[Pagina precedente]...non sit sustinendus. Così c.22. mezzo e c.24. fine e l.4. c.6. E c.6. dopo il mezzo: in vicem ejus dari potest vel intrita ex aqua ec. (in vece di questa), e così altrove usa questa stessa frase; nota che qui non vuol dire alternativamente, ma [33]assolutamente in vece, cioè escluso l'altro cibo ec. L'altro luogo dove l'usa è lib.4. c.6. nello stesso modo assoluto. E lib.4. c.2. fine: post quae vix fieri potest ut idem incommodum maneat. (semplicemente come noi diciamo incomodo per piccola malattia.) E c.22. quod fere post longos morbos vis pestifera huc se inclinat, quae ut alias partes liberat, sic hanc ipsam (nimirum coxas) quoque affectam prehendit. E c.28. del lib.5. sect.17. nam et rubet (impetiginis genus primum) et durior est, et exulcerata est, et rodit. (come diciamo noi volgarmente talvolta neutro e spesso anche impersonale, per prurire). E così ivi poco dopo: squamulae ex summa cute discedunt, rosio major est. E poco dopo di un altro genere d'impetigine dice: in summa cute finditur, et vehementius rodit. Dove s'ingannerebbe chi credesse che Celso volesse per rodere intendere lo stesso che erodere, poichè 1. egli usa sempre questo secondo quando si tratta di significare corrosione, 2. negli esempi che addurrò dove si vede il passivo di rodere, l'accompagnamento delle altre parole, mostra che non si tratta di corrosione ma di prurito; e dice dunque ib. Sect. seguente di un altro male simigliante: in quo per minimas pustulas cutis exasperatur et rubet leviterque roditur: e poco sotto di un altro genere del sopraddetto male: in qua similiter quidem, sed magis cutis exasperaturque exulceraturque ac vehementius et roditur et rubet et interdum etiam pilos remittit, 3. nella sez. precedente la 17. dice della scabbia o rogna per tutta definizione queste parole: Scabies vero est durior cutis, rubicunda; ex qua pustulae oriuntur, quaedam humidiores, quaedam sicciores. Exit ex quibusdam sanies, fitque ex his continuata exulceratio PRURIENS, serpitque in quibusdam cito. Atque in aliis quidem ex toto desinit, in aliis vero certo tempore anni revertitur. Quo asperior est, quoque PRURIT magis, eo difficilius tollitur. Itaque eam quae talis est, ???????, id est feram, Graeci appellant. Poi passa ai rimedi che sbriga in poche righe senza far altro motto della natura del male. Ora nella sez. seguente dice del primo genere d'impetigine, che similitudine scabiem repraesentat, nam et rubet etc. come sopra; dove egli ha la mira a quello che ha detto di sopra della scabbia com'è evidente: ma ch'ella sia rossa, dura, esulcerata l'ha detto come io ho notato con lineette, che corroda non l'ha detto punto: ora come sarà simile alla scabbia la impetigine nam rodit, perchè rode? Bensì ha detto che la scabbia prurit, e questo segno sostanziale mancherebbe alla impetigine se il rodit non si prendesse in questo senso, che d'altronde non si può prendere per corrodere. Vedi se il Forcellini o l'Appendice ha nulla di rodere in significato di prurire2. E lib.6. c.2. fine: Si parum per haec proficitur, vehementioribus uti licet, cum eo ut sciamus, (senza il tamen) utique in recenti vitio id inutile esse. E ib. c.18. sect.7. [34]Si quidquid laesum est, extra est, neque intus reconditum, eodem medicamento tinctum linamentum superdandum est, et quidquid ante adhibuimus cerato contegendum. In hoc autem casu neque acribus cibis utendum neque asperis nec alvum comprimentibus. Così altrove spesso, in primo casu, in eo casu ec. come noi diciamo: in questo caso, nel primo caso ec. E lib.7. c.2. dopo il mezzo: Semper autem ubi scalpellus admovetur, id agendum est ut et quam minimae et quam paucissimae plagae sint, cum eo tamen ut necessitati succurramus et in modo et in numero. E c.7. sect.7. At quibus id in angulo est, potest adhiberi curatio, cum eo ne (senza il tamen) ignotum sit esse difficilem. E c.16. quia et rumpi facilius motu ventris potest, et non aeque magnis inflammationibus pars ea (venter), exposita est. E c.22. adurendus est tenuibus et acutis ferramentis quae ipsis venis infigantur, cum eo ne amplius quam has urant (senza il tamen) E c.27. circa il mezzo: Sub quibus perveniri ad sanitatem potest, cum eo tamen quod non (nota il quod non in vece del ne ch'è anche più conforme alla frase italiana) ignoremus, orto cancro saepe affici stomachum (l'ediz. di cui mi servo non ha la virgola dopo orto cancro quantunque abbondantissima nell'interpunzione). E lib.8. c.10. sect.7. ab init. Quibus periculis etiam magis id expositum quod juxta ipsos articulos ictum est. In somma tutta la struttura della prosa di Celso è tale che accostandosi infinitamente per la maniera il giro la costruzione la frase i modi e le parole alla italiana, dà a conoscere più che forse qualunque altra prosa latina dei buoni secoli, anche a chi non lo sapesse per altra parte, che la lingua italiana deriva dalla latina. Onde non dubito che questa prosa non si accostasse ancora e non fosse presa in grandissima parte quanto al modo, e anche in qualche parte rispetto alle parole, dal volgare di Roma, o latino.
Il Libellus de Arte dicendi pubblicato sotto il nome di Celso da Sisto a Popma in Colonia nel 1569 e ristampato come rarissimo dal Fabricio in fondo alla Bibl. Lat. Lo giudico un compendio o uno spoglio o un pezzo compendiato dell'opera di Celso sull'Eloquenza ch'era parte della grand'opera sulle arti di cui c'è rimasta la medicina. E raccolgo che sia di Celso dalla facile eleganza o piuttosto facilità elegante tutta propria di Celso che si trova in vari luoghetti sparsi per tutto il brevissimo libricciuolo misti a un rimanente confuso, o inelegante, e anche barbaro e inintelligibile, il che dimostra l'altra parte del mio giudizio, cioè che questa non sia l'opera intera di Celso, come pare ch'abbia creduto il Fabricio l.4. c.8. fine p.506. fine, oltrechè come vedo nel Tiraboschi qui non si trova [35]tutto quello che Quintiliano cita dell'opera di Celso. Anche Curio Fortunaziano Retore nei Rettorici latini del Pithou, p.69. cita Celso. Trovo poi anche parecchi modi e parole che mi persuadono che il libretto sia cavato veramente da Celso, perchè sono frequenti e familiari sue nei libri della Medicina, p.e. §.3. Oratoris artibus nemo instrui potest, nisi cui ingenium et frequens studium est. Primum animi sit (assoluto) oportet quaedam naturalis ad videndas ediscendasque res potentia. Tum vox, (nota l'omissione del sit oportet, e la dipendenza di questo periodo dal precedente familiarissimo a Celso) latus, decor, valetudo, frugalitas, laboris patientia. E tutto il §. È di maniera affatto Celsiana. E §.4. Super hoc, per oltre a ciò, usitato da Celso, e la particella ubi per quando, allorchè, se, familiarissimo a Celso, e usata spesso qui pure, cioè §.9. e 10. tre volte, 11. Due volte, e 17. due volte. E §.10. Neque alienum est, ubi longior fuerit expositio vel narratio, extrema ita finire, ut admoneas quaecumque dixeris. E ivi poco dopo: Nec semper debet orator veterum se praeceptis addicere, sed scire debet incidere novam materiam quae novi aliquid postulet. E quanto all'incidere, si trova anche in simile maniera §.11. Evenit ut ante sit respondendum quam sit ponenda narratio, ut pro Milone: Incidit caussae genus quod summam habet quaestionis. E ib. più sopra: Alterum genus est in quo utique (modo familiarissimo a Celso) aeque supervacua narratio est e così §.12. haec enim verisimilia sunt, non utique vera. E §.13. Cum autem diu dicere volet, omne argumentum ornatius exequetur. E ivi: Si unum argumentum validum est et unum frivolum, a valido incipies, frivolum persequeris, rursum validum repetes. E ivi: Cum aliquibus partibus causa laborat, utilius ordinem quaestionum confundimus, quas ex toto tractare non expedit. Modo totalmente celsiano, al quale è familiarissimo quando appo gli altri è se non altro, raro, a mio parere, e che quasi solo basterebbe appresso me per farmi credere che il libretto sia cavato veramente da Celso. Modo del resto levato di peso dal greco ??????????, alla qual lingua s'accosta anche moltissimo e la maniera di Celso in generale, e molti modi frasi locuzioni ec. in particolare (e la semplicità e la forma della costruzione tanto del tutto, quanto dei periodi, del collegamento loro ec.), come a lingua madre, nel modo che alla italiana s'accosta come a lingua figlia. Si trova anche nel §.3. l'avverbio in totum per totalmente, che se ben mi ricorda, [36]si trova anche frequentemente appresso Celso.
Sento dal mio letto suonare (battere) l'orologio della torre. Rimembranze di quelle notti estive nelle quali essendo fanciullo e lasciato in letto in camera oscura, chiuse le sole persiane, tra la paura e il coraggio sentiva battere un tale orologio. Oppure situazione trasportata alla profondità della notte, o al mattino: ancora silenzioso, e all'età consistente.
Nel Monti è pregiabilissima e si può dire originale e sua propria la volubilità armonia mollezza cedevolezza eleganza dignità graziosa, o dignitosa grazia del verso, e tutte queste proprietà parimente nelle immagini, alle quali aggiungete scelta felice, evidenza, scolpitezza ec. E dico tutte giacchè anche le sue immagini hanno un certo che di volubile molle pieghevole facile ec. Ma tutto quello che spetta all'anima al fuoco all'affetto all'impeto vero e profondo sia sublime, sia massimamente tenero gli manca affatto. Egli è un poeta veramente dell'orecchio e dell'immaginazione, del cuore in nessun modo, e ogni volta che o per iscelta come nel Bardo, o per necessità ed incidenza come nella Basvilliana è portato ad esprimer cose affettuose, è così manifesta la freddezza del suo cuore che non vale punto a celarla l'elaboratezza del suo stile e della sua composizione anche nei luoghi ch'io dico, nei quali pure egli va bene spesso anzi per l'ordinario con ributtante freddezza e aridità in traccia di luoghi di classici greci e latini, di espressioni di concetti di movimenti classici per esprimerli elegantemente lasciando con ciò freddissimo l'uditore, che non trova ancor quivi se non quella coltura (la quale in questi casi più quasi nuoce di quello giovi) che trova per tutto il resto della composizione sparso anch'esso di traduzioni di pezzi de' Classici. Giacchè questo è il costume del Monti e nella Basvilliana e per tutto di tradurre (ottimamente bensì, ma quasi formalmente tradurre) frequenti luoghi, modi frasi pensieri immagini similitudini metafore [37]ec. ec. d'autori classici: e la Musogonia segnatamente si può dire che sia un vero centone di pezzi (nota bene) di Omero Esiodo Callimaco Virgilio Orazio Ovidio, i cui nomi (con forse quello di qualcun altro antico o italiano classico) se ve li scrivessero in margine a modo delle Catenae patrum, non credo che ci sarebbe non dico pag. ma appena stanza che non fosse compresa sotto quei nomi, di maniera ch'io non mi fiderei di trovare in tutto il canto una diecina di ottave intieramente originali. Lascio poi che il poemetto non ha nessun fine soddisfacente, non è se non stiracchiatamente adattato alle circostanze d'allora, e un centone di pezzi antichi per cantare quello che cantarono quegli stessi antichi è una cosa ben miserabile.
La natura, come ho detto è grande, la ragione è piccola e nemica di quelle grandi azioni che la natura ispira. Questa nimicizia di queste due gran madri delle cose non è stata accordata se non dalla Religione la qual sola proponendo l'amore delle cose invisibili di Dio ec. e la speranza di premio nella vita futura ha conciliato con mirabile armonia la grandezza generosità sublimità , apparente pazzia delle azioni (come son quelle dei martiri, il distacco dai beni terreni da' parenti dalla patria ec. il disprezzo della morte, il sacrifizio de' piaceri e di tutto all'amor di Dio al dovere ec.) colla ragione: armonia che fuor della religione non si può trovare se non a parole, perchè tolta la speranza della vita futura, l'immortalità dell'anima, l'esistenza della virtù della sapienza della verità della beltà personificata in Dio, la cura di questo essere intorno ai porta...
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