[Pagina precedente]... diremo, fortuita delle parole, quantunque il senso dell'autore [26]sia chiaro tuttavia a prima vista produca ne' lettori un'altra idea, il che, quando massime quest'idea non sia conveniente bisogna schivarlo, massime in poesia dove il lettore è più sull'immaginare e più facile a creder di vedere e che il poeta voglia fargli vedere quello ancora che il poeta non pensa o anche non vorrebbe. Ecco un esempio Chiabrera Canz. lugubre 15. In morte di Orazio Zanchini che comincia: Benchè di Dirce al fonte, strofe 3. verso della Canz. 38, della strofa duodecimo e penultimo: Ora il bel crin si frange, E sul tuo sasso piange. Si frange qui vuol dire si percuote, e intende il poeta, colle mani ec. Il senso è chiaro, e quel si frange non ha che far niente con sul tuo sasso, e n'è distinto quanto meglio si può dire. Ma la collocazione casuale delle parole è tale, ch'io metto pegno che quanti leggono la Canz. del Chiabrera colla mente così sull'aspettare immagini, a prima giunta si figurano Firenze personificata (che di Firenze personificata parla il Chiabrera) che percuota la testa e si franga il crine sul sasso del Zanchini, quantunque immediatamente poi venga a ravvedersi e a comprendere senza fatica l'intenzione del poeta ch'è manifesta. Ora, lasciando se l'immagine ch'io dico sia conveniente o no, certo è che non è voluta dal poeta, e ch'egli perciò deve schivare questa illusione quantunque momentanea (bastando che queste parole del Chiabrera servano d'esempio senza bisogno che l'immagine sia sconveniente) eccetto s'ella non gli piacesse come forse si potrebbe dare il caso, ma questo non dev'essere se non quando l'immagine illusoria non nocia alla vera e non ci sia bisogno di ravvedimento per veder questa seconda, giacchè due immagini in una volta non si possono vedere, ma bensì una dopo l'altra il che quando fosse, potrebbe anche il poeta lasciare e anche proccurare questa illusione, dove pure non noccia al restante del contesto, perch'ella non fa danno, e d'altra parte è bene che il lettore stia sempre tra le immagini. Quello che dico del poeta s'intenda proporzionatamente anche degli altri scrittori. Anzi questa sarebbe la sorgente di una grand'arte e di un grandissimo effetto proccurando quel vago e quell'incerto ch'è tanto propriamente e sommamente poetico, e destando immagini delle quali non sia evidente la ragione, ma quasi nascosta, e tale ch'elle paiano accidentali, e non proccurate dal poeta in nessun modo, ma quasi ispirate da cosa invisibile e incomprensibile e da quell'ineffabile ondeggiamento del poeta che quando è veramente inspirato dalla natura dalla campagna e da checchessia, non sa veramente com'esprimere quello che sente, se non in modo vago e incerto, ed è perciò naturalissimo che le immagini che destano le sue parole appariscano accidentali.
Le più belle canzoni del Chiabrera non sono per la maggior parte altro che bellissimi abbozzi.
Che il Filicaja seguisse lo stile profetico (così appunto dicevano quei due che ora citerò) lo scrive anche il Redi nelle sue lettere, e similmente del Guidi dice il Crescimbeni nella sua Vita che quantunque paia come il Chiabrera, aver bevuto ai fonti greci, nondimeno molto sembra aver preso dall'Ebraico; talchè la sua apparenza ha assai più del Profetico che del Pindarico, [27]e soggiunge che in un certo libro si dice di lui che da alcune forme di Dante, e del Chiabrera accoppiate con certi modi delle Orientali favelle ha preso il suo stile. E aggiunge egli subito: E questa senza fallo è la cagione, per la quale vien dato al carattere del Guidi il pregio di nuovo nel nostro Idioma. E finalmente riferisce l'intenzione dello stesso Guidi, intesa dalla di lui stessa bocca da esso Crescimbeni, e massime rispetto alla traduzione delle sei Omelie che il Guidi fece per lasciare a' posteri almeno in ombra l'IMITAZIONE totale del carattere profetico anche rispetto agli argomenti; cioè un genere di Poesia sacra, che si vedesse trattata col gusto Davidico, e con l'entusiasmo de' Profeti.
Emulo impotente di Pindaro il Guidi cercò la grandezza e per trovarla si raccomandò anche agli Orientali e tolse più forme e immagini dalla scrittura, ma gli mancò la forza sufficiente di fantasia, nè in lui trovo nessuna novità se non per rispetto al suo secolo, avendo sfuggito benchè non affatto le seicentisterie. Nudo intierissimamente d'affetto, in verità non si può dire che abbia disuguaglianze perchè tutte quante le sue canzoni sono coperte si può dire ugualmente di uno strato di perfetta e formale mediocrità , e freddezza. Io non so come si possa dire che abbia trasportato ne' suoi versi il fuoco e l'entusiasmo di Pindaro, (così la Biblioteca Italiana num. 8. Bibliografia) quando io, lette tutte le sue canzoni mi trovo come un marmo: e si vede bene ch'egli cerca di grandeggiare e d'innalzarsi, ma la sua grandezza nè si communica col lettore innalzandolo, nè lo percuote e stordisce, restando non dico gonfia (perchè in verità il suo difetto non è la turgidezza) ma vota e senza effetto e questo per due cagioni. L'una la debolezza della sua fantasia, che non gli suggeriva spontaneamente e copiosamente cose grandi, l'altra (che in parte o tutta si riferisce alla prima e solamente è più speciale) che i suoi sublimi che sono sparsi a larghissima mano per tutte le sue Canzoni non sono formati rapidamente dalla scelta ??????????????????, come dice Longino, come fa Pindaro e Omero e il Chiabrera, con che vengono ad ???????????? il Lettore e te lo strascinano e sbalzano qua e là stordito e confuso a voglia loro, ma è composto placidissimamente di lunghe enumerazioni di cose di parti d'immagini accozzate e messe una dopo l'altra ordinatamente e in simmetria senza rapidità di stile e freddamente sì che quantunque le immagini metafore ec. stieno in regola e però non ci sia turgidezza, contuttociò non fanno altro che un gran fresco perchè il sublime non si può formare in quel modo. In somma ha bisogno di una pagina per formare un quadro o pezzo qualunque sublime, dove Pindaro e il Chiabrera di pochi versi, questi come Dante è nel dipingere, quello com'è Ovidio. La dicitura non ha altro pregio che una purgatezza competente, senz'ombra di proprietà nè d'efficacia; [28]nè anche ha quegli ardiri spessissimo infelici, ma pure alle volte felici del Chiabrera, nè l'oscurità nè veruno di quei difetti, che comunque tali pur paiono aver che fare colla lirica ed esser quasi naturali a un vero lirico, sì come a Pindaro. Lo stesso dico dell'intrinseco dello stile, tanto rispetto all'oscurità quanto all'ardire che nel Guidi non si trova si può dire altro ardire se non qualche cosa presa dalla Scrittura, come di sopra ho detto, e quanto a queste cose prese dalla Scrittura io parlo delle canzoni, non della traduzione delle sei Omelie, dove prese un po' più, tenendo dietro al testo di esse, anzi le scelse apposta per tener dietro allo stile Davidico, (quantunque l'abbia fatto senz'ombra di forza annacquatissimamente) che questa traduzione è un vero mostro (per motivo dei pensieri del modo ec. mentre sono Omelie in versi, con citazioni di Padri debolissime stiracchiate schifose) e non merita che se ne dica altro: e pure son l'ultima e più studiata cosa ch'egli facesse. Del resto il verso è sonante, e dico sonante perchè non posso dire armonioso se per armonia vogliamo intendere la finezza dell'arte di verseggiare trovata dagl'italiani dopo, il ritmo analogo ai sentimenti, la varietà ec. ec.
Io solea dire ch'era una follia il credere e scrivere che ci fosse o in Italia o altrove qualche poeta che somigliasse ad Anacreonte. Ma leggendo il Zappi trovo in lui veramente i semi di un Anacreonte, e al tutto Anacreontica l'invenzione e in parte anche lo stile dei Sonetti 24.34.41, e dello scherzo: il Museo d'Amore. Anche le altre sue poesie sono lodevoli non poco per novità de' pensieri (giacchè non c'è quasi componimento suo dove non si veda qualche lampo di bella novità ) con dignitoso garbo e composta vivacità e certa leggiadria propria di lui (così anche il Rubbi) per la quale si può chiamare originale, benchè di piccola originalità . I Sonetti Amorosi ed hanno le doti sopraddette, e qual più qual meno s'accostano all'Anacreontico.
Il Manfredi non ha altro che chiarezza e facilità e gentilezza ed eleganza, senz'ombra ombra di forza in nessun luogo, sì che quando il soggetto la richiede resta veramente compassionevole e misero e impotente come nelle Quartine per Luigi XIV. Del resto la gentilezza sua, ch'io dico è diversa dalla grazia e leggiadria e venustà , ch'è cosa più interiore intima nel componimento e indefinibile. Nè ha il Manfredi punto che fare coll'Anacreontico e la gentilezza sopraddetta l'ha in ogni sorta di soggetti, gravi dolci leggiadri sublimi ec. Nei Canti del Paradiso c'è mirabile chiarezza e facilità di esprimere e di spiegare e dare ad intendere in versi lucidissimamente e senza dare nel prosaico o nel basso, cose intralciate e difficili. Nelle Canzoni massimamente ha imitato il Petrarca e anche affettatamente e servilmente come dove dice: Canzone O tra quante il sol mira altera e bella Pel giorno natalizio di Ferdinando di Toscana: Rade volte addivien, ch'altrui sublimi Fortuna ad alto onor senza contrasti, (Rade volte addivien ch'all'alte imprese Fortuna ingiuriosa non contrasti: Petrarca Spirto gentil ec.) e altrove.
Dei quattro lirici ch'io ho mentovati di sopra oltre il Manfredi e il Zappi che sono di un'altra classe, mentre questi appartengono a quella de' Pindarici e Alcaici e Simonidei ed Oraziani, ossia Eroici e Morali principalmente, io do il primo luogo al Chiabrera, il secondo al Testi de' quali se avessero avuto più studio e più fino gusto, e giudizio più squisito quegli avrebbe potuto essere effettivamente il Pindaro, e questi effettivamente l'Orazio italiano. Tra il Filicaia e il Guidi non so a chi dare la preferenza; mi basta che tutti e due sieno gli ultimi e a gran distanza degli altri due, mentre, secondo me, quando anche fossero stati in tempi migliori, non aveano elementi di lirici più che mediocri anzi forse non si sarebbero levati a quella fama ch'ebbero e in parte hanno.
[29]Tutto è o può esser contento di se stesso, eccetto l'uomo, il che mostra che la sua esistenza non si limita a questo mondo, come quella dell'altre cose.
Canzonette popolari che si cantavano al mio tempo a Recanati.
(Decembre 1818.)
FÃ cciate alla finestra, Luciola,
Decco che passa lo ragazzo tua,
E porta un canestrello pieno d'ova
Mantato colle pampane dell'uva.
I contadì fatica e mai non lenta
E 'l miglior pasto sua è la polenta.
È già venuta l'ora di partire
In santa pace vi voglio lasciare.
Nina, una goccia d'acqua se ce l'hai:
Se non me la vôi dà padrona sei.
(Aprile 1819.)
Io benedico chi t'ha fatto l'occhi
Che te l'ha fatti tanto 'nnamorati.
(Maggio 1819.)
Una volta mi voglio arrisicare
Nella camera tua voglio venire.
(Maggio 1820.)
Ottimamente il Paciaudi come riferisce e loda l'Alfieri nella sua propria Vita, chiamava la prosa la nutrice del verso, giacchè uno che per far versi si nutrisse solamente di versi sarebbe come chi si cibasse di solo grasso per ingrassare, quando il grasso degli animali è la cosa meno atta a formare il nostro, e le cose più atte sono appunto le carni succose ma magre, e la sostanza cavata dalle parti più secche, quale si può considerare la prosa rispetto al verso.
Una giovane nubile educata parte in monastero parte in casa con massime da monastero, esortava la sorella di un giovane parimente libero, a volergli bene, e le ripeteva questo più volte, e con premura, cosa di ch'io informato credetti che questo potesse essere un artifizio dell'amore che non potendo a cagione della di lei educazione monastica operare direttamente, operava indirettamente facendole consigliare altrui un amor lecito, verso quell'oggetto, ch'ella forse si sentiva portata ad amare con amore ch'ella avrà stimato illecito.
Un villano del territorio di Recanati avendo portato un...
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