza e l'eroismo delle nazioni. Ed è cosa già osservata che il vigor del corpo nuoce alle facoltà intellettuali, e favorisce le immaginative, e per lo contrario l'imbecillità del corpo è favorevolissima al riflettere, (7. Giugno 1820.) e chi riflette non opera, e poco immagina, e le grandi illusioni non son fatte per lui.
[116]La superiorità della natura sulla ragione si dimostra anche in questo che non si fa mai cosa con calore che si faccia per ragione e non per passione, e la stessa religion cristiana che pare ed è alienissima dalla passione, tuttavia perchè l'umano si mescola in tutto, non è stata mai seguita e difesa con vero interesse se non quando ci erano portati da spirito di parte, da entusiasmo ec. Ed anche ora i divoti fanno come un corpo, e una classe la quale s'interessa per la religione solamente per ispirito di partito, e quindi le loro malignità verso i non divoti o gl'irreligiosi, e l'astio ec. e le derisioni, tutte cose umane e passionate, e non divine nè ragionate nè fatte con posatezza e freddezza d'animo.
(7. Giugno 1820.)
Gli antichi supponevano che i morti non avessero altri pensieri che de' negozi di questa vita, e la rimembranza de' loro fatti gli occupasse continuamente, e s'attristassero o rallegrassero secondo che aveano goduto o patito quassù, in maniera che secondo essi, questo mondo era la patria degli uomini, e l'altra vita un esilio, al contrario de' cristiani.
(8. Giugno 1820.) V. p.253.
Dovunque si formano le scienze o le arti o qualunque disciplina, quivi se ne creano i vocaboli. Se noi italiani non volevamo usar parole straniere nella filosofia moderna, dovevamo formarla noi. Quelle discipline che noi abbiamo formate (p.e. l'architettura) hanno i nostri vocaboli anche presso le altre nazioni.
La cagione di quello che dice Montesquieu, l. c. ch.11. p.124. fine è che l'uomo s'offende più del disprezzo che del danno. E la cagione di questo è l'amor proprio il quale considera più noi stessi che i nostri comodi. Vero è che certe anime basse non si curano del disprezzo, e non si dolgono che [117]dei danni. La cagione è che in questi l'amor proprio essendo più basso, ha per oggetto prima i beni materiali che la stima l'onore la dignità della persona, i quali diremmo in certo modo beni spirituali. Per lo contrario ci sono ancora degli uomini superiori i quali disprezzando il disprezzo, si guardano però dai danni, perchè questi son cose reali, e il disprezzo appresso a poco ci nuoce tanto quanto noi lo stimiamo.
In quello che dice Montesquieu, l. c. ch.13. p.138. e nella nota, osservate la differenza de' tempi e vedete l'esito de' regicidi francesi a' tempi nostri. La cagione è che lo spirito del tempo è, come si dice, di moderazione, vale a dire d'indolenza e noncuranza, che ora si allega come per tutta difesa la differenza delle opinioni, quando una volta due persone differenti d'opinioni in certi punti, erano lo stesso che due nemici mortali, e che ancora considerando un uomo come reo e scellerato, la virtù ora non interessa tanto come una volta, da volerlo punito a tutti i patti. Questa vendetta della virtù si voleva e si cercava una volta in contemplazione di essa virtù. Ora che questa si è conosciuta per un fantasma, nessuno si cura di far male agli altri, e procacciarsi odii e nimicizie che son cose reali, per la causa di un ente illusorio.
In proposito di quello che dice Montesquieu della codardia fortunata e propizia di Ottaviano (l. c. ch.13. p.139. fine) considerate che se il Senato l'avesse veduto [118]coraggioso l'avrebbe creduto intraprendente. Ora chi intraprende, intraprende per se, e l'intraprendere per se in Ottaviano ch'era l'erede e il figlio adottivo di Cesare, non poteva esser altro che il cercare la monarchia. Il vederlo debole fece credere che avrebbe preso il partito dei buoni ch'è il meno pericoloso, perchè ha per se l'opinione pubblica, ed è la strada retta e ordinaria. Gli arditi per lo più son cattivi, e il partito buono è quello dei più deboli, perchè non ci vuole ardire per abbracciare il partito ovvio e inculcato dalle leggi dalla natura e dall'opinione sociale, cioè quello della virtù, ma bensì per entrare nel partito odioso del vizio. Il fatto però sta che era già venuto anche per Roma il tempo che la politica dovea prevalere al coraggio come ora, e in tutti i tempi corrotti.
(9. Giugno 1820.)
Altro è primitivo altro è barbaro. Il barbaro è già guasto, il primitivo ancora non è maturo.
Non bisogna credere che un popolo non sia barbaro perchè non somiglia ad altri barbari (come se i maomettani non fossero barbari perchè non sono antropofagi). Vedete quante sorte di barbarie si trovano al mondo, laddove la natura è una sola. Perchè questa ha leggi immutabili e fisse, ma la corruttela varia infinitamente secondo le cagioni, e le circostanze vale a dire i costumi le opinioni i climi i caratteri nazionali ec. ec.
(9. Giugno 1820.)
Una gran differenza tra la legge di natura e le leggi civili, è questa che la legge civile o umana si può dimenticare o per [119]distrazione o per altro, e infrangerla senza leder la coscienza, (come s'io mangio carne non ricordandomi che sia giorno di magro, o anche ricordandomene, ma per distrazione) laddove la legge naturale non ammette distrazione, e non può accadere che uno la infranga non credendo, perch'ella ci sta sempre nel cuore come un istinto che ci avverte continuamente, e il quale non è soggetto a dimenticanze.
La naturalezza dello scrivere è così comandata che posto il caso che per conservarla bisognasse mancare alla chiarezza, io considero che questa è come di legge civile, e quella come di legge naturale, la qual legge non esclude caso nessuno, e va osservata quando anche ne debba soffrire la società o l'individuo, come non è straordinario che accada.
È osservabile come i francesi mentre sono la nazione più moderna del mondo per costumi ec. abbiano tuttavia quella disposizione antica che ora tutte le nazioni civili hanno abbandonata, voglio dire il disprezzo e quasi odio degli stranieri. Il quale non può tornar loro a nessuna lode, perchè contrasta assurdamente coll'eccessivo moderno di tutte le altre loro opinioni costumi ec. Ed è tanto più ridicola, quanto nei greci finalmente era ragionevole, perchè non avendo conosciuto i romani se non tardissimo, (v. Montesquieu Grandeur ec. ch.5. p.48. e la nota) non c'era effettivamente altra nazione che gli uguagliasse di grandissima lunga. E quanto ai Romani è noto che non ostante il loro sommo amor patrio, furono sempre imparzialissimi [120]nel giudicare degli stranieri, anzi ebbero per istituto di adottar sempre tutte quelle novità forestiere che giudicavano utili, quando anche per adottar queste bisognasse lasciare o correggere le loro proprie usanze.
Nelle repubbliche le cagioni degli avvenimenti appresso a poco erano manifeste, si pubblicavano le orazioni che aveano indotto il popolo o il consiglio a venire in quella tal deliberazione, le ambascerie si eseguivano in pubblico, ec. e poi dovendosi tutto fare colla moltitudine le parole e le azioni erano palesi, ed essendoci molti di egual potere, ciascuno era intento a scoprire i motivi e i fini dell'altro e tutto si divulgava. Vedete p.e. le lettere di Cicerone che contengono quasi tutta la storia di quei tempi. Ma ora che il potere è ridotto in pochissimi, si vedono gli avvenimenti e non si sanno i motivi, e il mondo è come quelle macchine che si muovono per molle occulte, o quelle statue fatte camminare da persone nascostevi dentro. E il mondo umano è divenuto come il naturale, bisogna studiare gli avvenimenti come si studiano i fenomeni, e immaginare le forze motrici andando tastoni come i fisici. Dal che si può vedere quanto sia scemata l'utilità della storia. V. Montesquieu l.c. ch.13. fine. V. p.709. capoverso 1.
La cagione principale di ciò che dice Montesquieu ch.14. p.155. è che il popolo quantunque sia composto d'individui tutti animati da passioni basse, contuttociò queste essendo particolari e infinite, non si può cattivare se non per le passioni generali, cioè con quelle cose che la [121]natura ha fatte piacevoli generalmente, amabilità , virtù, coraggio, servigi prestati, abilità negli affari, integrità , onestà , onoratezza ec. Sicchè le elezioni del popolo non possono costringere il candidato ad abbassarsi se non in piccole cose, anzi per lo contrario, ad ingrandirsi. Ma le passioni dell'individuo sono piccole e basse, e quando l'elezione dipende da lui, per cattivarselo è necessario coll'abbiezione dell'animo farsi ...
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